Riforma del lavoro, Ranci : "I veri perdenti sono ancora una volta le partite Iva" di Michael Pontrelli.
Da http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/12/06/intervista_ranci_partite_iva.html
Una indagine condotta da Costanzo Ranci, sociologo economico del Politecnico di Milano, ha messo in evidenza che in Italia il numero delle partite Iva individuali è pari a 5,7 milioni.
Un esercito di lavoratori di cui si parla relativamente poco se non per mettere in evidenza che si tratta di un’area caratterizzata da una forte evasione fiscale.
La realtà fatta emergere da Ranci nella sua analisi è invece molto più complessa.
Affianco ad un ristretto numero di imprenditori e liberi professionisti benestanti e privilegiati esiste un grandissimo numero di lavoratori che vivono sulla soglia della povertà e che soffrono più di qualsiasi altra categoria professionale gli effetti della crisi economica in corso.
La riforma del lavoro del governo Monti, nonostante le intenzioni sbandierate dal ministro al Welfare Elsa Fornero, anziché aiutare le partite Iva rende loro la vita ancora più difficile e stimola la tendenza al sommerso che paradossalmente lo Stato vuole combattere.
Abbiamo parlato di questi aspetti con l’autore dell’indagine.
Professore, iniziamo dalla composizione di questo esercito di lavoratori autonomi. Chi sono?
“La categoria è cambiata nel tempo. Mentre fino agli anni ’90 la metà delle partite Iva era costituita da commercianti e artigiani con bassa qualificazione oggi questa parte rappresenta solamente un terzo del totale mentre per il 50% dei casi si tratta di professionisti laureati”.
In quali settori professionali sono particolarmente diffuse?
“Si sono affermate nei servizi avanzati più recenti come il settore informatico, la grafica e la comunicazione, la consulenza, l'intermediazione finanziaria e immobiliare".
Sono persone che hanno deciso di aprire una partita Iva perché non sono riuscite a trovare un lavoro dipendente o perché hanno voluto fare questa scelta?
“Nella maggioranza dei casi si tratta di persone che hanno una vocazione precisa per il lavoro autonomo. Perciò direi che si tratta di una scelta voluta soprattutto tra le giovani generazioni. Inoltre, a differenza del passato, la crisi delle aziende non sta alimentando la nascita di nuovi lavoratori autonomi. Questo processo si è verificato in Italia nelle crisi economiche precedenti, soprattutto al Nord. L’esternalizzazione di processi da parte delle imprese ha favorito la nascita di nuove partite Iva. I dati a disposizione dimostrano invece che questo fenomeno non si sta verificando nella crisi odierna. Recentemente il numero di lavoratori autonomi si è ridotto maggiormente rispetto alla perdita di posti di lavoro dipendente, perciò questo universo produttivo non sta più svolgendo il ruolo di ammortizzatore sociale che ha svolto nel passato”.
Dal punto di vista economico come stanno?
“Si tratta di un universo polarizzato. Da un lato esiste una categoria di imprenditori e liberi professionisti benestanti e privilegiati. Si tratta, a dire il vero, di un gruppo numericamente limitato rispetto al totale complessivo. Dall'altro lato esiste poi un grandissimo numero di lavoratori autonomi che invece hanno un reddito molto vicino alla linea di povertà. I dati evidenziano che si tratta del 27% del totale. Per i lavoratori dipendenti il dato è pari invece al 14%. Inoltre all’interno delle partite Iva non tutte godono di un effettiva autonomia lavorativa. Molte di loro sono solo teoricamente indipendenti". Si riferisce a quelle che di fatto svolgono un lavoro subordinato?
“Non solo. Le false partite Iva, ovvero i lavoratori dipendenti non assunti regolarmente dai datori di lavoro, sono all’incirca 280 mila, poco meno del 5% del totale. E’ molto più diffuso invece il caso delle partite Iva mono committente. Questi lavoratori di fatto hanno vincoli e non godono di completa autonomia relativamente al luogo di lavoro e/o ai tempi di lavoro. Questa area grigia a cavallo tra il lavoro dipendente e quello autonomo è vastissima ed esclusi gli imprenditori rappresentano la metà delle restanti partite Iva, circa un terzo dei 5.7 milioni di lavoratori autonomi esistenti”.
Il ministro Fornero prima di varare la riforma del lavoro aveva promesso di migliorare il welfare dei lavoratori autonomi. Ormai la riforma è giunta al traguardo. Come sono cambiate le cose per le partite Iva?
“Nonostante i proclami del ministro la verità è che sono cambiate in peggio. La riforma prevede un aumento della contribuzione previdenziale dal 27% al 33%. L’intento è quello di aumentare l'entità dell’assegno pensionistico ma per le partite Iva questo non si traduce in un vantaggio ma in un danno”.
Perché?
“Perché i maggiori contributi non sono pagati da un datore di lavoro ma direttamente dai lavoratori autonomi e questo comporta una perdita di reddito disponibile. Per le migliaia di partite Iva che vivono sul filo della sopravvivenza potrebbe essere un colpo mortale. Inoltre i lavoratori autonomi hanno un concetto diverso della pensione rispetto ai lavoratori dipendenti. Un autonomo non pensa di smettere di lavorare raggiunta una certa età ma spera di poter lasciare l’attività a un figlio e affiancare quest’ultimo fino a quando è in grado di lavorare. Perciò la riforma del welfare introdotta dalla Fornero per gli autonomi rappresenta un danno e non un vantaggio e rischia di far crescere enormemente il sommerso che paradossalmente lo Stato vuole ridurre. Per cui da un lato si annuncia una crociata contro l’evasione fiscale dall’altra invece si prendono provvedimenti che potenzialmente la incentivano”.
Ma di quale riforma del welfare avrebbero bisogno le partite Iva?
“Il provvedimento più urgente sarebbe sicuramente l’introduzione di un reddito di cittadinanza che esiste in tutta Europa tranne che in Grecia. In Italia gli ammortizzatori sociali esistono solo per chi perde il lavoro dipendente. Una partita Iva costretta a chiudere la propria attività non gode di nessuna forma di aiuto. Il reddito di cittadinanza tutelerebbe anche i lavoratori autonomi che a causa di forza maggiore sono costretti a chiudere la loro attività”.
Una riforma del genere, pur se giustissima, avrebbe però dei costi che lo Stato italiano al momento non è in grado di sostenere.
“E’ vero. Servirebbe infatti un grande patto tra lo Stato e il mondo del lavoro autonomo. Da un lato le partite Iva dovrebbero ridurre il fenomeno dell’evasione fiscale che oggettivamente esiste, dall’altro lo Stato dovrebbe estendere anche a loro le forme di welfare oggi previste solo per il mondo del lavoro dipendente”.
This is the fashion blog of Stilinga, a fashion designer who works from home. She is from Rome, Italy and she writes about trends, things she loves to do in Rome and art. Questo è il fashion blog, e non solo, di stilinga (una stilista che lavora da casa - è una stilista-casalinga) e che spesso tra una creazione di moda e l'altra, tra ricerche e fiere, si occupa anche del suo quotidiano e del contesto in cui vive.
"L'esodato innamurato" by Fiorello
Fiorello canta "L'esodato innamorato"
Andato in onda il: 21/06/2012
Registrato con un cellulare a un evento privato a Torino e caricato su YouTube: ecco il video di Fiorello sugli esodati e la Fornero.
Le parole:
STO LONTANO DAL LAVORO A ME PENSA LA FORNERO
NIENTE VOGLIO NIENTE SPERO MO' LAVORO TUTTO QUANTO A NERO
...LA CCHIU' BELLA 'E TUTTE E BELLE LA PENSIONE MIA DOV'E'
OHI VITA OHI VITA MIA DA QUANDO C'E' LA FORNERO
NON TENGO CCHIU' DINERO MO' SENZA SOLDI PROVA A STARCI TU
OHI VITA OHI VITA MIA DA QUANDO C'E' LA FORNERO
NON TENGO MANCO UN DINERO
MO' SENZA SOLDI PROVA A STARCI TU
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-6987dca6-42c2-4dd3-b69f-85d060645347-tg1.html
Andato in onda il: 21/06/2012
Registrato con un cellulare a un evento privato a Torino e caricato su YouTube: ecco il video di Fiorello sugli esodati e la Fornero.
Le parole:
STO LONTANO DAL LAVORO A ME PENSA LA FORNERO
NIENTE VOGLIO NIENTE SPERO MO' LAVORO TUTTO QUANTO A NERO
...LA CCHIU' BELLA 'E TUTTE E BELLE LA PENSIONE MIA DOV'E'
OHI VITA OHI VITA MIA DA QUANDO C'E' LA FORNERO
NON TENGO CCHIU' DINERO MO' SENZA SOLDI PROVA A STARCI TU
OHI VITA OHI VITA MIA DA QUANDO C'E' LA FORNERO
NON TENGO MANCO UN DINERO
MO' SENZA SOLDI PROVA A STARCI TU
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Ma l'Atac di Roma che problemi ha?
Sono giorni caldi quelli che viviamo a Roma e anche essere costretti a muoversi per la città, può diventare un trauma senza soluzione: poche corse di bus, nessun riparo dal sole, casini infiniti sulla metro B e B1 ed il tutto al prezzo di 1,50€ a biglietto per tratta di 100 minuti.
Si paga per essere trattati male e per essere umiliati.
Stilinga si chiede quanto sia grave la situazione all'Atac, altrimenti la gente non aspetterebbe oltre 40 minuti il bus e non ci metterebbe più di due ore, per esempio di domenica (giornata notoriamente abbandonata dal servizio pubblico) per coprire tratti ridicolmente vicini.
Ma è proprio vero, anche prendere l'autobus a Roma è un'avventura ricca di risvolti non proprio felici.
Allora Stilinga propone un referendum, una petizione: che tutti i politici italiani usino i mezzi pubblici, quindi solo autobus, tram e metro, per muoversi e vediamo se poi le cose funzionano!
Si paga per essere trattati male e per essere umiliati.
Stilinga si chiede quanto sia grave la situazione all'Atac, altrimenti la gente non aspetterebbe oltre 40 minuti il bus e non ci metterebbe più di due ore, per esempio di domenica (giornata notoriamente abbandonata dal servizio pubblico) per coprire tratti ridicolmente vicini.
Ma è proprio vero, anche prendere l'autobus a Roma è un'avventura ricca di risvolti non proprio felici.
Allora Stilinga propone un referendum, una petizione: che tutti i politici italiani usino i mezzi pubblici, quindi solo autobus, tram e metro, per muoversi e vediamo se poi le cose funzionano!
Le Teste Calde: un marchio per copricapi d'autore
Stilinga ha intervistato le due menti de Le Teste Calde, marchio romano specializzato in copricapi realizzati a mano con i materiali più vari.
Stilinga: Le Teste Calde… che nome divertente, come è nata quest’idea?
Le Teste Calde: cercavamo un nome che avesse un “carattere” e LeTeste Calde rende l’idea, descrive la nostra personalità,ed identifica la parte del corpo che i nostri accessori vestono.
Stilinga: Chi sono le Teste Calde? E come e quando è nata la vostra passione per la moda?
LTC: Moda?? Mai interessato molto della moda! Noi non l’abbiamo mai seguita e tantomeno i suoi clichè. Piuttosto seguiamo il nostro stile, poi se la moda ci vuole seguire, faccia pure…a noi certo non dispiace.
Stilinga: come e dove vi siete incontrate?
LTC: La sartoria teatrale dove abbiamo lavorato per quasi un decennio, ci ha dato la possibilità di incontrarci, svelandoci il meraviglioso mondo dei cappelli nell’ambito teatrale e cinematografico e lì siamo divenute amiche e ora socie.
Stilinga: come create una collezione nuova? Come vi dividete il lavoro? C’è chi crea e chi produce oppure entrambi partecipate a tutte le fasi?
LTC: ci piace lavorare con materiali differenti, quasi sperimentali e il teatro, a differenza delle “collezioni del the delle cinque”, ci ha rafforzato le ossa. Non ci siamo mai divise i ruoli, entrambe partecipiamo, sia con la mente che con le mani, a qualsiasi parte di un progetto, qualsiasi esso sia.
Stilinga: siete maggiormente interessate alla moda, allo stile o al costume?
LTC: Il nostro grande amore è il costume, poterci sbizzarrire tra piume e paillettes ci entusiasma sempre, per questo prediligiamo lavorare con drag queens, e poi in ambito teatrale, cinematografico e per spettacoli di burlesque.
Stilinga: quali sono le difficoltà che avete incontrato durante il vostro percorso lavorativo?
LTC: trovare contesti dove si possa lavorare liberamente e serenamente … bisogna anche ingegnarsi a seguire le “lune” dei committenti, che spesso presi dal genio,cercano di dimenarsi tra attacchi d’ansia e crisi isteriche.
Ecco, noi ad evitarli, siamo diventate bravissime.Un’altra enorme difficoltà sono i budgets, sempre più ridotti, dovuti anche ai gravi tagli inferti allo spettacolo.
Stilinga: dove trovate l'ispirazione per creare?
LTC: come diceva Monicelli … anche quando guardiamo fuori dalla finestra, stiamo lavorando. Prendiamo ispirazione sempre e ovunque, anche dai sogni, mentre dormiamo..
Stilinga: a quale progetto state lavorando attualmente?
LTC: Il nostro progetto principale è di lavorare senza svenderci o piegarci ai dettami della moda, ma invece al contrario di portare avanti il nostro stile (anche) di vita quindi più strass e meno stress.
Stilinga: che obiettivi avete nella vostra carriera?
LTC: Non smettere mai d’imparare, riuscire a mantenere la passione e l’entusiasmo per il nostro lavoro. Continuare a sperimentare nuovi materiali e trovare nuove esperienze lavorative magari con collaborazioni stimolanti.
Stilinga: cosa pensate del fatto a mano? Credete nel ritorno al fatto su misura, su richiesta e a prodotti di alta qualità?
LTC: La massa implora la fast fashion ma per lo stile e l’alta qualità il “fatto a mano” è un dogma.
Per quanto riguarda il nostro lavoro, la scelta praticamente non c’è: la particolarità della committenza ci obbliga all’esclusività del fatto a mano.
Ci capita spesso, lavorando per il mondo dello spettacolo, di seguire bozzetti pensati e fatti su un soggetto preciso, con esigenze sceniche ben definite che determinano la scelta di un materiale piuttosto che di un altro.
Stilinga: che cosa pensate dei prodotti moda industrializzati?
LTC: …No Comment !
Stilinga: volete elencare i siti web dove il vostro marchio è presente?
LTC: Con molto piacere: http://letestecalde.jimdo.com/le-nostre-creazioni/
il nostro sito dove conoscere un po’ più di noi e dei i vari lavori fatti per vari eventi.
E il nostro shop on line su Blomming : http://www.facebook.com/pages/LeTeste-Calde/120774841387001?sk=app_144228972310103
Stilinga: Le Teste Calde… che nome divertente, come è nata quest’idea?
Le Teste Calde: cercavamo un nome che avesse un “carattere” e LeTeste Calde rende l’idea, descrive la nostra personalità,ed identifica la parte del corpo che i nostri accessori vestono.
Stilinga: Chi sono le Teste Calde? E come e quando è nata la vostra passione per la moda?
LTC: Moda?? Mai interessato molto della moda! Noi non l’abbiamo mai seguita e tantomeno i suoi clichè. Piuttosto seguiamo il nostro stile, poi se la moda ci vuole seguire, faccia pure…a noi certo non dispiace.
Stilinga: come e dove vi siete incontrate?
LTC: La sartoria teatrale dove abbiamo lavorato per quasi un decennio, ci ha dato la possibilità di incontrarci, svelandoci il meraviglioso mondo dei cappelli nell’ambito teatrale e cinematografico e lì siamo divenute amiche e ora socie.
Stilinga: come create una collezione nuova? Come vi dividete il lavoro? C’è chi crea e chi produce oppure entrambi partecipate a tutte le fasi?
LTC: ci piace lavorare con materiali differenti, quasi sperimentali e il teatro, a differenza delle “collezioni del the delle cinque”, ci ha rafforzato le ossa. Non ci siamo mai divise i ruoli, entrambe partecipiamo, sia con la mente che con le mani, a qualsiasi parte di un progetto, qualsiasi esso sia.
Stilinga: siete maggiormente interessate alla moda, allo stile o al costume?
LTC: Il nostro grande amore è il costume, poterci sbizzarrire tra piume e paillettes ci entusiasma sempre, per questo prediligiamo lavorare con drag queens, e poi in ambito teatrale, cinematografico e per spettacoli di burlesque.
Stilinga: quali sono le difficoltà che avete incontrato durante il vostro percorso lavorativo?
LTC: trovare contesti dove si possa lavorare liberamente e serenamente … bisogna anche ingegnarsi a seguire le “lune” dei committenti, che spesso presi dal genio,cercano di dimenarsi tra attacchi d’ansia e crisi isteriche.
Ecco, noi ad evitarli, siamo diventate bravissime.Un’altra enorme difficoltà sono i budgets, sempre più ridotti, dovuti anche ai gravi tagli inferti allo spettacolo.
Stilinga: dove trovate l'ispirazione per creare?
LTC: come diceva Monicelli … anche quando guardiamo fuori dalla finestra, stiamo lavorando. Prendiamo ispirazione sempre e ovunque, anche dai sogni, mentre dormiamo..
LTC: Il nostro progetto principale è di lavorare senza svenderci o piegarci ai dettami della moda, ma invece al contrario di portare avanti il nostro stile (anche) di vita quindi più strass e meno stress.
Stilinga: che obiettivi avete nella vostra carriera?
LTC: Non smettere mai d’imparare, riuscire a mantenere la passione e l’entusiasmo per il nostro lavoro. Continuare a sperimentare nuovi materiali e trovare nuove esperienze lavorative magari con collaborazioni stimolanti.
Stilinga: cosa pensate del fatto a mano? Credete nel ritorno al fatto su misura, su richiesta e a prodotti di alta qualità?
LTC: La massa implora la fast fashion ma per lo stile e l’alta qualità il “fatto a mano” è un dogma.
Per quanto riguarda il nostro lavoro, la scelta praticamente non c’è: la particolarità della committenza ci obbliga all’esclusività del fatto a mano.
Ci capita spesso, lavorando per il mondo dello spettacolo, di seguire bozzetti pensati e fatti su un soggetto preciso, con esigenze sceniche ben definite che determinano la scelta di un materiale piuttosto che di un altro.
Stilinga: che cosa pensate dei prodotti moda industrializzati?
LTC: …No Comment !
Stilinga: volete elencare i siti web dove il vostro marchio è presente?
LTC: Con molto piacere: http://letestecalde.jimdo.com/le-nostre-creazioni/
il nostro sito dove conoscere un po’ più di noi e dei i vari lavori fatti per vari eventi.
E il nostro shop on line su Blomming : http://www.facebook.com/pages/LeTeste-Calde/120774841387001?sk=app_144228972310103
Ministro Fornero e l'ossessione del lavoro manuale
L’ossessione del lavoro manuale (di Francesca Coin) da www.ilfattoquotidiano.it del 06.06.2012
IL FALSO MITO
Si dice che, qualche giorno fa, in visita alla piazza dei Mestieri, a Torino, il ministro del Welfare Elsa Fornero abbia incontrato gli studenti della scuola professionale di via Durandi nei laboratori di panetteria e pasticceria. E che, con sensibilità e partecipazione, si sia intrattenuta nelle cucine colpita dall'intraprendenza culinaria delle studenti. Certo, magari non tutti (o tutte) gradiscono l'entusiasmo del tecnico Fornero per l'agilità delle ventenni in cambusa. Fatto sta che alla fine della visita, mentre la pasta lievitava e le frittate facevano le capriole, il ministro ha incoraggiato le studenti così: “Imparare un mestiere, una professione, oggi è importante”, ha detto. “Non è detto che tutti debbano avere una laurea, magari di malavoglia” [...]. “Questa è una scuola che recupera molto in questo senso, [...] e quindi tanto di cappello” .
Era da un po' che non ascoltavamo una frase così. Come è noto la scarsa commestibilità della cultura era uno dei principali crucci del vecchio governo. Basta con le lauree inutili, ripeteva Mariastella Gelmini. I giovani hanno “l'intelligenza nelle mani”, assicurava l'ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. “È meglio un carrozziere che un laureato in nulla”, continuava il sociologo Giuseppe De Rita.
“A che serve pagare uno scienziato quando facciamo le scarpe più belle del mondo?”, cantava sorridente l'ex presidente del Consiglio.
Se l'allergia all'istruzione era un tratto distintivo del vecchio governo, nessuno si sarebbe atteso dal governo dei professori la stessa freddezza.
E invece le parole del ministro Fornero esplicitano ciò che da mesi era chiaro: che vi è un'infelice continuità nelle politiche degli ultimi due governi in tema di istruzione e di investimento in ricerca e sviluppo, al punto che, a meno di un repentino cambio di rotta, il paese rischia di regredire in entrambi i settori a livello del Sud del mondo.
Facciamo un passo indietro. Basta sfogliare il rapporto Ocse Education at a Glance 2011 e l'ultimo rapporto Almalaurea per convincersi della gravità del problema.
L'Italia è uno dei paesi occidentali con il minor numero di laureati, e quei pochi che ci sono sono già troppi per il mercato italiano.
Pare una contraddizione e invece è un dato importante, perché la contrazione della quota di occupati ad alta specializzazione in un momento di crisi è non solo in controtendenza rispetto a quanto avviene negli altri paesi occidentali, ma è il sintomo di una struttura produttiva che affida la propria permanenza sul mercato esclusivamente alla compressione dei costi di lavoro.
Oggi i diciannovenni sono quasi il 40 per cento in meno del 1984, e purtuttavia solo il 20 per cento dei giovani tra i 23 e i 34 anni si laurea, contro il 37 per cento dei Paesi Ocse. Non solo, ma il numero degli immatricolati continua a scendere, mentre aumenta il numero dei laureati che emigra. Siamo forse così dinamici da poterci permettere di condannare le nuove generazioni all'esodo?
Ora, la crescente difficoltà occupazionale dei laureati non è un problema solo italiano.
Ne parla tutto il mondo, che la definisce “bolla formativa”, il fenomeno per cui la contrazione nel tasso occupazionale è andata di pari passo con la crescita diffusa della generazione più istruita della storia.
Ottima risorsa in un momento di crisi, verrebbe da dire.
Fatto sta che mentre l'unico caposaldo politico condiviso da Washington a Berlino è la necessità d'investire in istruzione come vettore della ripresa sociale, in Italia si è scelta una strada originale.
Se guardiamo ai dati Ocse rielaborati dal Ceris nel rapporto Scienza e tecnologia in cifre, vediamo, infatti, che l'Italia è penultima nella spesa per ricerca e sviluppo rispetto agli altri paesi europei, ultima quanto a personale addetto alla ricerca nelle imprese, penultima quanto a percentuale di ricercatori in rapporto al totale degli occupati, terzultima per personale ricercatore nelle università.
A fronte di una retorica sempre più asfittica di merito e innovazione, i dati Almalaurea ci dicono che nel settore privato lavora in buona parte personale che ha conseguito solo il titolo della scuola dell'obbligo, chi ha una laurea specialistica fa più fatica a trovare lavoro rispetto a chi ha una laurea triennale, e le retribuzioni reali di chi ha una laurea specialistica sono più basse rispetto alle retribuzioni reali di chi ha una laurea triennale, il contrario di ciò che la logica vorrebbe.
In tutto questo, quali sono le soluzioni? Stando alle ultime novità del ministero del Lavoro e del ministero dell'Istruzione, penso alla riforma del lavoro e alla controversa bozza di decreto sul merito, la risposta è più precarietà e meno tutele nel lavoro, più retorica e meno borse di studio nell'istruzione.
Maggiore “sinergia tra l'università e le imprese”, dunque?
Certo, ma al ribasso: minore lavoro, minori tutele e minore istruzione per tutti.
Forse la Fornero ha ragione a cantare le lodi del lavoro manuale. Spiace solo che sia l'unica prospettiva concreta che è stata in grado di offrire.
Francesca Coin (sociologa, Università di Venezia)
06 giugno 2012 - Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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IL FALSO MITO
Si dice che, qualche giorno fa, in visita alla piazza dei Mestieri, a Torino, il ministro del Welfare Elsa Fornero abbia incontrato gli studenti della scuola professionale di via Durandi nei laboratori di panetteria e pasticceria. E che, con sensibilità e partecipazione, si sia intrattenuta nelle cucine colpita dall'intraprendenza culinaria delle studenti. Certo, magari non tutti (o tutte) gradiscono l'entusiasmo del tecnico Fornero per l'agilità delle ventenni in cambusa. Fatto sta che alla fine della visita, mentre la pasta lievitava e le frittate facevano le capriole, il ministro ha incoraggiato le studenti così: “Imparare un mestiere, una professione, oggi è importante”, ha detto. “Non è detto che tutti debbano avere una laurea, magari di malavoglia” [...]. “Questa è una scuola che recupera molto in questo senso, [...] e quindi tanto di cappello” .
Era da un po' che non ascoltavamo una frase così. Come è noto la scarsa commestibilità della cultura era uno dei principali crucci del vecchio governo. Basta con le lauree inutili, ripeteva Mariastella Gelmini. I giovani hanno “l'intelligenza nelle mani”, assicurava l'ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. “È meglio un carrozziere che un laureato in nulla”, continuava il sociologo Giuseppe De Rita.
“A che serve pagare uno scienziato quando facciamo le scarpe più belle del mondo?”, cantava sorridente l'ex presidente del Consiglio.
Se l'allergia all'istruzione era un tratto distintivo del vecchio governo, nessuno si sarebbe atteso dal governo dei professori la stessa freddezza.
E invece le parole del ministro Fornero esplicitano ciò che da mesi era chiaro: che vi è un'infelice continuità nelle politiche degli ultimi due governi in tema di istruzione e di investimento in ricerca e sviluppo, al punto che, a meno di un repentino cambio di rotta, il paese rischia di regredire in entrambi i settori a livello del Sud del mondo.
Facciamo un passo indietro. Basta sfogliare il rapporto Ocse Education at a Glance 2011 e l'ultimo rapporto Almalaurea per convincersi della gravità del problema.
L'Italia è uno dei paesi occidentali con il minor numero di laureati, e quei pochi che ci sono sono già troppi per il mercato italiano.
Pare una contraddizione e invece è un dato importante, perché la contrazione della quota di occupati ad alta specializzazione in un momento di crisi è non solo in controtendenza rispetto a quanto avviene negli altri paesi occidentali, ma è il sintomo di una struttura produttiva che affida la propria permanenza sul mercato esclusivamente alla compressione dei costi di lavoro.
Oggi i diciannovenni sono quasi il 40 per cento in meno del 1984, e purtuttavia solo il 20 per cento dei giovani tra i 23 e i 34 anni si laurea, contro il 37 per cento dei Paesi Ocse. Non solo, ma il numero degli immatricolati continua a scendere, mentre aumenta il numero dei laureati che emigra. Siamo forse così dinamici da poterci permettere di condannare le nuove generazioni all'esodo?
Ora, la crescente difficoltà occupazionale dei laureati non è un problema solo italiano.
Ne parla tutto il mondo, che la definisce “bolla formativa”, il fenomeno per cui la contrazione nel tasso occupazionale è andata di pari passo con la crescita diffusa della generazione più istruita della storia.
Ottima risorsa in un momento di crisi, verrebbe da dire.
Fatto sta che mentre l'unico caposaldo politico condiviso da Washington a Berlino è la necessità d'investire in istruzione come vettore della ripresa sociale, in Italia si è scelta una strada originale.
Se guardiamo ai dati Ocse rielaborati dal Ceris nel rapporto Scienza e tecnologia in cifre, vediamo, infatti, che l'Italia è penultima nella spesa per ricerca e sviluppo rispetto agli altri paesi europei, ultima quanto a personale addetto alla ricerca nelle imprese, penultima quanto a percentuale di ricercatori in rapporto al totale degli occupati, terzultima per personale ricercatore nelle università.
A fronte di una retorica sempre più asfittica di merito e innovazione, i dati Almalaurea ci dicono che nel settore privato lavora in buona parte personale che ha conseguito solo il titolo della scuola dell'obbligo, chi ha una laurea specialistica fa più fatica a trovare lavoro rispetto a chi ha una laurea triennale, e le retribuzioni reali di chi ha una laurea specialistica sono più basse rispetto alle retribuzioni reali di chi ha una laurea triennale, il contrario di ciò che la logica vorrebbe.
In tutto questo, quali sono le soluzioni? Stando alle ultime novità del ministero del Lavoro e del ministero dell'Istruzione, penso alla riforma del lavoro e alla controversa bozza di decreto sul merito, la risposta è più precarietà e meno tutele nel lavoro, più retorica e meno borse di studio nell'istruzione.
Maggiore “sinergia tra l'università e le imprese”, dunque?
Certo, ma al ribasso: minore lavoro, minori tutele e minore istruzione per tutti.
Forse la Fornero ha ragione a cantare le lodi del lavoro manuale. Spiace solo che sia l'unica prospettiva concreta che è stata in grado di offrire.
Francesca Coin (sociologa, Università di Venezia)
06 giugno 2012 - Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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