Gallino: “Il Jobs Act? Una pericolosa riforma di destra” ...e la Germania che crea lavoratori poveri!

intervista a Luciano Gallino, di Giacomo Russo Spena
Domani, mercoledì 3 dicembre, è il fatidico giorno. Il premier Renzi, l’Europa e i mercati lo auspicano da tempo, meno gli operai, i precari e gli studenti che saranno in piazza ad assediare il Senato. Finito l’iter il Jobs Act sarà legge, per il sociologo Luciano Gallino siamo “alla mercificazione del lavoro, è un provvedimento stantio e pericoloso”. 

Scusi professore, lei parla di un progetto vecchio eppure il governo – che del nuovismo ha fatto un cavallo di battaglia – lo sponsorizza proprio per modernizzare il Paese. Dov’è l’imbroglio? 

Nel Jobs Act non vi è alcun elemento né innovativo né rivoluzionario, tutto già visto 15-20 anni fa. E’ una creatura del passato che getta le proprie basi nella riforma del mercato anglosassone di stampo blairiano, nell’agenda sul lavoro del 2003 in Germania e, più in generale, nelle ricerche dell’Ocse della metà anni ’90. Inoltre si tratta di una legge delega, un grosso contenitore semivuoto che sarà riempito nei prossimi mesi o chissà quando. Non mi sembra un provvedimento che arginerà la piaga della precarietà né che rilancerà l’occupazione nel Paese. 

Una bocciatura netta. E del premier che giudizio esprime, molti iniziano a considerare il renzismo come il compimento del berlusconismo. E’ d’accordo? 

Per certi aspetti sì, il Jobs Act potrebbe tranquillamente esser stato scritto da un ministro di un passato governo Berlusconi. Non a caso Maurizio Sacconi è uno dei politici più entusiasti. Renzi continua nel solco di politiche di destra impostate sul taglio ai diritti sul lavoro, sulla compressione salariale e sulla possibilità di un maggiore controllo delle imprese sui dipendenti, vedi l’uso delle telecamere. 

In un recente editoriale su Repubblica ha contrapposto alla Leopolda renziana, la piazza della Cgil. Eppure in altre occasioni passate aveva espresso dubbi sull’organizzazione di Susanna Camusso, accusandola di aver “appannato la bandiera del sindacato”. Ha cambiato idea? 

Negli ultimi mesi ad esser cambiata è la Cgil. In diversi frangenti non ha contrastato i nefasti provvedimenti avanzati dai governi, come nel caso della riforma pensionistica. Ha accettato supinamente leggi micidiali e lo smantellamento del nostro welfare. SulJobs Act è stata incisiva mettendo in piedi una dura resistenza. E le divergenze tra Cgil e Fiom – che invece ha sempre mantenuto la barra dritta – ora sono minori, questo va salutato positivamente. 

Le nostre politiche economiche vengono dettate da quell’Europa che sta imponendo soprattutto ai Paesi del Sud Europa dure misure di austerity e privatizzazioni. Che credibilità ha Renzi quando minaccia di sbattere i pugni a Bruxelles? 

Dagli anni ’90 i socialisti europei e le differenti branche della socialdemocrazia hanno abdicato e sono stati contagiati dall’ideologia neoliberale abbracciando così l’idea dei mercati da anteporre alla democrazia. Alla finanza che disciplina i governi. In questo quadro, le affermazioni del premier sono vuote, alle invettive non corrispondono i fatti: il Jobs Act e la legge di Stabilità ne sono la palese prova. Persiste l’ortodossa ubbidienza ai diktat dell’Europa, Renzi non è altro che un fedele esecutore della Troika. 

Non crede in repentine svolte in Europa e a strade alternative? 

Siamo lontani dal contrastare le politiche imposte da Bruxelles. La sinistra italiana come espressione di massa di fatto non esiste più. Sono rimaste delle schegge, anche interessanti, ma politicamente ininfluenti soprattutto di fronte a quel che dovrebbe essere il domani di una sinistra in grado di rappresentare una valida opzione e un’opposizione solida in Parlamento. In Europa Podemos e Syriza rappresentano segnali importanti, iniziano ad avere una valenza di massa. In generale, le recenti elezioni hanno confermato quasi ovunque governi di destra o, ad essere gentili, di centrodestra. Ciò significa che la maggioranza degli elettori dell’eurozona preferisce lo status quo, purtroppo. La Germania ha rivotato in massa la cancelliera Angela Merkel e il ministro Wolfgang Schäuble malgrado le politiche restrittive e del rigore

Per l’Italia auspica la nascita di un forte soggetto a sinistra del renzismo? 

Detesto le sfere di cristallo, il futuro non è prevedibile. Bisogna costruirlo. E di certo nel Paese esistono milioni di persone mosse da ideali e sensibilità di sinistra alla ricerca di una nuova modalità di aggregazione. Le varie schegge esistenti dovrebbero riformularsi, diventare un’unica forza per poter così rappresentare una reale alternativa. Ma c’è molta strada da percorrere, molta. 

Lei ha firmato insieme agli economisti Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini un appello che propone la nascita di una moneta parallela all’euro per uscire dalla trappola della liquidità e del debito. In che consiste? 

Qui non si tratta di uscire dall’euro ma di avere in Italia dei titoli pubblici con la possibilità di poterli spendere e scambiare come se fossero una moneta. Nel manifesto si parla esplicitamente della fuoriuscita dall’euro come atto con conseguenze disastrose per la nostra economia. Penso alla fuga dei capitali, alla possibile svalutazione della nuova moneta e alle complicazioni burocratiche. Ci sono milioni di contratti con soggetti esteri denominati in euro, che dovrebbero essere ritoccati e modificati. Un’assurdità. Nell’euro ci siamo, consci che ci sono gravissimi problemi che andrebbero analizzati e discussi mentre Bruxelles e in primis la Germania lo vietano in maniera categorica. La nostra proposta è un modo per ovviare a livello nazionale alle rigidità dell’euro e far circolare contante a chi ne ha meno, compresi lavoratori e medie e piccole imprese. 

Un modo di riottenere la sovranità perduta? 

Certamente. Il trasferimento di poteri da Roma a Bruxelles forse è andato oltre anche a quel che era previsto a Maastricht. Viviamo in un’Europa delle diseguaglianze che necessita di alcuni urgenti interventi, al momento non sembra ci siano le condizioni: la Commissione non vuole modificare la propria linea economica con Junker sostenuto convintamente dalla Germania. L’euro sarà destinato a propagare guai ancora per molto tempo e l’emissione in Italia di Certificati di Credito Fiscale (CCF) potrebbe mitigare i disastri della moneta unica, così pensata. 

Pablo Iglesias, leader di Podemos, parla esplicitamente di una Spagna “colonia della Germania”. Il discorso può valere per l’Italia? 

Il termine colonia è un po’ forte. Però di fatto le politiche che stanno strangolando i Paesi con tagli alla spesa pubblica, con l’ossessione dell’avanzo primario – quindi tartassare sempre maggiormente i cittadini e nello stesso momento diminuire servizi – sono procedimenti suicidi e insensati. E molte di queste imposizioni sono volute dalla Germania, dietro alla durezza del governo tedesco ci sono le banche tedesche che si erano esposte con l’acquisto di titoli internazionali. La Germania ha pensato di salvare le proprie banche. Forse non siamo una colonia, di certo soggetti ad una forma di imposizione esterna. Come noi anche gli altri Paesi dell’Europa del Sud e la Francia. 

Anche la Francia? 

Di meno, è sempre la seconda economia dell’eurozona ed ha legami storici con la Germania dai tempi di Mitterrand. Ma ha subito forte pressioni ed è stato costretta a tagliare salari, pensioni e sanità. Lo stesso governo tedesco ha introdotto nel proprio Paese le misure d’austerity, a partire dall’agenda 2010 del 2003, arrivando alla creazione del settore dei lavoratori poveri più ampio d’Europa: 15 milioni di persone che guadagnano meno di 6 euro l’ora oppure occupati 15 ore alla settimana per 450 euro al mese. 15 milioni è circa un quarto della forza lavoro tedesca… 

(2 dicembre 2014)

CI SIAMO ROTTI! Fermiamo l'aumento inps al 33%!

da http://youmedia.fanpage.it/video/aa/VH-v6-SworoTg95c

Decine di freelance a Milano (ma anche a Roma, Firenze e Palermo) si sono uniti per protestare contro l'aumento dell'aliquota Inps al 33%, che è già passato alla Camera senza emendamenti. 

Secondo l'Osservatorio dei lavoratori ci sono 1,7 milioni di persone iscritti alla gestione separata. 

Sono una massa inafferrabile, che non si vede spesso in piazza, e che raccoglie categorie disparate e divise a compartimenti stagni. 

Non sono solo professionisti, ma anche subordinati camuffati da lavoratori autonomi. "Da una parte il Governo dice che il posto fisso non ci sarà più – dice la Presidente di Acta – dall'altro però non fa niente per tutelarci e per tutelare i giovani". 

Al centro della polemica, infatti, c'è anche la modifica del regime dei minimi. "L'aumento al 33% ci rende tutti uguali, – ci dice un lavoratore a partita Iva – pagheremo come se fossimo sia i padroni che i dipendenti di noi stessi".

#siamorotti: istruzioni per partecipare alla nostra azione di ROTTURA

Sei a Milano, Roma, Firenze o Palermo? Vuoi dire anche tu che #siamorotti? Vuoi fermare l'aumento dell'aliquota INPS al 33%?

Vieni stasera alle 19.33 nei coworking elencati qui sotto, portati un salvadanaio, unmartello, altri freelance come te e magari qualcosa da bere e da mangiare per il dopo.

A Milano l'appuntamento è presso inCOWO in via Montegani 23: www.incowo.it

A Roma l'appuntamento è presso Millepiani in via Nicolò Odero, 13: www.millepiani.eu

A Firenze l'appuntamento è presso LoFoIo in via del Campuccio 23R: www.lofoio.it

A Palermo l'appuntamento è presso Re Federico in via Re Federico 23:www.coworkingpalermo.net


La tua partecipazione è importante, perché più siamo, più contiamo! 

Giornalisti e TV saranno presenti, ma a fare la differenza siamo noi e allora attiviamoci!

Conferma la tua presenza ora, scrivi una mail a join@actainrete.it specificando la città in cui sarai. Grazie!

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Non sei in queste città, ma vuoi partecipare lo stesso?


Ecco cosa puoi fare sui social media per dire che #siamorotti.

Su Facebook, cambia la foto del tuo profilo con questa immagine: http://www.actainrete.it/wp-content/uploads/2014/12/siamorotti-screen.png
Invita i tuoi amici freelance a fare altrettanto.

Su Twitter, puoi fare lo stesso e in più ritwitta i tweet di @actainrete e invia tweet con gli hashtag #siamorotti e #dicano33. Coinvolgi politici e media in modo da aiutarci a fare pressione sui contatti e sui canali giusti.

Se conosci giornalisti, TV e radio, anche locali, manda loro il nostro comunicato stampahttp://www.actainrete.it/wp-content/uploads/2014/12/CS_siamorotti.pdf

Invia una mail a tutti i tuoi colleghi e amici freelance per invitarli a partecipare.

A partire dalle 20.33 di stasera (NON PRIMA) insieme a noi potrai partecipare LIVE alla nostra azione di rottura. Preparati con salvadanaio, martello e/o immagine stampata del nostro #siamorotti che trovi qui: http://www.actainrete.it/wp-content/uploads/2014/12/siamorotti-print.png.
Tieni pronto il PC o lo smartphone e scalda i polpastrelli!

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Gallino: “Il Jobs Act? Una pericolosa riforma di destra” - micromega-online - micromega

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L’INPS non c’entra niente... ma il governo sì! Contro l'aumento annunciato di 7 punti % INPS gestione separata!



Quando scriviamo di previdenza su questa pagina diamo l’impressione – a torto - che alla base dei problemi pensionistici ci sia l’INPS.
A nulla valgono le dichiarazioni di consapevolezza che ad essere difettosa è la legge di riforma della previdenza che, con l’introduzione del metodo “contributivo”, ha penalizzato le future generazioni.
C’è sempre qualche amico che ci rimprovera e ci dice che noi ce la prendiamo con l’INPS.
A nostra discolpa vorremmo dire che quando parliamo di “versamenti di soldi all’INPS” o diciamo che “l’INPS ci restituisce meno di quello che versiamo” diciamo una cosa tecnicamente vera, perché i soldi sono depositati presso l’Istituto ed è l’Istituto stesso che eroga i pagamenti e calcola le rivalutazioni.
Ad ogni modo, a conferma di quanto sopra, vogliamo dichiarare qui con fermezza e a titolo definitivo che l’INPS non c’entra proprio niente. L’INPS è solo il braccio operativo e fa quello che dice la legge. Speriamo di non dover ritornare più su questo punto, se non altro perché la questione è secondaria e ci fa distrarre dal problema principale che, ripetiamo, è che l’istituzione deputata a ricevere le nostre contribuzioni previdenziali ai sensi e per gli effetti della legge 335/95 ci restituisce meno di quello che depositiamo e che, nel lungo periodo, c’è un rischio di povertà in vecchiaia dei cittadini italiani.
Vorremmo, però, fare alcune osservazioni.
La riforma previdenziale del 1995 è stata fatta per trasferire sui cittadini tutti i rischi di un andamento negativo dell’economia italiana. Sussiste il dubbio che un sistema così sofisticatamente perverso - dove si sottraggono un po’ alla volta le risorse alle generazioni future che man mano vanno in pensione con il metodo contributivo, ricevendo meno di quello che hanno versato – sia stato concepito da qualche anima semplice che si trovava lì di passaggio. Deve per forza essere il parto della mente di tecnici, peraltro non molto brillanti o comunque interessati solo a tenere in piedi un sistema senza troppi riguardi per le conseguenze sulla vita dei cittadini.
Infatti, se la riforma è stata fatta soprattutto alla luce della denatalità, come si può pensare di continuare a tenere in piedi un sistema – quello a ripartizione, dove le pensioni si pagano con i contributi dei giovani – fondato ancora sulla contribuzione dei nuovi nati che entrano nel mercato del lavoro?
Comunque è solo una coincidenza che il padre della riforma sia l’attuale presidente dell’INPS, il professor Tiziano Treu.

Un altro caso è quello della cosiddetta “busta arancione”.

La busta arancione è un estratto conto che i cittadini dovrebbero ricevere ogni anno con i dati relativi alla loro pensione, con le indicazioni su quanto hanno versato e quanto possono aspettarsi se vanno in pensione nelle diverse età in cui maturano i requisiti.
Questo è uno strumento utilissimo per aiutare il cittadino a pianificare la sua vita. L’INPS però continua a nicchiare e suscita non poco sconforto il sapere che esiste un’istituzione pubblica così noncurante che si occupa di una materia così delicata.
Altro problema. 
Ormai tutti sanno che la rivalutazione del montante maturato al 31 dicembre 2013 sarà negativo. L’INPS, per bocca dei suoi massimi dirigenti, si è affrettata a dire che la rivalutazione sarà portata invece a zero.
Come fa l’INPS a fare una cosa del genere? L’INPS ha potere discrezionale sulle rivalutazioni?

No, l’INPS non c’entra proprio niente.

La Repubblica bacchetta Renzi

da: http://www.lettera43.it/politica/renzi-e-i-giornali-un-amore-finito_43675148428.htm
La Repubblica bacchetta Renzi

Si sa, la luna di miele tra il premier in carica e il Paese che governa ha sempre una data di scadenza. E il primo segnale arriva sempre con il posizionamento della grande stampa.
È una regola aurea. Una volta saliti al potere, ci si misura con la realtà.
E ogni storytelling, per quanto evocativo, sbatte il muso contro il Pil che frena, la disoccupazione che aumenta, lo scandalo di partito, le beghe tra correnti e la «cocciutaggine» dei sindacati pronti a scendere in piazza.
PIAZZA MATRIGNA. E così anche un presidente del Consiglio come Matteo Renzi, Mr 41%, è costretto a evitare le piazza e concludere le campagne elettorali per le Regionali in Emilia-Romagna e Calabria al chiuso. Dopo i mesi di selfie-mania e delle canzoncine dedicate, sono arrivate le uova.
E poco importa se Matteo promette di prepararci delle crêpe.

L'aria, insomma, è cambiata. E così anche un quotidiano non certo gufo come La Repubblicasi sbilancia con un editoriale non firmato per nulla tenero. Il titolo che non lascia spazio ai dubbi: «Parole sbagliate».
CADUTA DI STILE. «Un conflitto sull'articolo 18 è comprensibile», si legge sulla prima del giornale, «ed era anche prevedibile. Il linguaggio con cui il presidente del Consiglio tratta la Cgil è invece molto meno comprensibile».
È vero: Susanna Camusso non ci è andata leggera con il leader del Pd. Lo considera subalterno ai paròn, «un personaggio dell'Ottocento, abusivo a sinistra».
Ma il premier «mentre annuncia a parole rispetto per chi dissente, dileggia il sindacato, banalizza le ragioni della protesta, svaluta insieme con lo sciopero una storia legata alla conquista e alla difesa di diritti che, tutelando i più deboli, contribuiscono alla cifra complessiva della democrazia di cui tutti usufruiamo».
IL FORTINO DI SCALFARI. Una tirata d'orecchie che allinea Ezio Mauro alle posizioni critiche del fondatore di La Repubblica Eugenio Scalfari. Che a Renzi non ha mai lesinato critiche e affondi.
Un «pifferaio», lo aveva definito il 31 agosto 2014, che sta «indebolendo la democrazia» visto che «la sola vera conseguenza è il suo rafforzamento personale a discapito della democrazia la cui fragilità sta sfiorando il culmine senza che il cosiddetto popolo sovrano ne abbia alcuna percezione».
Scalfari, il Montanelli di Renzi, non ha mai stimato il sindaco di Firenze. «Il programma di Renzi è carta straccia», scriveva il 30 settembre 2010. 
Due primarie dopo, il grande vecchio del giornalismo italiano ammetteva però: «Se scenderà in campo, Renzi conquisterà la segreteria del Pd, perché non ha veri avversari capaci di sbarrargli la strada».
PURE DE BENEDETTI FA MARCIA INDIETRO.  Perfino l'editore Carlo De Benedetti si è dovuto ricredere: durante il 2012 aveva dato il suo sostegno a Pier Luigi Bersani e di Renzi diceva: «Non ci serve un Berlusconi di sinistra».
Ma l'avversione è durata poco. Un anno dopo, nel maggio 2013, affermava: «L'unico leader spendibile al momento è Renzi. È una persona nuova, pratica, che ha fatto il sindaco ed è giovane». Nel 2014 poi il presidente del gruppo L'Espresso aggiungeva: «Non è furbo, ma intelligente. Ho scoperto che è una spugna, ha una quantità di energia mai vista».
Ora con la gelata di Mauro forse si sta entrando in una nuova fase.
Il primo grande quotidiano ad aprire apertamente le ostilità con Matteo Renzi è stato ilCorriere della Sera. Il suo direttore Ferruccio De Bortoliil 24 settembre ha scritto un editoriale al vetriolo: «Devo essere sincero: Renzi non mi convince. Non tanto per le idee e il coraggio: apprezzabili, specie in materia di lavoro. Quanto per come gestisce il potere. Se vorrà veramente cambiare verso a questo Paese dovrà guardarsi dal più temibile dei suoi nemici: se stesso. Una personalità egocentrica è irrinunciabile per un leader. Quella del presidente del Consiglio è ipertrofica. Ora, avendo un uomo solo al comando del Paese (e del principale partito), senza veri rivali, la cosa non è irrilevante».
«UN PARTITO PERSONALE». E poi rincarava la dose: «Le controfigure renziane abbondano anche nella nuova segreteria del Pd, quasi un partito personale, simile a quello del suo antico rivale, l’ex Cavaliere. E qui sorge l’interrogativo più spinoso. Il patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015. Sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti. Liberandolo da vari sospetti (riguarda anche la Rai?) e, non ultimo, dallo stantio odore di massoneria. Auguriamo a Renzi di farcela e di correggere in corsa i propri errori. Non può fallire perché falliremmo anche noi».
LA PUBBLICITÀ PRO MATTEO. Non che il quotidiano di via Solferino fosse stato sempre tenero con il governo. Ma l'editoriale di De Bortoli ha rappresentato comunque uno spartiacque. Tanto che due settimane dopo ilCorsera ha pubblicato una pagina a pagamento a sostegno del premier, firmata da esponenti dell'aristocrazia italiana, come Alessandra Ferrari de Grado, Federico Lalatta Costerbosa, Gerolamo Caccia Dominioni e Claudio Biscaretti di Ruffia. C'erano anche volti di spicco della finanza, come Alberto Milla (fondatore della banca Euromobiliare ai tempi di De Benedetti), Anna Cristina du Chene de Vere e Federico Schlesinger.
A onor del vero, il Corriere ospitò anche una pagina di sostenitori di Marcello Dell'Utri... insomma pecunia non olet.
IL CASO ALGEBRIS. La distanza con l'universo renziano, il quotidiano l'aveva segnata già il 18 ottobre 2012, sparando in prima pagina l'assetto societario del fondo Algebris del finanziere Davide Serra e la sede alle Cayman.
Dal canto suo Renzi non ha risparmiato le punzecchiature ai giornali. L'ultima il 16 settembre di quest'anno: «Abbiamo un gruppo di editorialisti che ci dicono che va tutto male, gli stessi che quando è arrivata la crisi ne hanno sottovalutato la portata. Sono gli stessi che hanno dato soluzioni che non hanno funzionato. E gli stessi che ora ci vogliono impedire di cambiare il Paese solo perché loro non ce l’hanno mai fatta». Che si riferisse anche agli economisti del Corsera Alesina e Giavazzi, critici della manovra renziana?La Stampa ha mantenuto finora invece un atteggiamento benevolo nei confronti del premier. Del resto l'asse tra Matteo Renzi e Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fca e azionista del giornale torinese, tiene.
Pure un critico come Luca Ricolfi ha aperto una linea di credito nei confronti dell'ex rottamatore riconoscendogli «coraggio ed energia» nel tentativo, «meritorio», di portare il Pd su «posizioni di sinistra liberale». 
Renzi, scrisse il 16 settembre 2012, «prova a sfidare la maggioranza del suo partito, mentre nessuno degli altri lo aveva fatto finora».
L'INTERVISTA COI GOOGLE GLASS. Di tempo ne è passato ma il rapporto è rimasto sostanzialmente cordiale.
In aprile il direttore Mario Calabresi arrivò a intervistare il premier indossando i Google Glass. Un'ode al modernismo e al giornalismo 2.0.
Forse, per riportare in equilibrio la livella, Calabresi ha recentemente titolato così le prime tre lettere della sua rubrica: «Art. 18, i problemi sono ben altri»; «Art. 18, c'è chi parla senza conoscere»; «Il vero conservatore si chiama Renzi».
GRAMELLINI E IL «PASSO CARRAI». A marzo 2014, il vicedirettore Massimo Gramellini difese il premier nel suo Buongiorno con un editoriale intitolato «Passo Carrai».
Libero aveva rivelato che per poter votare a Firenze, dove correva per diventare sindaco, Renzi prese la residenza in centro storico il cui affitto era pagato dall'amico Marco Carrai.
«Chi non è ancora accecato dalle semplificazioni dovrà riconoscere che esiste qualche differenza tra un Formigoni che fa le vacanze a sbafo sullo yacht di un finanziere in affari con la Regione Lombardia da lui presieduta e il legame privilegiato che intercorre tra gli amici di una vita. Di tutte le forme di favoritismo, questa mi sembra, se non la migliore, per lo meno la più umana».
A conti fatti, la penna realmente dissidente resta quella della 'Jena' Riccardo Barenghi.A non avere cambiato linea è Il Foglio di Giuliano Ferrara. Con Claudio Cerasa ormai narratore ufficiale del renzismo. Invitato anche all'ultima cena di raccolta fondi per il partito, Cerasa ha seguito l'ascesa del sindaco di Firenze a palazzo Chigi. Mappando alleati, nemici, reti di potere.
LA DICHIARAZIONE DI FERRARA. Per non parlare del direttore Giuliano Ferrara. Che, pur criticandolo, lo ha sempre apprezzato. È  sufficiente rileggere l'editoriale «L'erede». «Basta vederlo dall'antico Vespa», scriveva l'Elefantino; «Quello di Renzi di pianeta, è lo stesso del Cav (e non solo del Berlusconi delle origini)»; «Basta chiacchiere, è il momento del fare»; «Basta che si vada oltre i confini di destra e di sinistra».
E come Silvio, Matteo «sta suscitando, et pour cause, le stesse antipatie feroci e ideotipiche evocate come spettri del passato del Cav». Da qui il coming out: «Volete che un vecchio e intemerato berlusconiano pop, come me, non si innamori del boy scout della provvidenza e non trovi mesta l'aura di spregio che circonda il nuovo caro leader?».Tenero con Matteo Renzi il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti. Talmente protettivo, lo ha accusato Marco Travaglio, «che Berlusconi rischia di diventare geloso».
La bussola va da sé è la tenuta del Patto del Nazareno. E l'umore di Berlusconi. Che, per ora, sembra voler rispettare gli accordi.
I VOTI DELL'AMICO B. «Solo uno sprovveduto può pensare che Renzi pensi di govenare fino al 2018 ostaggio da una parte di Alfano e dall'altra di una fetta del suo partito che non vede l'ora di restituire pan per focaccia», scriveva in febbraio il direttore del quotidiano di Via Negri. «Per operare sul campo gli serve altro, voti veri in parlamento che nessuno dei suoi padrini può dargli. L'amico Berlusconi i voti li ha eccome, e sono certo che in caso di necessità ne farà buon uso».
QUESTIONE DI RESPONSABILITÀ. Un amore che ha conosciuto qualche battuta d'arresto. Dopo gli scontri con il corteo Ast a Roma, Sallusti invitò timidamente il premier a prendersi «la responsabilità politica della gestione dell’ordine pubblico. Non ci provi neanche il governo a scaricare sulla polizia la colpa di incindenti con operai disoccupati». Mostrando i muscoli: «Se il renzismo deve ridursi a: pagate più tasse e ringraziatemi, perdete il lavoro e tacete altrimenti vi faccio menare in piazza, bè, allora non ci siamo e molti giudizi e posizioni vanno visti in gran fretta».
BELPIETRO VOCE CONTRO. Molto più critico invece il direttore di LiberoMaurizio Belpietro. «Matteo Renzi alla fine si è rivelato più comunista dei comunisti», scriveva a giugno parlando della guerra interna al Pd. «Dopo il successo elettorale delle Europee pare che il premier non abbia intenzione di andare troppo per il sottile con la maggioranza interna e per raggiungere i risultatati sia disposto a usare anche le maniere forti».
Tuttavia, secondo Belpietro, Renzi deve stare attento «perché quello che sta accadendo nel suo partito ricorda (ovviamente con altri argomenti) ciò che accadde nel centrodestra qualche anno fa. Allora a guidare i dissidenti c'era Gianfranco Fini...».

"Il mio album segreto con i grandi massoni d'Italia e del mondo" di Gianni Barbacetto e Fabrizio d’Esposito

Tutte le super-logge della massoneria che governano l’Italia e il mondo. Il libro di Gioele Magaldi che si ripromette di svelare l’album segreto dei massoni (e i politici italiani sono molti).
da il Fatto Quotidiano, mercoledì 19 novembre 2014


Esistono i massoni e i supermassoni, le logge e le superlogge. Gioele Magaldi, quarantenne libero muratore di matrice progressista, ha consegnato all’editore Chiarelettere (che figura tra gli azionisti di questo giornale) un manoscritto sconcertante e che sarà presentato domani sera alle 21 a Roma, a Fandango Incontro. Il libro, anticipato ieri dal sito affaritaliani.it , è intitolato Massoni società a responsabilità illimitata, ma è nel sottotitolo la chiave di tutto: La scoperta delle Ur-Lodges.
Magaldi, che anni fa ha fondato in Italia il Grande Oriente Democratico, in polemica con il Grande Oriente d’Italia, la più grande obbedienza massonica del nostro Paese, in 656 pagine apre ai profani un mondo segreto e invisibile: tutto quello che accade di importante e decisivo nel potere è da ricondurre a una cupola di superlogge sovranazionali, le Ur-Lodges, appunto, che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali.
Non sfugge nessuno a questi cenacoli. Le Ur-Lodges citate sono 36 e si dividono tra progressiste e conservatrici e da loro dipendono le associazioni paramassoniche tipo la Trilateral Commission o il Bilderberg Group. Altra cosa infine sono le varie gran logge nazionali, ma queste nel racconto del libro occupano un ruolo marginalissimo. Tranne in un caso, quello della P2 del Venerabile Licio Gelli.
I documenti che mancano sono a Londra, Parigi e New York
Prima però di addentrarci nelle rivelazioni clamorose di Massoni è d’obbligo precisare, come fa Laura Maragnani, giornalista di Panorama che ha collaborato con Magaldi e ha scritto una lunga prefazione, che l’autore non inserisce alcuna prova o documento a sostegno del suo libro, frutto di un lavoro durato quattro anni, nei quali ha consultato gli archivi di varie Ur-Lodges. Tuttavia, come scrive l’editore nella nota iniziale, in caso di “contestazioni” Magaldi si impegna a rendere pubblici gli atti segreti depositati in studi legali a Londra, Parigi e New York.
Detto questo, andiamo al dunque non senza aver specificato che tra le superlogge progressiste la più antica e prestigiosa è la Thomas Paine (cui è stato iniziato lo stesso Magaldi) mentre tra le neoaristocratiche e oligarchiche, vero fulcro del volume, si segnalano la Edmund Burke, la Compass Star-Rose, la Leviathan, la Three Eyes, la White Eagle, la Hathor Pentalpha. Tutto il potere del mondo sarebbe contenuto in queste Ur-Lodges e finanche i vertici della fu Unione Sovietica, a partire da Lenin per terminare a Breznev, sarebbero stati superfratelli di una loggia conservatrice, la Joseph de Maistre, creata in Svizzera proprio da Lenin.
Può sembrare una contraddizione, un paradosso, ma nella commedia delle apparenze e dei doppi e tripli giochi dei grembiulini può finire che il più grande rivoluzionario comunista della storia fondi un cenacolo in onore di un caposaldo del pensiero reazionario. In questo filone, secondo Magaldi, s’inserisce pure l’iniziazione alla Three Eyes, a lungo la più potente Ur-Lodges conservatrice, diGiorgio Napolitano, attuale presidente della Repubblica e per mezzo secolo esponente di punta della destra del Pci: “Tale affiliazione avvenne nello stesso anno il 1978, nel quale divenne apprendista muratore Silvio Berlusconi. E mentre Berlusconivenne iniziato a Roma in seno alla P2 guidata da Licio Gelli nel gennaio, Napolitano fu cooptato dalla prestigiosa Ur-Lodge sovranazionale denominata Three Architects o Three Eyes appunto nell’aprile del 1978, nel corso del suo primo viaggio negli Stati Uniti”.

Altri affiliati: Papa Giovanni XXIII, Bin Laden e l’Isis, Martin Luther King e i Kennedy
C’è da aggiungere, dettaglio fondamentale, che nel libro di Magaldi la P2 gelliana è figlia dei progetti della stessa Three Eyes, quando dopo il ‘68 e il doppio assassinio di Martin Luther King e Robert Kennedy, le superlogge conservatrici vanno all’attacco con una strategia universale di destabilizzazione per favorire svolte autoritarie e un controllo più generale delle democrazie. “Il vero potere è massone”. E descritto nelle pagine di Magaldi spaventa e fa rizzare i capelli in testa. Dal fascismo al nazismo, dai colonnelli in Grecia alla tecnocrazia dell’Ue, tutto sarebbe venuto fuori dagli esperimenti di questi superlaboratori massonici, persinoGiovanni XXIII (“il primo papa massone”), Osama bin Laden e il più recente fenomeno dell’Isis

In Italia, se abbiamo evitato tre colpi di Stato avallati da Kissinger lo dobbiamo a Schlesinger jr., massone progressista. 

L’elenco di tutti gli italiani attuali spiccano D’Alema, Passera e Padoan
Il capitolo finale è un colloquio tra Magaldi e altri confratelli collaboratori con quattro supermassoni delle Ur-Lodges. Racconta uno di loro, a proposito del patto unitario tra grembiulini per la globalizzazione: “Ma per far inghiottire simili riforme idiote e antipopolari alla cittadinanza, la devi spaventare come si fa con i bambini. Altrimenti gli italiani, se non fossero stati dei bambinoni deficienti, non avrebbero accolto con le fanfare i tre commissari dissimulati che abbiamo inviato loro in successione: il fratelloMario Monti, il parafratello Enrico Letta, l’aspirante fratello Matteo Renzi”. 

Per non parlare del “venerabilissimo”Mario Draghi, governatore della Bce, affiliato a ben cinque superlogge. Ecco l’elenco degli italiani nelle Ur-Lodges:Mario Draghi, Giorgio Napolitano, Mario Monti,Fabrizio Saccomanni, Pier Carlo Padoan,Massimo D’Alema, Gianfelice Rocca, Domenico Siniscalco,Giuseppe Recchi, Marta Dassù, Corrado Passera,Ignazio Visco, Enrico Tommaso Cucchiani, Alfredo Ambrosetti,Carlo Secchi, Emma Marcegaglia, Matteo Arpe,Vittorio Grilli, Giampaolo Di Paola, Federica GuidiBerlusconi, invece, avrebbe creato una Ur-Lodge personale, la Loggia del Drago. Bisognerà aspettare le “contestazioni”, per vedere le carte di Magaldi.

di Gianni Barbacetto e Fabrizio d’Esposito

E Stilinga pensa che 'sti idioti di massoni farebbero bene a ritirarsi visto come hanno conciato il mondo, sempre che  questa tesi sia confermata. Se davvero le democrazie sono guidate da super massoni, allora  noi popolo, sappiamo tutti che lo sfascio di ogni armonia sociale, economica, ambientale e umana è colpa di 'sti cretinetti, incapaci a tutto sempre. Ma si prendano le colpe, abbiano consapevolezza e schiattino davanti alla schifa realtà che hanno creato! Se credono potenti ma l'impotenza che esprimono nel risolvere questioni serie è sotto gli occhi di tutti noi!

“LA DISUGUAGLIANZA OLTRE I LIMITI PORTA VIOLENZE” (Antonello Caporale)

da www.ilfattoquotidiano.it

1Crateri improvvisi di povertà si aprono davanti a noi, proprio come le buche dei marciapiedi di Roma, tutti così dissestati da darci pensiero, da obbligarci alla fatidica domanda: ma siamo divenuti così?
Amalia Signorelli registra da antropologa il dissesto sociale, una umanità in continuo smottamento e la nazionalizzazione dei furori di Tor Sapienza.
La collera è figlia di una crisi che adesso inizia a spaventare perché incide così profondamente sul regime di vita da tracimare dai luoghi in cui la nostra esistenza è messa a dura prova. Non sono solo le periferie urbane a subìre i contraccolpi di una povertà che rasenta la fame. Il cerchio inizia a stringersi e dalle borgate prende la direzione del centro città dove vivono isole di disperazione, microperiferie umane. Le fiammate di violenza sono poi frutto di autocombustione. Ogni motivo è buono per mostrare la collera, e le occasioni non mancano purtroppo.
Siamo al contagio della collera?
È scontato che la sofferenza sociale condotta oltre i limiti fisiologici della diseguaglianza inizi a tracimare in atti individuali o collettivi di protesta. Sono violenze disseminate lungo i viali di un Paese che si sta sgangherando perché accanto agli ultimi (oggi facciamo il conto dei conflitti per l’occupazione abusiva delle case popolari a Milano e a Torino) iniziano a dare segni di cedimento anche i penultimi, quel popolo che campava modestamente ma con dignità. Invece dentro quel corpo così largo si aprono voragini di povertà , tanti singoli piccoli drammi umani e familiari, tanti cedimenti che scopriamo con sgomento dietro la porta accanto alla nostra.
Frana il costone di roccia, affondano intere città e andiamo sott’acqua anche noi?
Renzi aveva fatto balenare la speranza, distribuita in dosi massicce per scacciare le mille paure di chi ha perso il lavoro o teme di perderlo oppure non riesce neanche a trovarlo. Ma quella popolarità guadagnata così abilmente è stata poi sostenuta da un atteggiamento piuttosto dispendioso in termini di rigore istituzionale. Stiamo anche scoprendo che le sue magnifiche virtù hanno un carattere provvisorio, molto instabile.
Malgrado i propositi la realtà – cocciuta – si oppone a Renzi?
Avesse avuto più modestia avrebbe forse valutato meglio i limiti di una corsa a perdifiato verso il nulla. Mesi persi a illustrare opinioni che alla prova dei fatti si sono rivelati piuttosto inconsistenti. Analisi economiche sbagliate e strategie politiche nebulose. Il risultato è che, ad oggi, siamo messi peggio di prima malgrado la gioventù e la fierezza rottamatrice.
La gente è in strada e il Palazzo al chiuso che sigla il patto del Nazareno.
In Italia le classi dirigenti non hanno idea, nel senso tondo e assoluto del termine, di quel che accade nella pancia popolare . Non hanno contiguità con le classi meno abbienti né interessi che riescono a condividere. Non sanno, ecco. Altrimenti si accorgerebbero di urgenze che stentano a comprendere. La paura fa spaccare le vetrine, riduce la vita a una impresa solitaria e disperata.
Io odio te, tu odi l’altro.
Esatto: il nemico divieni tu che mi stai vicino. Sei immigrato? Fuori dalla mia casa. E domani accadrà con altri ceti e gruppi. I poveri contro i poverissimi in una lotta senza quartiere.

Non abbiamo speranza, dunque?
C’è una nuova generazione di giovanissimi che inizia a dare segni di vitalità, di partecipazione democratica e di interesse alla cosa pubblica. Esercitano il sacrosanto diritto all’interferenza. Domandano giustamente al sindaco di Carrara perché non abbia controllato i lavori che dovevano tutelare la città dalle piogge e dalle esondazioni e in qualche modo, dichiarato il fallimento delle Istituzioni, tentano di sostituirsi. È una azione primitiva di responsabilità sociale, ma è almeno un granello di speranza. Possiamo sognare anche un contagio positivo e confidare che finalmente non siano solo nuvole nere in cielo.

Gesù figlio di Giuseppe è morto perché...

Erri de Luca : " Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro. Perché parlava in pubblico e per vizio si dissetava con l´aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano divisi tra i vincenti a fine di partita. I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato".

LA DIFFERENZA VISIBILE TRA DESTRA E SINISTRA di Luciano Gallino

di Luciano Gallino 

da http://www.repubblica.it/

Non si sa chi sia, il regista delle due manifestazioni contemporanee della scorsa settimana, piazza San Giovanni e Leopolda. Di certo è un grande talento. Il contrasto tra lo scenario dei due eventi non poteva venire realizzato in modo più efficace. Da un lato un gran sole, il cielo azzurro, uno spazio amplissimo, una folla sterminata, brevi discorsi su temi concreti. Dall’altra un garage semibuio dove non si riusciva a vedere al di là di una decina di metri, un centinaio di tavoli dove si parlava di tutto, un lungo discorso del presidente del Consiglio in cui spiccavano acute considerazioni sull’iPhone e la fotografia digitale, e non più di sei-settemila persone — giusto 140 volte meno che a San Giovanni.
Il duplice scenario e la composizione dei partecipanti sono stati quanto mai efficaci per chiarire che a Roma sfilava un variegato popolo rappresentante fisicamente e culturalmente la sinistra, sebbene del tutto privo di un partito che interpreti e difenda le sue ragioni.
Mentre a Firenze sedeva a rendere omaggio al principe un gruppo della borghesia medio-alta orientato palesemente a destra — a cominciare dal Principe stesso.
Vi sono due condizioni che fanno, oggi come ieri, la differenza tra destra e sinistra. Una è la scelta della parte sociale da cui stare: in politica, nell’economia, nella cultura. Il che significa o sostenere che le disuguaglianze non hanno alcun peso nei rapporti sociali, o magari negare che esistano; oppure darvi il peso che moralmente e politicamente meritano, e adoperarsi per ridurle. L’altra condizione è la capacità di capire in che direzione si sta evolvendo la situazione economica e sociale del momento. Perché se non lo capisce uno sta uscendo, senza rendersene conto, dal corso della storia.
Nel caso della prima condizione la differenza tra Roma e Firenze era evidente. 
Alla manifestazione di Roma non c’erano (o erano poche) le persone che dovevano scegliere se stare o no dalla parte dei deboli, degli svantaggiati, delle classi inferiori di reddito, di quelli il cui destino dipende sempre da qualcun altro. Erano loro stessi, la massa dei partecipanti, a essere deboli, svantaggiati, poveri, perennemente in balia del parere e della volontà di qualcun altro. Collocati, in altre parole, al fondo delle classifiche delle disuguaglianze di reddito, di ricchezza, di potere politico ed economico; disuguaglianze il cui scandaloso aumento negli ultimi vent’anni, nel nostro paese come in altri, accompagnato dalla scomparsa del tema stesso nel discorso delle socialdemocrazie, ha fatto parlare più di uno studioso di nuovo feudalesimo.
Invece nel garage semibuio di Firenze c’erano soprattutto persone a cui l’idea di stare dalla parte dei più deboli e magari di dichiararlo appariva semplicemente repellente, o quanto meno fastidiosa, non meno che mettersi a parlare “in un mondo che è cambiato” di lotta alle disuguaglianze. Al massimo i più deboli si possono aiutare a soffrire di meno, non certo a diventare meno deboli, o a salire un gradino nella scala delle disuguaglianze, grazie a un sindacato o un partito. Per non dire che la parola “partito” significa appunto “aver preso parte” — idea demolita a Firenze dall’idea di un partito-nazione (ma l’ha detto qualcuno a Renzi che la parola “nazione” o “nazionale” figuravano tempo addietro nel nome di un paio di partiti che molti guai procurarono all’Italia e all’Europa?).
Anche per l’altra condizione non c’era confronto tra i partecipanti di piazza San Giovanni e quelli della Leopolda. Per i primi era evidente che quello che sta succedendo da parecchi anni è una “guerra dell’austerità”, per usare la dizione di un noto economista americano. Una guerra di classe in cui la destra si prefigge di distruggere le conquiste sociali degli anni 60 e 70, che furono un tentativo riuscito di sottoporre il capitalismo a una ragionevole dose di controllo democratico. Le misure imposte da Bruxelles, di cui il governo Renzi, a parte qualche battuta, è fedele esecutore, sono precisamente espressione di tale guerra o conflitto di classe, nella quale le classi dominanti hanno negli ultimi decenni conseguito una grande vittoria. Equivalente a una dolorosa sconfitta per i manifestanti romani.
A Firenze l’interpretazione predominante della crisi è stata quella canonica delle destre europee: lo stato ha un debito troppo alto, dovuto all’eccesso di spesa; il problema è il costo eccessivo del lavoro; per rilanciare la crescita bisogna ridurre le tasse alle imprese; i dettati di Bruxelles sono onerosi, ma bisogna pur mantenere gli impegni, ecc. Ciascuno di questi slogan è falso quanto dannoso — e si noti che a dirlo sono ormai dozzine di economisti, compresi perfino alcuni esponenti delle dottrine neoliberali. 
A parte l’interpretazione ortodossa della crisi, che non sta in piedi, chi vi aderisce non si rende conto che ci si avvicina a un momento in cui o si modificano i trattati europei e si adottano politiche economiche opposte a quelle del governo Renzi (che sono poi quelle degli ultimi tre o quattro governi, prescritte dalla Troika e da noi passivamente messe in atto), o ci si avvia ad un lungo periodo di grave recessione e di rapporti intereuropei sempre più difficili, nonché dagli esiti imprevedibili.

Un’ultima nota: a saperlo interpretare (non che ci voglia molto), la massa dei partecipanti di Roma ha lanciato un messaggio chiaro. Ha detto in sostanza “siamo tanti, non contiamo niente, vogliamo essere qualcosa”. Tempo fa, un messaggio analogo ebbe effetti rilevanti. Ignorarlo, o parlarne con disprezzo, potrebbe rivelarsi un serio errore, a destra come a sinistra.

E Stilinga pensa che è ora di riprendersi la sinistra! 
Se il premier e segretario del PD,non eletto alle politiche, non capisce le basi dell'essere di sinistra allora si faccia da parte, ci sono sempre alternative e non abbiamo bisogno di un comunicatore, ma di un problem solver vero o vera che tiri fuori idee condivisibili, idee umane, idee che parlino di società, di benessere di possibilità per tutti, idee che per ora solo Papa Francesco ha enunciato. Così siamo messi!

Alla Leopolda applausi pilotati al Renzi

da: http://www.beppegrillo.it/la_cosa/2014/10/29/video-smaschera-renzie-gli-applausi-taroccati/

vedi video nel link sopra

La disinformazione di regime ha spacciato la Leopolda per un grande successo di pubblico e di critica, infiocchettando lunghi servizi sull’enorme affluenza e lo straripante consenso tributato a Renzi. 

È accaduto esattamente il contrario: la manifestazione del premier è stata un flop, gli stessi dati ufficiali parlano di 17mila persone in tre giorni, di cui quasi 1000 giornalisti. Ha visto più partecipazione un gazebo di Italia 5 Stelle in mezza giornata. 

Soprattutto, sono state trasmesse immagini a reti unificate sulla standing ovation ricevuta dal premier. 
La realtà è che sono applausi finti, pilotati e organizzati a comando. 

Si vede chiaramente un capo claque che incita gli spettatori inebetita a battere le mani, neanche fossimo su un canale berlusconiano! 

Renzi è stato impietosamente scoperto a parlare ad una platea telecomandata: un Presidente del Consiglio ridotto alla stregua del più incapace comico di Zelig, che ha bisogno degli applausi taroccati per tentare di ingannare i cittadini. 

I suoi ridicoli mezzucci dimostrano che Renzi è un leader senza base, gli unici a battere spontaneamente le mani sono stati i poteri forti che gli ordinano le controriforme in cambio dei finanziamenti opachi alla sua perenne campagna elettorale. Ok, il prezzo è giusto!”, Riccardo Fraccaro M5S

E Stilinga pensa che il premier voleva e vuole fare il presentatore TV, ma siccome non è riuscito a farsi una carriera televisiva, allora ha ripiegato su quella politica. 

Consideriamo che oggi la politica è  pura fiction: scenografie belle, attori e corte di giornalisti che si accalcano a parlare con i politici  che imparano una parte, la recitano, si truccano, si mettono in posa, fanno le foto, inseguendo la fama mente il Paese fa la fame! 

Considerando tutto questo, Renzi ha colto la palla al balzo per catapultarsi al parlamento, dove sembra, non è, asserisce, ma non capisce il Paese, si circonda di pupattoli che abilmente ammaestra e poi ripone. Insegue i forti, abbandona i deboli. Nel suo governo i lavoratori onesti vengono ricevuti a manganellate vere con sangue vero, non sono foto ritoccate, non sono selfie, è pura realtà. E quella è sempre più forte di quanto non si sospetti neppure in MonteFictiorio!

Italiani svegliatevi e invece di farvi male tra voi, assediate le piazze, comunicate, dite al mondo quanto state vivendo, male, e cambiamo 'sta situazione assurda! 

I nuovi poveri sono gli autonomi a partita Iva


di
— Roberto Ciccarelli, 29.10.2014

da: http://ilmanifesto.info/storia/i-nuovi-poveri-sono-gli-autonomi-a-partita-iva/





Senza diritti alla malat­tia o al soste­gno al red­dito, non avranno una pen­sione. Ma i loro con­tri­buti finan­ziano il Wel­fare degli altri lavo­ra­tori. I dati dell’Osservatorio XX mag­gio su para­su­bor­di­nati e pro­fes­sio­ni­sti iscritti alla gestione sepa­rata dell’Inps descri­vono l’esistenza del nuovo pro­le­ta­riato in Italia



Il ritratto dei nuovi poveri a par­tita Iva lo ha fatto ieri l’Osservatorio dei lavori dell’associazione 20 mag­gio pre­sen­tando a Roma il terzo rap­porto sui dati della gestione sepa­rata dell’Inps. Anche con l’entrata in vigore delle regole della delega sul lavoro, in discus­sione in par­la­mento, su mille euro gua­da­gnati ad un auto­nomo reste­ranno in tasca 515 euro con­tro i 903 di un lavo­ra­tore dipen­dente. Gli iscritti a que­sta cassa dell’Inps hanno un com­penso lordo medio di 18.640 euro, un red­dito netto da 8.670 euro annui per 723 euro mensili.

Par­liamo di un pro­le­ta­riato a tutti gli effetti che non ha diritto alle tutele uni­ver­sali con­tro la malat­tia e versa con­tri­buti per una pen­sione (oggi il 27% del red­dito, il 33% entro il 2019), ma rischia di non avere una pen­sione. I suoi con­tri­buti ser­vono oggi a coprire i debiti delle altre gestioni Inps, quella dei diri­genti ad esem­pio. Que­sti lavo­ra­tori non hanno diritto agli ammor­tiz­za­tori sociali ma con i loro com­pensi pro­du­cono un Pil pari a 24 miliardi e assi­cu­rano all’Inps un get­tito di 5 miliardi e 805 milioni annui. Que­sti dati dimo­strano che i pre­cari finan­ziano il Wel­fare senza avere nulla in cam­bio. Al danno si aggiunge dun­que la beffa. E i red­diti restano molto bassi: 10.128 euro annui per i con­tratti a pro­getto, ad esem­pio i call center.

Bassi anche i com­pensi per i dot­tori di ricerca all’università (13.834 euro lordi) o per i medici spe­cia­liz­zandi (18.746 lordi). Per i gior­na­li­sti free­lance appena 9 mila all’anno. Le donne tra i 40 e i 49 anni sono le più pena­liz­zate: gua­da­gnano 11.689 euro in meno all’anno rispetto agli uomini.

La crisi ha aumen­tato la disoc­cu­pa­zione. Nell’ultimo anno sono stati persi 166.867 occu­pati, i col­la­bo­ra­tori a pro­getto sono dimi­nuiti di 322.101 unità dal 2007 al 2013, e nel solo 2012 sono pas­sati da 647.691 a 502.834, con una fles­sione di ben 145 mila unità. Un con­tri­buto deter­mi­nante è stato for­nito dalla riforma For­nero che ha impo­sto l’introduzione dei minimi tabel­lari dei dipen­denti. Que­sto ha pro­dotto un esodo verso il lavoro nero, le «false par­tite Iva» o la disoccupazione.

Acca­drà qual­cosa di diverso con Renzi? Per i para­su­bor­di­nati iscritti alla gestione sepa­rata no. Lo sgra­vio pre­vi­sto dalla legge di sta­bi­lità per le assun­zioni a tempo inde­ter­mi­nato (con un mas­si­male fis­sato a 6200 euro) non ren­derà «più com­pe­ti­tivi» que­sti con­tratti rispetto ai lavori dove i com­pensi minimi non sono rego­lati da accordi col­let­tivi. Per le imprese sarà sem­pre più con­ve­niente assu­mere un pre­ca­rio per poi non rin­no­var­gli il con­tratto. Il pro­blema non verrà risolto nem­meno dal sala­rio minimo ipo­tiz­zato nella Delega per­ché non può essere appli­cato nella plu­ra­lità dei set­tori del lavoro para­su­bor­di­nato e tanto meno in quello auto­nomo a par­tita Iva.

C’è anzi il rischio che, con il per­du­rare della crisi e con la con­fu­sione del governo det­tata da una scarsa cono­scenza delle forme del lavoro, il sala­rio minimo diventi il mas­simo che le aziende pagano. La strada potrebbe essere quella di sta­bi­lire un equo com­penso per le par­tite Iva indi­vi­duali per evi­tare che il Jobs Act le spinga verso il lavoro nero o l’inoccupazione. Per l’Associazione 20 mag­gio la solu­zione sarebbe quella di ricon­durre gli «ati­pici» nella con­trat­ta­zione col­let­tiva, un’opzione fin’ora tra­scu­rata dai sin­da­cati. Resta da capire la situa­zione di coloro che non pos­sono, o non vogliono, diven­tare dipen­denti. Ver­ranno lasciati al loro destino di esuli invo­lon­tari, oppure si pos­sono imma­gi­nare forme di tutele uni­ver­sali o un red­dito di base?