Governo Renzi: finge amicizia alla Russia, ma finanzia i Clinton Leggi tutto: https://it.sputniknews.com/italia/201608073242061-renzi-russia-clinton/

Renzi si è travestito talvolta da “amico” della Russia, fingendosi contrario alle sanzioni; ora il senatore piemontese Lucio Malan ne ha smascherato l’ambiguità facendo una scoperta interessante: il ministero dell'Ambiente appare tra i sostenitori della Fondazione Clinton.

 Lucio Malan Malan ha presentato un'interrogazione parlamentare chiedendo spiegazioni al titolare del dicastero. Quella del ministro Galletti è infatti una scelta tale da creare imbarazzo nelle relazioni diplomatiche con la Russia, anche perchè tra i finanziatori dei Democratici americani vi è pure un certo George Soros, che pare aver rivestito un ruolo importante nella crisi ucraina. Abbiamo approfondito l'argomento con lo stesso senatore Malan, che ha avuto il coraggio di gettare luce su questa vicenda incresciosa. 

- Senatore, il Governo italiano ha risposto alla Sua interrogazione?

 — Non ancora. Penso esistano pochi governi al mondo che sistematicamente non rispondono ai quesiti più scomodi che gli vengono posti dai parlamentari. Rispondere sarebbe d'obbligo… ma non in Italia. Forse accadeva anche in passato, ma con l'arrivo di Renzi neppure le sollecitazioni al presidente della Camera o del Senato ottengono una discussione su certi documenti.  

- Come ha scoperto che il ministero dell'Agricoltura aveva sovvenzionato la Fondazione Clinton? 

 — Scorrendo i finanziatori della Fondazione ho visto che compariva per il 2015 anche il Ministero italiano; non trovando riscontro nel Bilancio dello Stato, ho presentato subito un'interrogazione al ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti, per chiedergli le ragioni che lo hanno convinto a concedere un finanziamento, peraltro di somma imprecisata (tra i 100 e i 250mila dollari). Le attività promosse da questo Ente saranno pure meritorie, ma credo esistano molte altre istituzioni che il Governo italiano potrebbe sostenere, in primis quelle nazionali. Accanto al Ministero dell'Ambiente compaiono come finanziatori anche Arabia Saudita, Qatar e Norvegia, Paesi legati dal comun denominatore del petrolio: non proprio una gran bella immagine ne deriva per il Ministero dell'Ambiente e dunque per il Governo. 

- Questo finanziamento è un appoggio indiretto alla campagna presidenziale dei Democratici americani? 

— Le tempistiche del finanziamento sono sospette. E a chi obiettasse che il finanziamento va alla Clinton Foundation e non alla signora Clinton candidata alla Casa Bianca, ricordo che la denominazione dell'istituzione è "Bill, Hilary & Chelsea Foundation". 

- La stampa italiana ed europea è ampiamente schierata contro Trump e a favore della Clinton: chi la spunterà? — In controtendenza rispetto a tanti colleghi parlamentari, quando seppi della candidatura di Trump dissi che sarebbe stato un osso duro, vista la sua determinazione. Molti opinionisti lo riducono a una caricatura, ma cosi non è. A differenza di certi populisti europei, ha un programma ben chiaro, entrato di forza nell'agenda politica degli altri partiti. Contro i bassi salari e l'emarginazione, Trump propone una ricetta che parla direttamente alla "pancia" del Paese, senza prendere in giro nessuno, almeno sulla carta: stop all'immigrazione che costituisce una concorrenza al ribasso contro i propri cittadini, riduzione dell'imposizione fiscale, rinegoziazione dei trattati commerciali internazionali, contrarietà al TTIP. Che piaccia o no, a questa piattaforma politica i democratici faticano a trovare una controproposta credibile, vagheggiando solo di possibili effetti negativi senza fornire dati concreti. Si comprende allora il successo di Trump, molto simile a quello riscosso dal primo Obama, il quale non parlava agli elettori tradizionali del suo partito, ma si rivolgeva a quelli che non si recavano alle urne. 

 - E per quanto riguarda la politica estera? 

— La sua proposta paradossalmente è la migliore per l'Europa e l'Italia. Il riavvicinamento alla Russia e a Putin porterebbe da un lato al superamento delle sanzioni e dall'altro sarebbe l'inizio di una coalizione internazionale capace di operare efficacemente contro il terrorismo e i pesanti flussi migratori che stiamo subendo. D'altra parte, mi pare che di provocazioni la Russia ne abbia subite già abbastanza, tra ritorsioni economiche e dispiegamento di forze NATO lungo i suoi confini. Trump viene dipinto come estremista, ma in politica estera ha la proposta più moderata: eviterebbe il ritorno a una guerra fredda insostenibile sia dal punto di vista economico sia perchè siamo già impegnati sul fronte del Medioriente.  

- Come si muove l'Italia rispetto alle sanzioni contro la Russia?  

 — Si muove male. Il Partito Democratico respinge tutte le risoluzioni che noi presentiamo in Parlamento per chiedere all'UE di cancellarle. Renzi si comporta come un padre padrone, che vuole andare in Europa affermando di avere tutto sotto controllo, anche il Parlamento italiano, mentre poi riesce solo a elemosinare qualche discussione in merito nel Parlamento europeo. Invece, se avesse dalla sua documenti condivisi con le opposizioni, avrebbe una posizione molto più forte verso gli altri premier europei per poter pretendere lo stop alle misure anti-russe che recano detrimento soprattutto all'Italia. Basti pensare che noi riceviamo danni dieci volte superiori a quelli che subisce la Russia: è un controsenso.

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¿Comida o basura? La máquina de generar enfermedad

da: http://www.jornada.unam.mx/2016/07/09/opinion/019a1eco
¿Comida o basura? La máquina de generar enfermedad
Silvia Ribeiro*
E
l sistema alimentario industrial, desde las semillas a los supermercados, es una máquina de enfermar a la gente y al planeta. Está vinculado a las principales enfermedades de la gente y de los animales de cría, es el mayor factor singular de cambio climático y uno de los principales causantes de factores de colapso ambiental global, como la contaminación química y la erosión de suelos, agua y biodiversidad, la disrupción de los ciclos del nitrógeno y del fósforo, vitales para la sobrevivencia de todos los seres vivos.
Según la Organización Mundial de la Salud, 68 por ciento de las causas de muerte en el mundo se deben a enfermedades no trasmisibles. Las principales enfermedades de este tipo, como cardiovasculares, hipertensión, diabetes, obesidad y cáncer de aparato digestivo y órganos asociados, están relacionadas con el consumo de comida industrial. La producción agrícola industrial y el uso de agrotóxicos que implica (herbicidas, plaguicidas y otros biocidas) es además causa de las enfermedades más frecuentes de trabajadores rurales, sus familias y habitantes de poblaciones cercanas a zonas de siembra industrial, entre ellas insuficiencia renal crónica, intoxicación y envenenamiento por químicos y residuos químicos en el agua, enfermedades de la piel, respiratorias y varios tipos de cáncer.
Según un informe del Panel Internacional de Expertos sobre Sistemas Alimentarios Sustentables (IPES Food) de 2016, de los 7 mil millones de habitantes del mundo, 795 millones sufren hambre, mil 900 millones son obesos y 2 mil millones sufren deficiencias nutricionales (falta de vitaminas, minerales y otros nutrientes). Aunque el informe aclara que en algunos casos las cifras se superponen, de todos modos significa que alrededor de 60 por ciento del planeta tiene hambre o está mal alimentado.
Una cifra absurda e inaceptable, que remite a la injusticia global, más aún por el hecho de que la obesidad, que antiguamente era símbolo de riqueza, es ahora una epidemia entre los pobres. Estamos invadidos de comida que ha perdido importantes porcentajes de contenido alimentario por refinación y procesamiento, de vegetales que debido a la siembra industrial han disminuido su contenido nutricional por el efecto diluciónque implica que a mayor volumen de cosecha en la misma superficie se diluyen los nutrientes (http://goo.gl/AIZJjF); de alimentos con cada vez más residuos de agrotóxicos y que contienen muchos otros químicos, como conservadores, saborizantes, texturizantes, colorantes y otros aditivos. Sustancias que al igual que pasó con las llamadas grasas trans que hace algunas décadas se presentaban como saludables y ahora se saben son altamente dañinas, se va develando poco a poco que tienen impactos negativos en la salud.
Al contrario del mito generado por la industria y sus aliados –que mucha gente cree por falta de información– no tenemos porqué tolerar esta situación: el sistema industrial no es necesario para alimentarnos, ni ahora ni en el futuro. Actualmente sólo llega al equivalente de 30 por ciento de la población mundial, aunque usa más de 70 por ciento de la tierra, agua y combustibles que se usan en agricultura (Ver Grupo ETC http://goo.gl/V2r2GN).
El mito se sustenta en los grandes volúmenes de producción por hectárea de los granos producidos industrialmente. Pero aunque resulten grandes cantidades, la cadena industrial de alimentos desperdicia 33 a 40 por ciento de lo que produce. Según la FAO, se desperdician 223 kilogramos de comida por persona por año, equivalentes a mil 400 millones de hectáreas de tierra, 28 por ciento de la tierra agrícola del planeta. Al desperdicio en el campo se suma el de procesamiento, empaques, transportes, venta en supermercados y, finalmente, la comida que se tira en hogares, sobre todo los urbanos y del norte global.
Este proceso de industrialización, uniformización y quimicalización de la agricultura tiene pocas décadas. Su principal impulso fue la llamada Revolución Verde –el uso de semillas híbridas, fertilizantes sintéticos, agrotóxicos y maquinaria– que promovió la Fundación Rockefeller de Estados Unidos, empezando con la hibridación del maíz en México y el arroz en Filipinas, a través de los centros que luego serían el Centro Internacional de Mejoramiento de Maíz y Trigo (CIMMYT) y el Instituto Internacional de Investigación en Arroz (IRRI). Este paradigma tiene su máxima expresión en los transgénicos.
No fue sólo un cambio tecnológico, fue la herramienta clave para que se pasara de campos descentralizados y diversos, basados fundamentalmente en trabajo campesino y familiar, investigación agronómica pública y sin patentes, empresas pequeñas, medianas y nacionales, a un inmenso mercado industrial mundial –desde 2009 el mayor mercado global– dominado por empresas trasnacionales que devastan suelos y ríos, contaminan las semillas y transportan comida por todo el planeta fuera de estación, para lo cual químicos y combustibles fósiles son imprescindibles.
La agresión no es solamente por el control de mercados e imposición de tecnologías, contra la salud de la gente y la naturaleza. Toda diversidad y acentos locales molestan para la industrialización, por lo que también es un ataque continuo al ser y hacer colectivo y comunitario, a las identidades que entrañan las semillas y comidas locales y diversas, al acto profundamente enraizado en la historia de la humanidad de qué y cómo comer.
Pese a ello, siguen siendo las y los campesinos, pastores y pescadores artesanales, huertas urbanas, las que alimentan a la mayoría de la población mundial. Defenderlos y afirmar la diversidad, producción y alimentación local campesina y agroecológica es también defender la salud y la vida de todos y todo.
*Investigadora del Grupo ETC

La grande abbuffata dei veleni

di Silvia Ribeiro
da: http://comune-info.net/2016/07/la-grande-abbuffata-dei-veleni/
Non solo di Terra ne abbiamo una sola, come insegna ogni elementare corso introduttivo all’educazione ambientale, ma cercare presunte alternative alla terra, per esempio per nutrirsi, è una scelta rovinosa. Per le persone e per il pianeta. È quel che accade con il consumo intensivo di cibo industriale, connesso in modo sostanziale con l’insorgere di malattie cardiovascolari, del diabete, dell’obesità e del cancro all’apparato digestivo. Il sistema alimentare industriale è il primo responsabile dei cambiamenti climatici ma causa anche l’erosione dei suoli e minaccia l’acqua e la biodiversità. Come se non bastasse, la catena dell’industria alimentare spreca dal 33 al 40 per cento di ciò che produce. A nutrire la maggior parte degli abitanti umani del pianeta, per fortuna, ci pensano ancora i contadini, i pastori, i pescatori artigianali e chi coltiva gli orti urbani. Difenderli e affermare la diversità, la produzione e l’alimentazione locale contadina e biologica vuol dire difendere la salute e la vita di tutti e di tutto.

Il sistema alimentare industriale, dalle sementi ai supermercati, è una macchina che fa ammalare le persone e il pianeta. È strettamente collegato alle principali malattie delle persone e degli animali da allevamento; è il singolo più importante fattore del cambiamento climatico e una delle principali cause del collasso ambientale globale, con la contaminazione chimica e l’erosione del suolo, dell’acqua e della biodiversità, l’interruzione dei cicli dell’azoto e del fosforo, vitali per la sopravvivenza di tutti gli essere viventi.
Secondo L’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 68 per cento delle cause di morte nel mondo, sono dovute a malattie non trasmissibili. Le principali malattie di questo tipo, come quelle cardiovascolari, l’ipertensione, il diabete, l’obesità e il cancro dell’apparato digestivo e degli organi correlati, sono legate al consumo di cibo industriale. La produzione agricola industriale e l’uso di agrotossici che comporta (erbicidi, pesticidi e altri biocidi) è inoltre la causa delle malattie più frequenti tra i lavoratori rurali, le loro famiglie e gli abitanti dei villaggi vicini alle zone di coltura industriale: tra esse, insufficienza renale cronica, intossicazione a avvelenamento per sostanze chimiche e residui chimici nell’acqua, malattie della pelle, dell’apparato respiratorio e diversi tipi di cancro.
Secondo un rapporto del 2016 del Gruppo Internazionale di Esperti sui Sistemi Alimentari Sostenibili (International Panel of Experts on Sustainable Food Systems IPES Food), dei 7 miliardi di abitanti del mondo, 795 milioni soffrono la fame, 1 miliardo e 900 milioni sono obesi e 2 miliardi soffrono di deficienze nutrizionali (mancanza di vitamine, minerali e altri nutrienti). Anche se il rapporto chiarisce che in alcuni casi le cifre si sovrappongono, in ogni caso significa che circa il 60 per cento degli abitanti pianeta soffre la fame o sono malnutriti.
Una cifra assurda e inaccettabile, che rimanda all’ingiustizia globale, ancor più per il fatto che l’obesità, che un tempo era simbolo di ricchezza, è ormai un’epidemia tra i poveri. Siamo invasi da “cibo” che ha perso significative percentuali di contenuto alimentare a seguito della raffinazione e della lavorazione; di verdure che a causa della coltivazione industriale hanno diminuito il loro contenuto nutrizionale per l’ “effetto diluizione” poiché un maggior volume di raccolto sulla medesima superficie comporta una diluizione dei nutrienti; di alimenti con sempre più residui di agrotossici e che contengono molte altre sostanze chimiche, come conservanti, aromatizzanti, esiti di testurizzazione, coloranti e altri additivi. Sostanze che, così come è successo con i cosiddetti “ acidi grassi trans” che alcuni decenni fa erano presentati come salutari e che adesso si sa che sono altamente nocivi, a poco a poco si sta rivelando che queste sostanze hanno impatti negativi sulla salute.
Al contrario del mito generato dall’industria e dai suoi alleati -al quale molte persone credono per mancanza di informazione- non abbiamo motivi per tollerare questa situazione: il sistema industriale non è necessario per alimentarci, né ora né in futuro. 
Attualmente raggiunge solo l’equivalente del 30 per cento della popolazione mondiale, ma utilizza più del 70 per cento della terra, dell’acqua e dei combustibili che si usano in agricoltura (Vedi Gruppo ETC ).
Il mito si basa sui grandi volumi di produzione per ettaro di grano prodotto industrialmente. Tuttavia, sebbene ne risultino grandi quantità, la catena dell’industria alimentare spreca dal 33 al 40 per cento di ciò che produce.
Secondo la FAO, si sprecano ogni anno 223 chilogrammi di cibo a persona, equivalenti a mille e 400 milioni di ettari di terra, il 28 per cento della terra agricola del pianeta. Allo spreco che avviene nel campo, si aggiunge quello della lavorazione, del confezionamento, dei trasporti, della vendita nei supermercati e, infine, il cibo che si butta a casa, soprattutto nei luoghi urbani e del nord globale.
Questo processo di industrializzazione, di standardizzazione e di chimicalizzazione dell’agricoltura ha pochi decenni. 
Il suo principale impulso è stata la cosiddetta “Rivoluzione Verde” -l’uso di sementi ibride, fertilizzanti sintetici, agrotossici e macchinari- , promossa dalla statunitense Fondazione Rockefeller, iniziando con l’ibridazione del mais in Messico e del riso nelle Filippine, attraverso i centri che sarebbero poi diventati il Centro Internazionale di Miglioramento del Mais e del Grano ( CIMMYT International Maize and Wheat Improvement Center) e l’Istituto Internazionale di Ricerca sul Riso (IRRI International Rice Research Institute ). Questo paradigma trova la sua massima espressione nei transgenici.
Non si è trattato solo di un cambiamento tecnologico; è stato lo strumento chiave per passare dai campi decentralizzati e diversificati, basati fondamentalmente sul lavoro contadino e familiare, sulla ricerca agronoma pubblica e senza brevetti, su imprese piccole, medie e nazionali, a un immenso mercato industriale mondiale -dal 2009 il più grande mercato mondiale- dominato da multinazionali che devastano i terreni e i fiumi, contaminano le sementi e trasportano cibo, fuori stagione, attraverso tutto il pianeta e che, per tutto questo, non possono prescindere dai prodotti chimici e dai combustibili fossili.
L’aggressione non è solamente per il controllo dei mercati e per l’imposizione delle tecnologie, contro la salute delle persone e dell’ambiente. All’industrializzazione dà fastidio ogni diversità e peculiarità locali e c’è quindi un attacco continuo verso l’essere e il fare collettivo e comunitario, verso le identità che comprendono in sé le sementi e i cibi locali e diversi, verso l’atto profondamente radicato nella storia dell’umanità che consiste nel decidere cosa e come mangiare.
Malgrado ciò, continuano ad essere  i contadini, pastori e pescatori artigianali, gli orti urbani, quelli che nutrono la maggioranza della popolazione mondiale. Difenderli e affermare la diversità, la produzione e l’alimentazione locale contadina e biologica vuol dire anche difendere la salute e la vita di tutti e di tutto.