Se ci sei batti un colpo di Marco Travaglio

di Marco Travaglio da www.ilfattoquotidiano.it


Detto senz’alcuna ironia, è una fortuna che al Quirinale sieda Mattarella al posto di Napolitano.

Re Giorgio faceva e disfaceva governi, maggioranze, partiti e riforme a suo gusto personale, con tanti saluti agli elettori, al Parlamento e alla Costituzione.

Sergio la Sfinge invece sta a guardare e lascia che ciascuno cuocia nel suo brodo, limitandosi a far sapere ciò che dovrebbe essere noto a tutti: se cade un governo, non è affatto scontato lo scioglimento delle Camere, che spetta solo a lui e solo come ultima spiaggia, non prima di aver verificato se esista su piazza un altro premier in grado di raccogliere una nuova maggioranza.

Ora però il capo dello Stato non può più restarsene alla finestra, perché quel che accade sotto è un fatto straordinario che riguarda lui e soltanto lui: il governo Renzi,almeno sulla riforma della Costituzione (titolo V e Senato), non ha più la maggioranza al Senato e ne sta cercando una diversa da quella che nel 2014 indusse Napolitano a dargli l’incarico e gli votò la fiducia.

Tralasciamo per un istante il mercato delle vacche, soavemente chiamato dalla stampa governativa “scouting renziano”, e andiamo al sodo.

Renzi divenne premier sulla base dell’intenzione dichiarata daPd,Ncd,Udc e Sc di sostenerlo con il 50% più uno in Parlamento. Altrimenti Napolitano l’incarico non gliel’avrebbe dato: dieci mesi prima Pier Luigi Bersani pretendeva un mandato pieno per poi cercarsi i voti di volta in volta a Palazzo Madama, ma correttamente il Quirinale non gli diede che un incarico esplorativo per verificare l’esistenza di una maggioranza solida, che poi non trovò.

Ora Renzi, beffardo paradosso della storia, si ritrova nelle stesse peste di Bersani, a parte il fatto che è già premier. Ma non può restarlo,secondo la regola costituzionale che Napolitano (una volta tanto) bene interpretò: senza una maggioranza chiara e precostituita a Palazzo Madama, deve dimettersi e cedere il passo a un altro; oppure ritirare la pietra dello scandalo, cioè la riforma del Senato (quella del titolo V mette d’accordo tutti e può essere stralciata e approvata già oggi).

Finora tutti i provvedimenti del suo governo hanno avuto la maggioranza in entrambe le Camere (pu col doppio ricatto decreto-fiducia). E, se Renzi&Boschi non si fossero incaponiti ad affidare al governo una materia parlamentare come la legge costituzionale, non correrebbero rischi. Invece si sono intestarditi,per affermare il proprio strapotere su tutto e tutti, e ora rischiano di mandare a sbattere non solo se stessi (cosa di cui ci faremmo tutti una ragione), ma anche il governo e la legislatura.

Intendiamoci. La partita del Senato è cruciale per i partiti e le correnti non per il contenuto della riforma e per le sorti della democrazia parlamentare (che interessano solo a una minoranza di cittadini informati, esclusi dunque i nove decimi dei parlamentari, che non sanno neppure cosa votano); ma perché è l’ultima battaglia di sopravvivenza di centinaia di peones terrorizzati dalla perdita del seggio e dalla prospettiva di doversi cercare un lavoro.

Se Renzi porta a casa, dopo l’Italicum, anche il nuovo Senato, i giochi saranno fatti per chissà quanti anni: col 30-35% dei voti, alle elezioni porterà a Montecitorio e a Palazzo Madama una maggioranza schiacciante di deputati e senatori di stretta obbedienza (i primi nominati col trucchetto dei capilista bloccati;i secondi tramite i consigli regionali, quasi tutti suoi).

Cioè farà fuori tutti i pidini che non scodinzolano come cagnolini bavosi e premierà tutti i Fantozzi del Pd e anche dell’Ncd al seguito di Alfano. L’esplosione di Ncd, molto simile alla scissione dell’atomo, dipende da questo: Renzi ha promesso ad Alfano e – pare – a Verdini e ai rispettivi fedelissimi, l’ingresso nel Partitino della Nazioncina prossimo venturo, in cambio dei voti che gli sottrarranno sulla riforma costituzionale i dissidenti del Pd. Candidature sicure sotto forma di capilista bloccati. Ma non può imbarcarli tutti. E quelli che restano col culetto al freddo nella giostra indiana, si ribellano, ben sapendo che il Senato è la loro ultima occasione per contare qualcosa. Cioè per ricattare il premier. Vuole il loro voto? Garantisca nero su bianco la loro rielezione. Sennò ciccia. Dopo, se votano Sì “gratis”, non varranno più nulla e Renzi li asfalterà a passo di carica. 

Questo è lo spettacolo inverecondo che va in scena nei corridoi del Palazzo, ovviamente ammantato di emendamenti tecnici e nobili ragioni ideali. Il Parlamento tocca il suo punto più basso degli ultimi anni proprio nel momento che dovrebbe essere il più alto della vita parlamentare: la riforma di quasi metà della Costituzione (il ddl Boschi modifica la bellezza di 70 articoli). Se Renzi, tramite i mazzieri Lotti e Verdini, riuscirà a comprarsi tanti alfaniani, verdiniani, berlusconiani, ex grillini, gruppimisti e dissenzienti pidini quanti gli servono, cambierà la Carta con uno o due voti di scarto: e sarà una vergogna; altrimenti cadrà rovinosamente, trascinandosi nella tomba governo, legislatura, Parlamento, maggioranza e due o tre partiti: e sarà un disastro

C’è solo una persona che può fermare l’autobus impazzito lanciato giù dalla scarpata da un premier Stranamore in pieno delirio di onnipotenza e da una ministra ricostituente che si crede Calamandrei e invece è solo la Boschi: si chiama Sergio Mattarella. Spetta a lui convocare al Quirinale questi analfabeti costituzionali e spiegare loro, anche con qualche disegnino, che un governo senza maggioranza non può esistere nemmeno in Italia; e che la Costituzione la cambia il Parlamento con una maggioranza ampia e libera, non il governo con un’Armata Brancaleone di ricattatori e ricattati.

Olio di Palma? Blahhhhhh

I produttori industriali italiani possono comprare tante pagine di pubblicità, in difesa dell'olio di palma, che vogliono, sui quotidiani e quindi veicolare pessima informazione per la salute umana ma ottima per la difesa dei loro profitti (vendendo prodotti qualitativamente pessimi), ma il manico è comunque dalla parte di noi consumatori e allora ricordiamo il bel servizio di Report:


http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-714dc797-1ff9-4ba0-9444-6d8bf7cbff91.html


e compriamo prodotti Olio di Palma Free, meglio, molto meglio l'olio EVO!

E che i grassi saturi dell'olio di palma se li becchino i produttori industriali, si alimentassero loro con questo olio.

Meglio la salute, meglio l'olio extra vergine di oliva DOC!

Il segreto della creatività che abbiamo dimenticato

di Salvatore Settis
da: http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-segreto-della-creativita-che-abbiamo-dimenticato/
"
L’Europa è un continente rimasto senza idee": a lanciare l’allarme sul Financial Times è stato Edmund Phelps, Nobel per l’economia. Nel braccio di ferro sulle misure di austerità che hanno messo alla gogna la Grecia (e domani altri Paesi), la parola “creatività” non ricorre mai.

La stagnazione delle economie nazionali, il Pil che da anni, quando va bene, sale (come in Italia) di qualche misero decimale: in questo gioco al massacro entrano le borse, i mercati, la troika, l’invadenza tedesca, le influenze americane o asiatiche. Ma che vi sia un qualche rapporto fra creatività ed economia non viene mai in mente. Secondo Phelps, «gli italiani trovano del tutto accettabile che la loro economia sia quasi del tutto priva di innovazioni autoctone da vent’anni, e sia capace solo di reagire alle forze del mercato globale, come se una nazione non avesse bisogno di dinamismo per essere felice». 
può esserci felicità senza creatività? 
un’indagine del Pew Research Center di Washington (ottobre 2014), in Italia “l’indice di felicità” si ferma a 48 punti (Spagna 54, Grecia 37), mentre i Paesi emergenti, assai più creativi, volano alto: Messico 79, Brasile 73, Argentina 66, Cina 59.

L’Italia è fra i Paesi che Phelps sceglie a esempio di un’economia «meccanica, robotizzata, che ha per ingredienti la ricchezza, i tassi di interesse, i salari; ma ne manca uno, l’abilità e l’inventività degli esseri umani». L’efficienza (spesso sinonimo di ubbidienza) viene confusa con il dinamismo, l’alternanza ai vertici viene scambiata per innovazione, lo storytelling del successo prende il posto di ogni vero sviluppo. Una nuvola di parole occulta il destino dei cittadini e lo subordina alle decisioni, spesso incompetenti, di chi si insedia nella stanza dei bottoni.
Il pensiero unico di una scienza economica spacciata per la sola possibile (come se non ne esistessero versioni e correnti alternative) alimenta la rassegnazione fatalistica alle “forze del mercato”, che come una fede religiosa non vacilla davanti alla perpetua crisi, ai continui fallimenti.

Rimettere al centro la creatività come rimedio alla stagnazione e alla crisi è oggi più che mai necessario. 

In questo senso va la distinzione, proposta dallo stesso Phelps nel suo recente "Mass Flourishing" (2013), fra la “prosperità” dei cittadini (far bene un mestiere per ottenere migliori salari) e la loro “fioritura” (coltivare l’immaginazione, esercitare la curiosità intellettuale, praticare la creatività). Una società può esser prospera senza essere fiorente, ma una società fiorente è sempre prospera: ed è solo nei periodi di massima fioritura della comunità civica che scatta l’innovazione, come si è visto dal Rinascimento al Novecento. Solo in una società fiorente, dove la creatività è un valore riconosciuto, vi sono le condizioni-base per una vita soddisfacente; solo chi può appagare la propria curiosità e inventiva avrà pieno rispetto per se stesso e si sentirà a pieno titolo parte di una comunità. Questo e non altro è il “vivere bene” che sbandieriamo come slogan, ma senza saperlo tradurre in progetto.

La categoria-chiave di questo ragionamento, la “fioritura” (flourishing), viene dalla filosofia morale (basti ricordare Martha Nussbaum e Julia Annas), che ne ha indicato le radici nel pensiero di Aristotele. L’eudaimonia di cui parla l’antico filosofo non è felicità effimera (il “successo”), ma senso di realizzazione della propria vita, delle proprie potenzialità: un sentimento che incardina l’individuo nella comunità (polis) di cui fa parte. 
La “fioritura” degli individui e delle comunità è precondizione indispensabile per lo sviluppo della creatività ad ogni livello, e dunque componente vitale dell’economia e della società, ma anche della democrazia, dell’equità, della giustizia. 

È necessario interrompere, volando alto, il circolo vizioso di cui siamo prigionieri: l’Italia e l’Europa davvero sono a corto di idee, e perciò segnano il passo. La prosperità raggiunta (insieme al timore di perderla) produce più stagnazione che progresso: anzi, la pressione dei mercati e la concentrazione della ricchezza erodono i diritti (all’istruzione, alla salute, alla cultura, al lavoro) generando crescenti ineguaglianze. 
L’illusione della crescita si limita a qualche success story che riunisce in poche mani gli incrementi di produzione e di ricchezza; ma intanto il lavoro (dei più) diminuisce, e la produttività totale (i cui fattori sono capitale e lavoro) s’inceppa.

“Tasso di inventiva” e “tasso di felicità” sono strettamente collegati, perciò entrambi sono in calo in Italia (e in Europa). 

La scuola, devastata da riforme che puntano a educare non cittadini ma esecutori ossequienti, taglia le gambe alla creatività potenziale dei giovani, li induce ad appiattirsi sugli ideali aziendalistici di una superficiale efficienza e li spinge a reprimere il proprio talento per inseguire i mestieri e i mantra di un immutabile ordine costituito. 

La sgangherata discussione sui “conti salati degli studi umanistici”, considerati un lusso in tempo di crisi, elude il loro ruolo essenziale nella consapevolezza dei valori umani, nella capacità di esplorare criticamente il mondo e se stessi, nell’educazione a pensare fuori dal coro.

 Anche l’economia non è necessariamente perpetuazione dell’esistente, ma dev’essere sperimentazione del nuovo. 
E solo la “fioritura” degli individui e della comunità garantisce la «pari dignità sociale» dei cittadini prescritta dalla Costituzione (art.3). 

Come ha scritto uno storico inglese, David Kynaston, «se la bandiera del thatcherismo era in ultima analisi la libertà dell’individuo, allora dobbiamo ammettere che negli ultimi anni tale libertà è stata così violentemente travolta, che è venuta l’ora di far ricomparire la sua antica compagna di scena: l’eguaglianza».


(28 agosto 2015)