Cassazione: la Chiesa dovrà pagare l’Ici, ma non sempre

da: http://www.leggioggi.it/2015/07/28/cassazione-chiesa-dovra-pagare-lici-non-sempre/

Nei giorni scorsi, si è scatenata la rincorsa a celebrare la decisione della Cassazione sull’obbligo di tassa sugli immobili che spetterebbe anche alla Chiesa. Una  polemica mai del tutto sopita, con i governanti di turno che non hanno mai regolamentato la materia a dovere lasciando ampi spazi di interpretazione che, ancora oggi, non mancano di influenzare dibattito e applicazione della normativa.
Così, di volta in volta, si cerca l’orientamento tra una sentenza e l’altra per dipanare la matassa di una questione destinata a essere irrisolta nella sua radice, almeno entro il breve periodo.
Nei giorni scorsi, dicevamo, è stata diffusa la notizia di una nuova sentenza passata in giudicato a opera della Cassazione, secondo cui le scuole paritarie di ispirazione cattolica saranno obbligate a pagare l’Ici.
Spunto per la pronuncia, era arrivato alla Suprema Corte dal doppio caso di due istituti livornesi, che i giudici hanno rilevato passibili di contribuzione con valore retroattivo, condannandoli al versamento di 422mila euro di arretrati per le annualità fiscali dal 2004 al 2009.
Una sentenza, insomma, che ha facilmente rinfocolato le polemiche mai del tutto sopite, tra le solite fazioni di chi ritiene la pronuncia sacrosanta e chi, invece, si posiziona all’esatto opposto.
Ma a poche ore dalla notizia della sentenza, vista l’enorme eco che la stessa ha suscitato, si è sentito chiamato in causa – in un’occasione piuttosto rara – il primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, il quale ha dipinto un quadro molto meno chiaro di quanto poteva apparire all’indomani della pronuncia degli ermellini.
Così, Santacroce ha vergato di proprio pugno un comunicato in cui si sottolinea la “continuità con l’orientamento consolidato circa l’interpretazione dell’esenzione prevista”.
Il presidente ha giustificato il proprio intervento ricordando l’indagine comunitaria dei sospetti aiuti di Stato a enti appartenenti alle gerarchie ecclesiastiche, “ che sarebbero potuti derivare da un’interpretazione della predetta esenzione non rigorosa e in possibile contraddizione con i principi della concorrenza”.
In buona sostanza osserva Santacroce “ l’esenzione spetti laddove l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle astrattamente previste dalla norma come suscettibili di andare esenti, non sia svolta in concreto con le modalità di un’attività commerciale”.
Così, dunque, si spiega la sentenza della Corte di Cassazione, che mette in chiaro come, caso per caso, toccherà al giudice valutare eventuali esenzioni irregolari, circostanza non avvenuta per gli istituti livornesi, sui quali il verdetto è stato rinviato ai giudici di merito per un’attenta valutazione ulteriore.
E STILINGA PENSA CHE SOLO IN ITALIA LA LEGGE E' INTERPRETABILE! 
E CHE LA CHIESA DEVE NECESSARIAMENTE PAGARE L'ICI, IMU, COME CAVOLO SI CHIAMA, ALTRIMENTI OGNI PROPRIETARIO DI CASA PUO' FONDARE UN CULTO ED ESERCITARE FUNZIONI RELIGIOSE NEL PROPRIO DOMICILIO E QUINDI NON PAGARE LA TASSA SULLA CASA! 
OPPURE CI PRENDONO DAVVERO TUTTI PER FESSI!

Fondo Monetario, ancora esiste?



Fondo Monetario, curare una polmonite tagliando una gamba!
Di A. Robecchi

da: http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201507/fondo-monetario-curare-una-polmonite-tagliando-una-gamba/

Dunque mettiamola così: il medico che per curarti la polmonite ti ha amputato una gamba ora ti guarda perplesso. Dannazione, la polmonite non è passata. Dunque propone di amputarti l’altra gamba. Sembra una storiella per chirurghi, e invece è la storia del prodigioso Fondo Monetario Internazionale, quello che di fatto gestisce e controlla l’economia mondiale, un medico che se lavorasse in corsia farebbe più morti della peste del Seicento. 
La nuova vulgata ora è questa: bravini, avete fatto qualche sforzo nella direzione da noi indicata (traduco: vi siete tagliati una gamba), ma non basta. Per essere felici e tornare a correre nelle praterie del benessere dovrete tagliarvi pure quell’altra. Quasi tutti riportano con grande enfasi le parole dell’illustre medico, invece di rincorrerlo, come sarebbe più comprensibile, con un martello molto pesante.

 E dunque ecco: per riavere il tasso di occupazione pre-crisi, l’Italia dovrà aspettare ancora una ventina d’anni, e questo se tutto va bene e si fanno le riforme che il Fondo Monetario prescrive. Tra queste, tenetevi forte, la contrattazione decentrata di secondo livello (in italiano: basta contratti nazionali, ogni fabbrica discuta col proprio imprenditore), rivedere i modelli retributivi (in italiano: guadagnare tutti un po’ meno), cambiare il sistema educativo (in italiano: trasformare la scuola in una fabbrica di mano d’opera). Siamo ancora lì: invece di alzarsi e cominciare a inveire, come farebbero in ogni ospedale del mondo i parenti del degente, al ministero dell’economia dicono che insomma, loro quelle cose le stanno già facendo. Disperante.

Fortunatamente, nota qualcuno, non è raro che il Fondo Monetario prenda della cantonate, ma pare che questo non infici in alcun modo il fatto che le sue ricette vengano accolte come sacre e inviolabili. 
Insomma: la politica economica degli Stati la fanno quei signori lì, e gli stati si adeguano. Ne fa in qualche modo fede l’accanirsi del ministero del lavoro sui dati dell’occupazione, diffusi a piene mani anche con criteri un po’ risibili. Esempio: se nella famiglia Brambilla lavorava solo il padre e ora, avventurosamente o per merito, ha trovato lavoro anche il figlio, è possibile rintracciare i titoloni sui giornali: “Brambilla: raddoppiata l’occupazione!”, segue dibattito. Invece si dice poco e male che i contratti a tempo indeterminato (si fa per dire, perché senza articolo 18 sono tutti a termine a capriccio del padrone) sono quasi tutti sostitutivi di altre posizioni, cha la disoccupazione resta mostruosa, che l’80 per cento e più dei nuovi contratti è a tempo determinato, cioè il vecchio caro precariato che si voleva (ehmm…) sconfiggere.

Sono numeri che schiantano il paese, ma che in qualche caso – solo per osservatori attenti – sotterrano anche una certa retorica farlocca dispiegata a piene mani. Basta pensare all’enfasi con cui si propugna come vincente e risolutiva la figura dell’imprenditore. Non c’è talk show, pagina economica o rotocalco che non abbia in bella vista il geniale imprenditore (delle salsicce, dei gelati, delle giacche a vento in piuma d’oca) che tiene la lezioncina su quanto è bello fare i padroni, con conseguente invito ai “giovani”: dai fatelo anche voi! 

Risultati devastanti. Da un lato frustrazione per chi non ha un papà finanziatore. Dall’altro gradi applausi per piccole, a volte geniali, start-up, salvo poi andare a vedere e scoprire che fatturano milioni e hanno un dipendente: la segretaria (se va bene). Creare valore per sé e non lavoro e benessere per tutti, insomma, è considerato modernissimo e à la page. Sempre in attesa, ovviamente, che il medico dica: perbacco, nemmeno tagliare un’altra gamba ha fatto passare questa fastidiosa polmonite, propongo di amputare un braccio. Applauso del paziente.