L'Italia non è un paese per fare turismo!

TURISMO IN ITALIA: ANDIAMO SEMPRE PIU' GIU' NONOSTANTE TUTTO 

Uno su cinque veniva da noi, dei turisti internazionali, nel 1950: adesso uno su ventitrè. È cambiato il pianeta, d’accordo, ma una frana così non l’ha subita nessuno. Andiamo giù nonostante il boom mondiale. Andiamo giù nonostante il turismo sia «l’industria del futuro». Nonostante l’Italia, coi suoi tesori e la sua cucina e i suoi paesaggi, resti in cima ai sogni di tutti. E non serve a nulla, se si usano male, avere il record di siti Unesco: lo dicono i tracolli di visitatori alla Reggia di Caserta o a Villa Adriana. Sarebbe ora che il turismo diventasse sul serio, per la politica, uno dei temi per uscire da questi anni bui. Serve un’occasione per parlarne? 
Eccola: l’uscita dei dati per il 2013 del ministero dei Beni Culturali e di un rapporto scomodo dell’associazione «italiadecide» presieduta da Luciano Violante che sarà presentato lunedì a Montecitorio, davanti a Giorgio Napolitano. Titolo ambizioso: «Turismo: dopo trent’anni, tornare primi».
Ed eravamo davvero i primi, una volta. La tabella che pubblichiamo, costruita dal Touring club italiano su dati dell’Unwto, l’organizzazione mondiale per il turismo, dice che la nostra quota planetaria in quella che Jeremy Rifkin ha definito «l’espressione più potente e visibile della nuova economia dell’esperienza» destinata a diventare «rapidamente una delle più importanti industrie del mondo», era nel Dopoguerra davanti a tutti. Su poco più di 25 milioni di viaggiatori internazionali, poco meno di cinque venivano allora in vacanza da noi. 

Da allora, la nostra quota si è ridotta di decennio in decennio dal 19% del 1950 al 15,9% del 1960 e poi al 7,7% del 1970 (quando eravamo comunque i primi davanti al Canada, alla Francia, alla Spagna e agli Stati Uniti) e giù giù, dopo una breve risalita nel 1980, fino al 6,1% del 1990 (rimasto tale fino al 2000) per poi calare ancora al 4,6% del 2010 e infine al 4,4% di oggi. Certo, si sono aperti nuovi mercati, si sono spalancati nuovi Paesi, si sono arricchiti e messi in movimento nuovi popoli di viaggiatori. E c’è poco da piangere sul destino cinico e baro. Era un destino ineluttabile. Del quale hanno fatto le spese anche la Francia, la Spagna o gli Stati Uniti. Quello che fa rabbia, però, è che nessuno è andato giù quanto siamo andati giù noi. E soprattutto che nessuno ha approfittato poco quanto noi del boom del turismo mondiale. Un boom mai visto.
Due numeri: dal 1950 ad oggi i turisti stranieri che vengono in Italia si sono moltiplicati per 10 volte: da 4,8 a 47,8 milioni. Ma l’immenso popolo di turisti del mondo, grazie all’impetuoso arricchimento soprattutto della Cina, della Corea e altri Paesi asiatici si è moltiplicato per quasi 43 volte. Il che significa che noi siamo riusciti a fare nostra soltanto una fetta molto piccola della torta. 

Dicono le classifiche del «Country Brand Index 2012-2013» che misura la popolarità dei «marchi» di 118 Paesi, che l’Italia è primissima o ai primissimi posti nell’immaginario di tremila importanti opinion leader di tutto il mondo (e dunque dei potenziali visitatori stranieri) per la ricchezza culturale, la gastronomia, la moda. E, come ricorda in «Destination Italy» Silvia Angeloni, «l’Italia è la prima destinazione dove i turisti vorrebbero andare». Eppure, se negli ultimi tre anni si sono affacciati alle frontiere 137 milioni di turisti mondiali in più rispetto al 2010, uno scoppio di salute impensabile solo trent’anni fa, noi siamo rimasti al palo. O siamo andati addirittura indietro. Come spiega in una delle relazioni del dossier di «italiadecide» il direttore del centro studi del Touring club Massimiliano Vavassori, «i dati sui flussi turistici diffusi dall’Istat, e relativi al 2012, hanno registrato 98,1 milioni di arrivi (- 5,4% rispetto al 2011) e 362 milioni di presenze totali (- 4,8% rispetto al 2011)». E le cose non sembrano essere migliorate nel 2013: «Secondo le stime del Wttc (World Travel & Tourism Council), il valore aggiunto dell’industria turistica in Italia - le attività che possono considerarsi core business - è stato di 63,9 miliardi di euro, ovvero pari al 4% del Pil nazionale». 
Una quota bassissima. Che calcolando il valore aggiunto dell’intera economia turistica (dalle pasticcerie che forniscono i croissant agli alberghi alle sartorie che fanno le camicie per i camerieri) sale fino a «161 miliardi che corrispondono al 10,2% del Pil». Una percentuale assai lontana dai proclami guasconi di vari premier del passato, un po’ tutti concordi nel promettere «un turismo al 20% del prodotto interno lordo».
Come mai? Perché, accusa lo studio del Touring, «il comparto si avvale da anni di rendite di posizione ancorate al grande “turisdotto” delle città d’arte o delle aree costiere» ma c’è da sempre una «cronica assenza» di strategie: «Il turismo non è mai stato, e non è tuttora, un’opzione di sviluppo economico presa seriamente in considerazione dalla politica». Tutta colpa del Palazzo? No: il dossier infila infatti il dito nella piaga della mancanza anche di una «cultura dell’ospitalità». 
Troppi bidoni ai turisti, troppi disservizi, troppa scortesia verso chi viene a trovarci. Come se tutto ci fosse dovuto in quanto «Paese più bello del mondo». Peccato, perché quella che è la nostra carta migliore, e cioè il nostro patrimonio culturale, potrebbe godere dei frutti di una stagione eccezionale. Spiega infatti Emilio Becheri, coordinatore del rapporto di Turistica.it , che «nel 2011 (ultimo anno con dati definitivi) la maggiore quota di arrivi di turisti in Italia è determinata dal turismo delle città di interesse artistico e storico (d’arte) con il 35,6%, davanti al turismo delle località marine (balneare) con il 21,5%». Di più: «L’analisi dei differenziali rivela che l’aumento complessivo degli arrivi verificatosi nel periodo 2000-2010, pari a 23,692 milioni è imputabile in gran parte, per il 42,5%, all’aumento del turismo culturale, per il 20,2% alle località non classificate come turistiche, per l’11,3 alle località balneari, per il 10,9% alle località montane e per il 7,3% a quelle lacuali».
Le potenzialità sono enormi. Ma come vengono trattati, gli ospiti? Siamo onesti: così così. Se non proprio malamente. Al punto di spingere moltissimi visitatori, spaventati dai prezzi, ad andare a dormire fuori mano. Un esempio? «Calenzano è un Comune industriale e di servizi di circa 17.000 abitanti vicino a Firenze che nel 2012 ha raccolto 183.207 arrivi di turisti, tre quarti dei quali stranieri, che visitano Firenze e la Toscana». Pistoia e Arezzo sono più belle? Sarà, ma «rilevano solo 129.308 e 49.475 arrivi, cioè, rispettivamente, il 70,6% e il 27%». Colpa dei turisti brutti e cattivi? Ma va là... 

Non basta avere belle piazze e bei monumenti e bei musei. Non basta neppure avere il «bollino» di sito Unesco. Siamo i primi in assoluto, con 49 «bollini»? «Valgono poco», sospira Vavassori, «se le notizie e le immagini sul degrado e la quotidiana rovina di Pompei, ad esempio, fanno il giro del mondo». 

E siamo ai dati del ministero dei Beni Culturali. I quali dicono che negli ultimi dieci anni, mentre i turisti nel mondo crescevano di circa 50%, i visitatori di tutti i nostri musei, siti archeologici, gallerie d’arte statali messi insieme (tolti la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige e la Sicilia, anch’essa al palo) sono cresciuti da 30 milioni e mezzo a poco più di 38. Con un aumento del 25%: la metà. Se poi contiamo solo i paganti, l’incremento è ancora più basso: da 14 milioni e mezzo a 17 e mezzo: +22%.

Vanno benissimo il Colosseo e i Fori imperiali (+79%), molto bene Venaria Reale che dieci anni fa era ancora in fase di restauro, bene la galleria degli Uffizi e il Corridoio Vasariano (+25% ma troppa gente non può ospitarne) e benino nonostante tutti i nostri dolori Pompei, che cresce del 17%. 

Mettono i brividi, al contrario, i numeri ad esempio di Villa Adriana. Nel 2003 era al 14º posto tra i luoghi più visitati ed ebbe tra paganti e non paganti 322 mila ospiti: nel 2013 solo 207 mila. Peggio ancora la Reggia di Caserta: era sesta con 687 mila visitatori, è precipitata al 10º posto con 439 mila. Un crollo del 36% nel decennio del boom. 
C’era da aspettarselo. I tesori vanno curati con amore. Non possono essere abbandonati a se stessi. Sono la nostra ricchezza. Potrebbero essere il nostro futuro. Tenere insieme la tutela e il turismo è possibile. Deve essere possibile. E forse, come dice il rapporto del Touring, «se l’Italia credesse di più nel turismo, sarebbe un Paese migliore». 
Gian Antonio Stella - Il Corriere della Sera

Se qualcuno mi dicesse che viene in Italia solo per fare turismo, perché solo a questo servirebbe il paese, allora io risponderei, ma quale turismo?
Il turismo e l'Italia sono due concetti separati (vedi sopra).
E poi l'Italia sa fare manifattura, agricoltura bio, ecologia, innovazione, ricerca scientifica, arte quella è la prospettiva italiana, peccato che i politici l'abbiano dimenticato!

Industria italiana, giù fatturato e ordini. Anche l'estero tradisce il Made in Italy!


Industria italiana, giù fatturato e ordini.
Anche l'estero tradisce il Made in Italy


da:http://www.repubblica.it/economia/2014/07/21/news/ordini_fatturato_industria-92053196/?ref=HREC1-4

Il fatturato scende dell'1% a maggio su aprile, mentre resta positivo di un soffio (+0,1%) nel raffronto annuo. I dati peggiori vengono registrati dall'Istat sui mercati esteri. Gli ordinativi scendono del 2,1% mensile, calo anche su base annua: è il primo da otto mesi


MILANO - Segnali negativi per l'industria italiana dall'andamento del fatturato, tradito anche dai mercati esteri, e degli ordinativi. Secondo i dati dell'Istat, il fatturato dell'industria a maggio scende dell'1% rispetto ad aprile, segando il secondo ribasso congiunturale consecutivo, mentre resta positivo su base annua, anche se appena sopra lo zero, con un incremento dello 0,1% (dato corretto per effetti calendario). Stavolta l'Istituto nazionale registra i dati peggiori sui mercati esteri. Quanto agli ordinativi, sempre a maggio scendono del 2,1% su aprile, dopo due mesi in aumento. Le commesse calano anche su base annua, con un ribasso del 2,5% (dato grezzo): si tratta della prima flessione dopo 8 mesi. Se in termini mensili a pesare è l'estero, a livello tendenziale è ancora il mercato interno a fare peggio.


Fatturato. A maggio 2014 il fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, diminuisce dell'1,0% rispetto ad aprile, registrando flessioni sia sul mercato estero che su quello interno (rispettivamente -1,9% e -0,6%). Nella media degli ultimi tre mesi, l'indice complessivo diminuisce dello 0,7% rispetto ai tre mesi precedenti (-0,8% per il fatturato estero e -0,7% per quello interno). Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 21 contro i 22 di maggio 2013), il fatturato totale cresce in termini tendenziali dello 0,1%, con un aumento dello 0,1% sul mercato interno ed una flessione dello 0,1% su quello estero. Gli indici destagionalizzati del fatturato
segnano diminuzioni congiunturali per i beni di consumo (-1,7%), i beni strumentali (-1,2%) e i beni intermedi (-1,0%), mentre l'energia segna un incremento (+2,7%). L'indice grezzo del fatturato cala, in termini tendenziali, del 3,1%: il contributo più ampio a tale flessione viene dalla componente interna dei beni intermedi. Per il fatturato, limitatamente al comparto manifatturiero, l'incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (+6,0%), mentre la diminuzione più ampia riguarda la fabbricazione di prodotti chimici (-5,4%).
Ordinativi. Per gli ordinativi totali, si registra una flessione congiunturale del 2,1%, con una diminuzione del 4,5% degli ordinativi esteri e dello 0,2% di quelli interni. Nel confronto con il mese di maggio 2013, l'indice grezzo degli ordinativi segna una diminuzione del 2,5%. L'incremento più rilevante si registra nella fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (+15,0%), mentre la flessione maggiore si osserva nella fabbricazione di macchinari e attrezzature (-13,6%).

Ma allora di cosa parliamo? 

dell' Italicum? l'arma di distrazione di massa da questi dati orridi? 

ma Napolitano dorme pure lui? 

Renzi pensa a Berlusconi, Berlusconi pensa solo a sè e a volte alle olgettine, ma se stesso è sempre il primo pensiero, e lo sviluppo economico?

Quando sentiremo un discorso (un semplice discorso in quanto fino ad oggi nessuno ne ha parlato manco fosse un tabù pensare che l'Italia possa svilupparsi economicamente...) sullo sviluppo economico?

Quando?
(21 luglio 2014)



Ma quale riforma autoritaria del Senato? Caro Renzi mica siamo cretini!

da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/20/riforme-costituzionali-ferrara-poteri-abnormi-fermiamo-leversione-autoritaria/1066066/

Riforme costituzionali, Ferrara: “Poteri abnormi, fermiamo l’eversione autoritaria”

Gianni Ferrara, professore emerito di Diritto costituzionale alla Sapienza, stronca le riforme volute dal premier Renzi: "L’obiettivo è l’eliminazione di qualunque contrappeso al potere del governo e del capo del governo. Netto il giudizio anche sulla futura legge elettorale: "L’Italicum, che è un Porcellum travestito, offre un potere assoluto al capo del governo e segretario del partito di maggioranza"

di  | 20 luglio 2014
Riforme costituzionali, Ferrara: “Poteri abnormi, fermiamo l’eversione autoritaria”

Non bisogna pregare Gianni Ferrara, professore emerito di Diritto costituzionale alla Sapienza, per sapere cosa pensa delle riforme costituzionali: “Si vuole mutilare la democrazia”, spiega in una sintesi piuttosto allarmante. “L’Italia ha acquistato un primato negativo: un Parlamento illegittimo continua a resistere e si arroga il diritto di modificare la Costituzione. Lo Stato moderno è Stato rappresentativo. Ebbene, per la prima volta nella storia degli Stati, un giudice ha statuito che la legge fondamentale, la legge sulla rappresentanza dei cittadini, era incostituzionale. Questo Parlamento avrebbe dovuto essere immediatamente sciolto. Non è accaduto e così si è aggiunto un altro primato negativo. Quello di non avere rispetto per la legalità”.

Professore, qual è il disegno di Renzi?
“L’obiettivo è l’eliminazione di qualunque contrappeso al potere del governo e del capo del governo. Neutralizzando il Senato si elimina, sul piano della rappresentanza, l’organo che potrebbe frenare una legislazione volta al rafforzamento dell’esecutivo. Dietro il rispondere per slogan alle numerose obiezioni, dietro l’apparente mancanza di argomenti di chi parla di ‘gufi’ e ‘rosiconi’ c’è un progetto preciso. Assistiamo a un processo che intende trasformare la democrazia italiana”.


Trasformare in cosa?
“In un regime autoritario fondato sull’elezione, ogni cinque anni, del capo. Vorrei ricordare qui una circostanza che m’impressionò molto negativamente. Tra le cose che furono dette dai saggi del Quirinale, venne fuori tra le proposte una formula molto strana, ‘il governo del primo ministro’. Questa formula non può essere stata usata da un costituzionalista, perché è esattamente quella con cui la dottrina italiana aveva definito lo Stato fascista. Non è lo squadrismo il pericolo attuale, ma è ugualmente una forma di autoritarismo molto forte. Se viene fuori una riforma di questo segno, siamo di fronte a un progetto di eversione autoritaria. Dato il carattere, la natura della legge elettorale per la Camera, è ovvio che il potere del capo del governo diventa enorme, abnorme. Battersi adesso contro queste riforme significa battersi per la nostra democrazia, per mantenere l’identità democratica della Repubblica”.
Quali sarebbero le peggiori conseguenze?
“Una legge elettorale maggioritaria come l’Italicum, che è un Porcellum travestito, offre un potere assoluto al capo del governo e segretario del partito di maggioranza. Che infatti attraverso la maggioranza riesce a determinare addirittura – addirittura! – la composizione dell’organo che deve vigilare sulla Costituzione, la Consulta. E non solo: determina anche la composizione del Consiglio superiore della magistratura e l’elezione del presidente della Repubblica. Voglio anche sottolineare che la cosiddetta riforma della Pubblica amministrazione rientra nel disegno generale di questo governo, organicamente progettato. La Pubblica amministrazione perde parte della sua relativa autonomia, così come la Camera dei deputati diventa strumento che traduce in norme i voleri del capo”.
Lei come legge l’innalzamento della soglia delle firme necessarie per la presentazione di un disegno di legge popolare e per il referendum?
“Dietro la compressione dei diritti dei cittadini c’è sempre lo spirito autoritario. L’aumento dei quorum sta a significare che i cittadini non devono dare fastidio a chi governa. Questo esecutivo non vuole intralci, si vuole assumere ed esercitare tutto il potere possibile”.
Poniamo che i riformatori siano animati dalle migliori intenzioni: non è ingenuo da parte loro non pensare che domani, a capo di questo esecutivo enormemente rafforzato, potrebbe esserci qualcun altro? Cosa sarebbe capitato negli anni delle leggi ad personam berlusconiane con un modello come quello che si avvia a esser definito?
“Voglio ricordare che nel 2006 il popolo italiano bocciò nettamente la riforma costituzionale voluta dal governo Berlusconi. Quel referendum dimostrò che i cittadini avevano la stessa idea di Stato e di democrazia dei costituenti. È stata una conferma della Costituzione. Un fatto importantissimo, volutamente rimosso: nessuno se ne ricorda più, nessuno lo cita più. I cittadini si sono già espressi su questo modello. Aggiungo: i maggiori giornali, le tv, le agenzie sono tutti schierati a favore di questo progetto. Tranne pochi, come ilFatto: ma rara avis”.
Nel 1985 quando era deputato, con Stefano Rodotà presentò un progetto di legge per l’abolizione del bicameralismo.
“Il contesto storico non è comparabile. Allora c’era la legge proporzionale, che era il fondamento dello Stato rappresentativo. Perché è così importante? Perché è quella forma di elezione che consente che i contropoteri siano all’interno del potere. La garanzia che il potere della maggioranza non sia illimitato”.
I cittadini si domandano cosa potrebbe fare il Capo dello Stato, nella sua qualità di garante della Costituzione.
“Garante della Carta ha dimostrato di esserlo la Corte costituzionale. Essa sola”.
@silviatruzzi1 
da il Fatto Quotidiano del 19 luglio 2014 

Che dire? che i politici di turno ci qualificano noi popolo italiano come una massa de cretini, boccaloni che se bevono tutto. 
Beh, cari politici da strapazzo, sappiatelo, non contate un cavolo, siete solo di passaggio ed in questo caso non siete stati votati con una legge legittima ma definita PORCATA, quindi che insistete a fare sul sinistro italicum?
 Meglio fareste a a far ripartire l'occupazione in Italia, ma questo è un compito troppo gravoso, impossibile per chi non lo sa fare, e voi siete capaci solo di farvi fotografare nelle varie riunioni di rito in Italia e all'estero e allora ci stupite con distrazioni politiche tipo la riforma del senato, per non farci vedere quello che abbiamo sotto gli occhi: disoccupazione galoppante, economia in recessione e incapacità totale di risolvere i problemi che affliggono i più, mentre quelli vostri li risolvete subito!
Ma annate a casa!