L'Europa degli inganni di Barbara Spinelli

L'EUROPA DEGLI INGANNI

di Barbara SPINELLI
È inutile accusare la tecnocrazia europea per le azioni mancate o sbagliate dell’Unione, come hanno fatto Renzi e Hollande a Parigi, quando sono i governi a fare e disfare l’Europa secondo le loro convenienze. Ed è inadeguato presentarsi a Berlino come buon allievo, quando le mutazioni hanno da essere radicali. Il rischio è un inganno dei cittadini: dilaterà le loro malavoglie, i loro disorientamenti e repulsioni.
Come non sentirsi sbalestrati, se non beffati, da discorsi così contraddittori? A Parigi Renzi ha accusato gli eurocrati, poi a Berlino ha riconosciuto il primato tedesco, ricordando alla Merkel che non siamo «somari da mettere dietro la lavagna, ma un Paese fondatore che contribuisce a dare la linea». Chi detta legge, in ultima analisi: il tutore tedesco o l’eurocrazia? Chi ha l’ultima parola? Non dirlo a lettere chiare: questo è aggirare i popoli.
L’inganno è più che mai palese alla vigilia delle elezioni europee, che almeno sulla carta dovrebbero essere diverse dalle precedenti. Il trattato di Lisbona infatti è esplicito, e i deputati di Strasburgo l’hanno ribadito: il Presidente della Commissione sarà designato dal Consiglio europeo, ma «tenendo conto delle elezioni del Parlamento europeo» (art. 17). Quel che ci si accinge a fare è altra cosa.
Ancora una volta, la decisione sarà presa a porte chiuse, senza dibattito pubblico preliminare, dai capi di Stato o di governo. Lo stesso Parlamento europeo è complice dell’inganno, col suo regolamento interno: la scelta delle nomine è a scrutinio segreto; non è prevista discussione pubblica. Condotte simili non si limitano a ignorare i trattati: sono anche del tutto incompatibili con la trasparenza da essi ripetutamente evocata. Riavremo dunque lo stesso occulto mercanteggiamento tra Stati che ha ammorbato l’Unione per decenni. Il Parlamento può certo accampare diritti — può sfiduciare il presidente dell’esecutivo e l’intero collegio — ma il rifiuto avviene dopo la nomina. È più complicato. Non a caso l’assemblea non s’è mai azzardata a sfiduciare la Commissione.
Se davvero credessero in quel che professano, Renzi, Hollande e la Merkel manderebbero in questi giorni ben altro messaggio ai cittadini refrattari che apparentemente li angustiano tanto. Direbbero: «Ci atterremo alle nuove regole, vi ascolteremo sempre più. Quindi rispetteremo il verdetto delle urne». Nessuno di loro osa dirlo. Il dominio che esercitano, nella qualità di sovrani che nominano eurocrati al loro servizio, non vogliono né dismetterlo né spartirlo. Vogliono usarla, la tecnocrazia, come alibi: se le cose vanno male la colpa è sua. Gli Stati hanno potere, non responsabilità.
La mistificazione è massima perché la colpa è interamente loro, se l’Unione è oggi un campo di discordie, di ingiustizie sociali asimmetriche. Sono gli Stati e i governi che hanno fatto propria la teoria, predicata ad alunni somari e non, dell’«ordine» o dei «compiti in casa». È la teoria tedesca dell’ordoliberalismo, nata nella Scuola di Friburgo tra le due guerre, che fissa quali debbano essere le priorità, perché i mercati operino senza ostacoli: prima va rassettata la «casa nazionale», e solo dopo verranno la cooperazione, la solidarietà, e comuni regole di uguaglianza sociale. Nelle sedi internazionali, e anche in quella sovranazionale europea, basta insomma «coordinare» le singole linee, esortarsi a vicenda. Il motivo: l’esperienza totalitaria legata a interventi eccessivi dello Stato (memorabile l’accusa rivolta dall’ordoliberista Wilhelm Röpke, negli anni ‘50, all’ideatore dello Stato sociale: «Quello che voi inglesi state preparando, con il piano Beveridge, è una forma di nazismo». Non meno antiliberale fu giudicato il New Deal di Roosevelt).
L’illusione ordoliberista, tuttora diffusa ai vertici degli Stati, è che se ognuno lasciasse fare i mercati, mettendo magari la briglia alla democrazia e a leggi elettorali troppo rappresentative, l’ordine finirebbe col regnare nel mondo. La crisi ha mostrato che solo invertendo le priorità una soluzione è possibile. È dalla solidarietà che urge ripartire, dalla messa in comune di risorse, dopodiché ogni Stato avrà più forze per aggiustare i conti, spalleggiato da istituzioni e bilanci federali. Così gli Usa risolsero la crisi del debito dopo la guerra di indipendenza: mettendo in comune i debiti, passando dalla Confederazione alla Federazione, dandosi una Costituzione.
L’esatto contrario avviene nell’Unione. Sono ancora gli Stati che hanno deliberato, nel febbraio 2013, di congelare il comune bilancio e di impedire l’aumento delle risorse che permetterebbe piani comunitari di ripresa, e soprattutto la conversione della vecchia industrializzazione in sviluppo verde, sostenibile. Una delibera che il Parlamento s’è rifiutato di ratificare, un mese dopo. Ma alla fine la decisione è stata accettata, pur rinviando il dibattito al 2016.
Sono gli Stati che hanno inventato la trojka, organismo che comprende la Banca Centrale europea, la Commissione, e non si sa per quale complesso di inferiorità il Fondo Monetario, e che oggi controlla 4 Paesi (Grecia, Portogallo, Irlanda, Cipro). Una trojka la cui sola bussola è la «casa in ordine». Sono infine gli Stati che hanno concordato il fiscal compact, che alcuni Paesi - tra cui l’Italia di Monti - hanno inopinatamente messo nella Costituzione nonostante nessuno l’avesse imposto.
Questo significa che viviamo nella menzogna, sull’Europa esistente e su quella da rifondare. Che chi ha in mano le scelte sono in realtà i mercati: non l’eurocrazia usata come alibi e non i finti Stati sovrani. Lo spiega bene Luciano Gallino, su La Repubblica del 15 marzo: non esiste stato di eccezione che consenta un’indifferenza così totale verso le sofferenze inflitte ai cittadini (Grecia in primis, e Italia, Spagna, Portogallo). Quanto al fiscal compact, si tratta, secondo Gallino, di eliminare dalla Costituzione le norme attuative, come proposto da Rodotà: «L’Italia non è in grado di trovare 50 miliardi di euro all’anno da tagliare (per 20 anni, ndr). Accadrà quello che è già accaduto altrove: tagli sanitari, bambini affamati, povertà» (intervista al Manifesto, 13-3).
Sono anni che Roma cerca di ingraziarsi Parigi, e forse qui è l’inganno più grande. I governi francesi, di destra o sinistra, hanno una responsabilità speciale: sin da quando, caduto il Muro, risposero sistematicamente no - in nome del mito sovrano gollista - all’unità politica e militare che Kohl chiese con insistenza per puntellare l’euro. Si denunciano le colpe tedesche, nella crisi, ma l’immobile insipienza francese è ancora più nefasta.
L’Europa, non dimentichiamolo, fu fatta grazie ai francesi Jean Monnet, Robert Schuman. Quel che fu creato lo si deve a Parigi. Ma anche quel che non fu fatto, e non si fa. A cominciare dall’unità militare, che consentirebbe all’Europa risparmi enormi: circa il 40%. Insieme si potrebbe valutare se sia sensato dotarsi degli F-35, e che tipo di pax europea vogliamo, autonoma da quella americana.
Uscire dalle menzogne è oggi l’emergenza. I cittadini, frastornati, faticano a capire che i governi, con le loro dissennatezze, sono più viziosi degli eurocrati. Che la Francia è un ostacolo non meno grande di Berlino, anche se governata dai socialisti (Sarkozy almeno ci provò: Hollande sull’Europa è muto). Che l’Unione ha bisogno di una Costituzione vera, che inizi come negli Usa con le parole: «We, the people...»: non con l’elenco dei governi firmatari. Altrimenti non avremo solo il predominio degli Stati più forti. Avremo quella che Gallino chiama la Costituzione di Davos:una costituzione non scritta, i cui governi, vittime di una sindrome da “corteggiamento del capitale”, l’assecondano con strategie economiche incentrate sul taglio del Welfare e sui salvataggi bancari a carico dei contribuenti.

L'’EMERGENZA NON GIUSTIFICA I DANNI CAUSATI DALL’AUSTERITÀ

L'’EMERGENZA NON GIUSTIFICA I DANNI CAUSATI DALL’AUSTERITÀ
di Luciano Gallino da
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/03/15/emergenza-non-giustifica-danni-causati-dallausterita.html

A fine 2012 un gruppo di giornalisti e politici greci presentava alla Corte Penale Internazionale dell’Aja una denuncia per sospetti crimini contro l’umanità a carico del presidente della Commissione Europea (Barroso), della direttrice del Fmi (Lagarde), del presidente del Consiglio Europeo (Van Rompuy), nonché della Cancelliera Merkel e del suo ministro delle Finanze Schäuble. A sua volta un’attivista tedesca nel campo dei diritti umani, Sarah Luzia Hassel, appoggiava la denuncia con una documentatissima relazione circa le azioni compiute dalle citate istituzioni a danno sia della Grecia che di altri Paesi, europei e no.

Tutte azioni suscettibili di venir configurate addirittura come crimini contro l’umanità ai sensi dell’articolo 7 dello Statuto di Roma della Corte Penale dell’Aja. Si va dalla liquidazione della sanità pubblica alle politiche agricole che hanno affamato milioni di persone; dalla salvaguardia del sistema finanziario a danno dei cittadini ordinari alle ristrette élite che influenzano le decisioni delle istituzioni stesse, sino agli interventi nel campo del lavoro e della previdenza atti a ledere basilari diritti umani.

Un altro documento ancora che accusa i vertici Ue di gravi forme d’illegalità, simili a quelle testé indicate ma senza etichettarle come crimini contro l’umanità, è stato pubblicato a fine 2013 dal Centro Studi di Politiche del Diritto Europeo di Brema, su richiesta della Camera del Lavoro di Vienna. Per quanto è dato sapere i documenti citati sopra giacciono tuttora nei cassetti dei destinatari. Di recente sono però intervenuti fatti nuovi che potrebbero indurre qualche Ong o formazione politica a rilanciare le citate denunce. Si veda il rapporto uscito a fine febbraio su Lancet, numero uno delle riviste mediche, circa i danni che sta infliggendo alla popolazione la crisi della sanità in Grecia per via delle misure di austerità imposte dalle istituzioni Ue.

Chi soffre di cancro non riesce più a procurarsi le medicine necessarie, divenute troppo costose. La quota di bambini a rischio povertà supera il 30 per cento. Sono ricomparse, dopo quarant’anni, malaria e tubercolosi. I suicidi sono aumentati del 45 per cento. Chi fa uso di droga non dispone più di siringhe sterili distribuite dal sistema sanitario, per cui utilizza più volte la stessa siringa. Risultato: i casi di infezione Hiv rilevati sono passati da 15 nel 2009 a 484 nel 2012.

Un secondo fatto nuovo è che l’Italia, insieme con Spagna, Portogallo e Irlanda, appare avviata sulla stessa strada della Grecia.

Anche da noi i tempi di attesa per le visite specialistiche si sono allungati sovente di molti mesi perché i medici che vanno in pensione non sono rimpiazzati. Molti rinviano o rinunciano a visite mediche o esami clinici perché i ticket hanno subito forti aumenti e non riescono più a pagarli. Coloro che vanno in un laboratorio convenzionato si sentono dire che se scelgono la tariffa privata spendono meno del ticket. Molte famiglie non riescono più a mandare i bimbi all’asilo o alla scuola materna perché i posti sono stati ridotti, o la retta è aumentata al punto che non possono farvi fronte.

L’intera questione si può quindi riassumere in questo modo: le politiche di austerità, gli aggiustamenti strutturali, le privatizzazioni imposte agli Stati membri dai vertici Ue, ovvero dalla cosiddetta Troika (Bce, Fmi e Commissione) stanno infliggendo privazioni insostenibili a milioni di cittadini. 

Come si legge nel rapporto di Lancet, “se le politiche adottate avessero effettivamente migliorato l’economia, allora le conseguenze per la salute potrebbero essere un prezzo che val la pena di pagare. Per contro, i profondi tagli hanno avuto in realtà effetti economici negativi, come ha riconosciuto [perfino] il Fmi”.

In Italia, non meno che in Grecia, Spagna, Portogallo, la disoccupazione e l’occupazione precaria hanno toccato livelli altissimi. Il Pil ha perso oltre 10 punti rispetto al 2007. La combinazione di micidiali indicatori, quali la deflazione, ossia una forte caduta del livello dei prezzi in molti settori, la domanda aggregata stagnante, più una crescita del Pil che nei prossimi anni continuerà a registrare tassi dell’1 per cento o meno, sta portando le rispettive economie, a cominciare dalla nostra, verso il disastro.

In altre parole, non soltanto i vertici Ue hanno dato prova, con le politiche economiche e sociali che hanno imposto, di una scandalosa indifferenza per le persone che vi erano soggette: dette politiche si sono pure dimostrate clamorosamente sbagliate. 

La questione presenta alcuni punti di contatto con la crisi fin anziaria esplosa nel 2008. Allora diversi giuristi americani ed europei parlarono di “crimini economici contro l’umanità”, commessi dai dirigenti dei maggiori gruppi finanziari.

Ma il caso odierno della Ue presenta una differenza abissale. Nel caso della crisi finanziaria gli attori erano soggetti privati. Nel caso della crisi europea si tratta dei massimi esponenti della dirigenza pubblica della Ue, cui è stato affidato l’oneroso impegno di presiedere ai destini di 450 milioni di persone ai tempi della crisi. Nello svolgere detto impegno essi hanno mostrato anzitutto una clamorosa incompetenza della gestione della crisi; hanno scelto di favorire gli interessi dei grandi gruppi finanziari andando contro agli interessi vitali delle popolazioni Ue; hanno dato largo ascolto alle maggiori élite europee, e in più di un caso ne fanno parte; hanno mostrato di non tenere in alcun conto le sorti delle persone cui si dirigevano le loro politiche. È mai possibile che non siano chiamate a rispondere per nulla delle illegalità non meno che degli errori che hanno commesso, e delle sofferenze che hanno causato con l’indifferenza se non addirittura il disprezzo dimostrato verso le popolazioni colpite?

Stando al documento di Brema, le violazioni dei diritti umani compiute dai vertici Ue, in spregio agli stessi trattati dell’Unione, potrebbero essere portate davanti a varie corti e istituzioni europee, nonché davanti a organizzazioni internazionali quali l’Onu e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Senza dimenticare che di crimini e illegalità della Ue parlano anche in modo sbrigativo i partiti nazionalisti, ma con una radicale differenza rispetto alle iniziative sopra citate: mediante tali accuse essi vogliono distruggere la Ue, mentre lo scopo dovrebbe essere quello di cacciare gli attuali dirigenti della Troika e sostituirli con altri, dopo aver proceduto a una approfondita revisione del trattati europei. Mediante la quale si ribadisca sin dall’inizio che nel loro stesso interesse costitutivo, come scrivono i giuristi di Brema, le istituzioni europee debbono prendere sul serio le questioni sociali esistenziali delle cittadine e dei cittadini dell’Unione. Non esiste stato di eccezione che possa esentarle da tale dovere, come invece esse stanno facendo con le politiche di austerità.