LA MANCIA DA LUPI PER IL CEMENTO (Antonello Caporale).

LA MANCIA DA LUPI PER IL CEMENTO (Antonello Caporale).


Non sono sette ma quasi diciassette. Beneficiari di una proroga di una norma sepolta dagli anni e oramai defunta. Ma quella norma – risalente a prima di Tangentopoli – conteneva un mucchietto di soldi, cento milioni di euro. Soldi riacciuffati in extremis e affidati a costruttori di buona stazza e di ottime conoscenze. I nostri campioni s’aggireranno per campagne e città e busseranno alla porta di sindaci e presidenti di Regionii. Hanno da costruire case per i poliziotti. Aggiungeranno a quelle case delle altre, mattoncini per l’edilizia residenziale privata, e centri commerciali e ogni ben di Dio. É il corrispettivo che lo Stato concede loro per l’impegno. Sceglieranno i luoghi più ospitali e procederanno con il cemento. 
IN EFFETTI avevano vent’anni di tempo per portare a compimento l’affare, ma in vent’anni e più non hanno costruito niente. Colpa mia? Colpa tua? Vattelapesca. La legge che decreta il via al programma di edilizia convenzionata, sovvenzionata o totalmente finanziata risale infatti a a prima di Tangentopoli. Era il 1992. C’erano ancora le lire e si decise di varare programmi di edilizia straordinari, i cosiddetti “articoli 18”, per consentire ai dipendenti della polizia di ottenere una abitazione e al contempo offrire ai costruttori di questa edilizia finanziata margini di espansione produttiva nelle adiacenze di quelle aree. Fu emanato un bando, stilata una graduatoria di imprese adeguate alla prova da sforzo, e iniziati a spendere i soldi. Un battaglione di privati cooperanti con lo Stato avrebbe proceduto a ridurre i tempi della localizzazione delle opere, curare la progettazione e la realizzazione. C’è stato chi si è sbrigato prima e chi non ha fatto in tempo. Il governo Monti, nel famigerato decreto Crescita, decise di ripulire il bilancio dello Stato dai capitali mai investiti. Decise dunque di darci un taglio anche con questo programma e, visti i ritardi, offrì ai costruttori ritardatari un’ultima chance: entro il 31 dicembre del 2013 chi aveva perso tempo doveva essere considerato out. I soldi risparmiati sarebbero stati riallocati (una possibile destinazione quella della manutenzione degli immobili degradati). Un po’ di soldini in più e nuove energie liberate. Allora tutti d’accordo? Tutti d’accordo: al 31 dicembre chi è dentro è dentro e chi è fuori rimarrà fuori…
Invece no. E la storia qui prende le sembianze miracolose dell’intercessione divina. Incredibilmente qualche giorno fa si è formata una fantastica schiera di parlamentari supporters dei costruttori ritardatari. Un gruppetto di senatori di ogni razza e colore, di larghe e coincidenti intese, è riuscito a spingere dentro uno dei decreti omnibus in votazione al Parlamento l’emendamento d’oro che risistema il timing e dà altri tre anni di tempo ai ritardatari per mettersi in regola.
È DAVVERO un bel regalo, un grande pacco che una serie di imprese, tra cui la Grassetto del gruppo Ligresti, si è vista consegnare oltre i tempi supplementari. E di chi è il merito? Innanzitutto della straordinaria, come vogliamo chiamarla: abnegazione? amicizia? vicinanza?, dei rappresentanti del Pd, di Forza Italia e del Ncd (sta per Nuovo centrodestra), capeggiati da Piero Aiello (gruppo Angelino Alfano), un campione delle preferenze nella sua natia Calabria incidentalmente incappato alcune settimane fa in una inchiesta della direzione distrettuale antimafia che lo ha incriminato per voto di scambio richiedendo per lui addirittura e per ben due volte l’arresto (ambedue le richieste sono state però rigettate).
Il gruppo si è battuto testar-demente contro il principio di gravità e la stessa lingua italiana insistendo nella considerazione che un decreto, emanato per motivi d’urgenza, potesse ospitare una proroga di norme oramai afflitte dalla vecchiaia e sepolte dall’inerzia.. L’emendamento sottoposto al presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, alla guida dell’organismo che deve fare osservare le regole, è passato senza un filo di dubbio. É perfetto e molto chiaro. Trascriviamo: “Al comma 7 dell’articolo 12 del decreto legge n.83 convertito… le parole “31 dicembre 2013 sono sostituite dalle seguenti : “31 dicembre 2016”. E oplà… La commissione, compresa l’urgenza di far felici i costruttori, ha approvato e mandato alla Camera. Che stamane, dopo ampia discussione (due giorni) certamente confermerà il sì.
L’urgenza è un concetto ad uso variabile e scorrendo gli articoli del decreto legge (è il numero 150) si ha ampia prova che la lingua italiana è una costruzione progressiva di orientamenti eventuali. Un’urgenza tira l’altra, e quest’ultima proroga annuncia già la prossima. Se gli amici non dovessero farcela per il 2016 ci sarà modo di sostituire la parola e con un emendamentino aggiungere: “31 dicembre 2021”.
Da Il Fatto Quotidiano del 06/02/2014.

Bonifiche, condono per i signori dei veleni.

LETTA S’INVENTA IL CONDONO PER I GRANDI INQUINATORI (Marco Palombi).

Terra dei fuochi
Terra dei fuochi.
Bonifiche, condono per i signori dei veleni.
Nel decreto Destinazione Italia stracciato il principio del “chi inquina paga”: alle aziende uno “sconto” sui danni ambientali provocati dagli sversamenti e pure un incentivo fiscale.
IL GOVERNO FESTEGGIA IL DECRETO SULLA TERRA DEI FUOCHI. ENI, ENEL E GLI ALTRI INVECE BRINDANO A “DESTINAZIONE ITALIA” E AL MAXISCONTO SULLE BONIFICHE.
La faccenda è talmente enorme che lo stesso servizio Studi della Camera non ha potuto che farla notare con inusitata crudezza: andrebbe indagata, scrive, “la compatibilità con il principio comunitario chi inquina paga”. Di cosa stanno parlando? Dell’articolo 4 del decreto Destinazione Italia, fortemente voluto dal ministero dello Sviluppo economico, quello intitolato “Misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale” e di cui vi parliamo nel giorno in cui la politica si fa bella dell’approvazione del decreto per contrastare l’emergenza ambientale nella Terra dei Fuochi. 
IN SOSTANZA, quello di cui vi parliamo è una sorta di condono: le grandi aziende che hanno inquinato il territorio italiano, spesso violando la legge, creando le cinquanta e più Terre dei Fuochi che costellano la penisola, ottengono un bello sconto su quanto devono alla comunità nazionale in risarcimento del danno. Di più: se saranno così gentili da firmare l’ennesimo “Accordo di programma” col governo per le bonifiche, la collettività pagherà un bel pezzo del dovuto, gli inquinatori avranno un credito d’imposta da 70 milioni e potranno pure costruire nuovi impianti produttivi sui siti inquinati.
Cosa prescrive, infatti, l’articolato sponsorizzato dal ministero per lo Sviluppo economico? Che per tutti i Siti di interesse nazionale (SIN) il modello “chi inquina paga”, imposto dalla legislazione europea, non vale se “i fatti che hanno causato l’inquinamento sono antecedenti al 30 aprile 2007”. Basta l’accordino con l’esecutivo e questo “esclude ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l’onere reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo medesimo”.
Trasportato in quel disastro che è la situazione delle bonifiche ambientali in Italia questo significa che dei 39 Sin attualmente riconosciuti ne restano fuori solo due: l’Ilva, che ha già la sua legge ad hoc, e il sito di Bussi sul Tirino, in Abruzzo, dove sono sfortunati e hanno ottenuto il bollino “Sin” solo nel 2008.
PER TUTTI gli altri inquinatori è un giorno di festa: citando un po’ a caso si va dall’Eni (Porto Torres, Priolo, eccetera) all’Enel (Porto Tolle, a Rovigo); dalla multinazionale tedesca E.On (è di ieri la notizia che il direttore della centrale termoelettrica di Porto Torres è indagato proprio per reati ambientali) alla Saras che fu della famiglia Moratti e ora è in mani russe (Sarroch, in Sardegna); dalla Lucchini a Piombino agli ungheresi di Mol Group, che hanno acquisito a Mantova la raffineria della italiana IES, fino alla Caffaro di Brescia, oggi di proprietà della malmessa Snia spa.
Tra i pochi ad accorgersi di questo ennesimo tentativo di accollare alla collettività danni causati da imprese private vanno segnalati il M5S e i Verdi. “Ci provarono già nel decreto del Fare scrivendo che le bonifiche dovevano essere ‘economicamente sostenibili’, oggi lo fanno in un altro modo ma l’obiettivo è lo stesso: non applicare il principio che chi inquina poi paga”, dice la deputata 5 Stelle Federica Daga: “Non solo. Il decreto non rende nemmeno le bonifiche obbligatorie: si dice alle imprese ‘o fai la bonifica o la messa in sicurezza’. E così si lascia un pezzo enorme del paese a fare i conti con l’emergenza sanitaria”.
Sulla stessa linea il leader dei Verdi, Angelo Bonelli: “Questo è un’operazione dalla portata incredibile: è un terremoto nella legislatura ambientale italiana. Voglio ricordare che il nostro paese sta già subendo moltissime procedure di infrazione europee in materia di ambiente e di bonifiche ambientali, ora si decide addirittura di disapplicare unilaterlamente la legislazione comunitaria. Faccio un appello al ministero dell’Ambiente: ritiri la norma. Che gli inquinatori abbiano un condono, in parte persino premiale, è semplicemente allucinante”.
QUEST’ULTIMO riferimento di Bonelli è a due previsioni del decreto a cui abbiamo già accennato. Non solo lo Stato sgrava dalle loro responsabilità gli autori di enormi disastri ambientali, ma per convincerli a ricevere il favore senza protestare gli dà pure qualche incentivo: basta firmare il famoso “Accordo di programma” e si ha diritto a un credito d’imposta che vale 20 milioni quest’anno e cinquanta il prossimo e poi a costruire nei SIN nuovi impianti (un rigassificatore, diciamo, o un inceneritore) automaticamente dichiarati di “pubblica utilità” e dunque beneficiati di procedura autorizzativa superaccelerata. Tradotto: non solo non pagheranno per il danno, ma ai grandi gruppi di cui sopra viene pure garantito un futuro profitto.
Da Il Fatto Quotidiano del 06/02/2014.

Che scandalo!

Non solo Bankitalia pioggia di regali alle banche amiche (Marco Palombi).

DALLE NUOVE REGOLE SUI CREDITI INESIGIBILI ALL’AIUTINO SUI DERIVATI E, ORA, ALLA RIVALUTAZIONE DELLE QUOTE DI VIA NAZIONALE. PER LA FINANZA I SOLDI CI SONO SEMPRE.
Fabrizio Saccomanni è “addolorato”. Dice che sulla questione delle quote Bankitalia sono state diffuse “falsità, cattive informazioni e distorsioni”. Si riferisce, con ogni probabilità, all’espressione “regalo alle banche” che Il Fatto Quotidiano ha usato fin dall’approvazione del decreto, lo scorso 30 novembre. Ci perdonerà il vizio giornalistico dell’espressione gergale o colorita, il ministro dell’Economia, che oggi abbandoniamo: il sostegno pubblico al sistema bancario non è un regalo, cioè un fatto episodico e connesso ad alcune circostanze, ma la politica economica stessa del suo governo e di ogni altro governo d’Europa. 
Nel giorno in cui si scopre che l’Inps non è in grado di anticipare alle regioni i soldi per la Cassa integrazione perché il Tesoro non assicura le coperture, è bene mettere in fila tutte le decisioni con cui l’esecutivo Letta è venuto incontro alle difficoltà del sistema bancario, difficoltà causate da credito erogato male e operazioni finanziarie troppo rischiose prima ancora che dalla crisi. La reazione dei governi occidentali e delle loro banche centrali è stata di aiutare le banche a rimanere in piedi. Il prezzo richiesto in cambio? Nessuno, nemmeno l’innocua stretta sullo stock option o gli stipendi del management delle banche sussidiate. Enrico Letta e l’addolorato Saccomanni non hanno fatto eccezione, soprattutto in vista dei nuovi requisiti di bilancio europei che verranno richiesti alle banche. Ecco un breve riassunto.
FISCO AMICO. Le sofferenze, vale a dire i crediti che si considerano irrecuperabili o giù di lì, sono esplose durante la crisi toccando in Italia la cifra record di circa 140 miliardi di euro. La legge consente di ottenere uno sgravio fiscale su questi “crediti non performanti”: Giulio Tremonti aveva stabilito che l’ammortamento avvenisse in 18 anni, Saccomanni nella Legge di Stabilità li ha ridotti a cinque. Sicuramente ha fatto bene il ministro, ma – come ha scritto lui stesso nella relazione tecnica alla manovra – questo fatto comporterà vantaggi fiscali per le banche pari a 20 miliardi dal 2015 al 2022.
IL CASO BANCA D’ITALIA. Col decreto che aboliva la seconda rata dell’Imu 2013, il governo – senza che nessuno glielo avesse chiesto e in contrasto con una legge del 2005 che prevedeva la ripubblicizzazione dell’istituto – ha anche rivalutato le quote della banca centrale da 156mila euro a 7,5 miliardi. Gli effetti di questa decisione sono indubitabilmente favorevoli agli istituti di credito, azionisti di Bankitalia. In cambio di un gettito di 900 milioni per l’erario – frutto della tassazione della plusvalenza – le banche incassano all’ingrosso tre cose: un aumento potenziale dei dividendi annuali da 70 a 450 milioni, un miglioramento dei loro requisiti patrimoniali nei prossimi bilanci e – alcuni istituti – addirittura l’ingresso immediato di soldi freschi nelle loro casse. Funziona così. Nessuno potrà avere più del 3 per cento di Bankitalia, dunque è facoltà della stessa banca centrale acquistare le quote eccedenti e poi rivenderle con tutta calma: ne beneficeranno i due azionisti più grandi, Intesa e Unicredit, che incasseranno circa 3,5 miliardi, mentre agli altri (Inps, Generali , Carige, Cassa di risparmio di Bologna) andranno all’ingrosso 700 milioni.
DERIVATI. Nella manovrina per riportare il deficit del 2013 sotto il 3 per cento è stata inserita la garanzia statale sui derivati stipulati dalle banche sui titoli di stato. Ovviamente questo comporta che le garanzie patrimoniali degli istituti di credito migliorino istantaneamente così come probabilmente farà il loro rating, visto che gli investimenti in debito pubblico nazionale sono stati ingenti ed eventuali perdite in quel settore sarebbero alla fine – cioè in caso di insolvenza della banca – pagate con la liquidità messa a disposizione dal Tesoro.
CDP. Attraverso Cassa depositi e prestiti – sempre con un emendamento alla manovra – lo Stato ha offerto la sua garanzia per i crediti erogati alle imprese. Non solo: Cdp potrà anche acquistare direttamente quei crediti appositamente cartolarizzati dalle banche. Se la cosa non vi è chiara si tratta in sostanza di un meccanismo che permette di lasciare gli eventuali utili agli istituti di credito e accollare le perdite alla collettività. Anche le privatizzazioni effettuate attraverso la Cassa potrebbero portare vantaggi al mondo finanziario: in caso di introiti che sfocino in un maxi dividendo, questo sarebbe distribuito per l’80 per cento al Tesoro e per il 20 alle fondazioni bancarie, azioniste di Cassa depositi.
VARIE ED EVENTUALI. Anche se non riguarda questo governo si cita - per puro dovere di cronaca – la vicenda dei quattro miliardi statali prestati a Monte dei Paschi di Siena prima da Tremonti e poi da Monti, ma l’atteggiamento di favore e verrebbe da dire di sudditanza psicologica nei confronti del mondo finanziario non finisce qui. L’esecutivo Letta, nonostante pressioni dello stesso Pd, si è rifiutato di rivedere la tassa sulle transazioni finanziarie (la cosiddetta Tobin Tax) per far pagare anche le banche, escluse da Mario Monti, come pure ha bocciato in Senato la proposta del Movimento 5 Stelle di tornare a vietare le commistioni tra banche che raccolgono il risparmio e banche d’investimenti. Fu un divieto adottato in tutto il mondo dopo la grande crisi del 1929, forse non è un caso che questo nuovo tracollo sia avvenuto pochi anni dopo la sua abolizione (in Italia ci pensò Massimo D’Alema).
Da Il Fatto Quotidiano del 01/02/2014.