La crisi non esiste per gli euroburocrati!

‘Quale crisi?’. Se l’Europa nega l’emergenza per salvare la casta

La crisi c’è, la crisi non c’è. Quando la Commissione europea deve discutere con i Paesi membri, a cominciare dall’Italia, le misure di rigore, è perfettamente consapevole della gravità del momento. Ma quando si tratta di proteggere gli stipendi dei suoi funzionari, l’esecutivo europeo di José Barroso arriva a scrivere in documenti ufficiali che in Europa non c’è alcun “deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale”.

I guardiani dell’austerità diventano incredibilmente ottimisti per difendere i salari di Bruxelles dal Consiglio europeo, l’organo che riunisce i capi di governo dei Paesi membri. La storia è ricostruita nella sentenza della Corte di Giustizia europea relativa alla causa C-63/12, del 19 novembre scorso. La Commissione, affiancata dal Parlamento europeo, aveva presentato un ricorso contro il Consiglio sostenuto alcuni Paesi (Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Spagna, Olanda e Gran Bretagna). Secondo il trattato sul Funzionamento dell’Unione, ogni anno il Consiglio decide “prima della fine di ogni anno in merito all’adeguamento delle retribuzioni e delle pensioni proposto dalla Commissione”. Nel dicembre 2010 il Consiglio ha deciso di far scattare la “clausola di eccezione”, ha ritenuto cioè che l’Europa fosse di fronte a un “deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale all’interno dell’Unione”. E quindi ha chiesto alla Commissione di presentare “adeguate proposte”. Tradotto: visto che c’è la crisi in tutto il continente e si annunciano anni terribili, gli euro-burocrati diano il loro esempio riducendosi lo stipendio.
Il 13 luglio del 2011 la Commissione di Barroso presenta una relazione in cui “gli indicatori mostravano che nell’Unione la ripresa economica continuava a progredire” e quindi “non vi era un deterioramento grave e improvviso della situazione economica e sociale all’interno dell’Unione nel periodo di riferimento tra il primo luglio 2010, data di effetto dell’ultimo adeguamento annuale delle retribuzioni, e la metà di maggio 2011, momento in cui sono stati resi disponibili i dati più aggiornati, si legge nella sentenza”. Niente crisi, niente tagli.
Eppure l’estate 2011 era quella in cui l’Italia era a un passo dal default, con la Banca centrale europea costretta a comprare Btp perché nessuno li voleva più, la Grecia era sprofondata nel baratro, il Portogallo e l’Irlanda avevano già firmato per avere gli aiuti di emergenza e le riforme traumatiche della troika, e l’esistenza stessa della moneta unica, e dunque di tutta l’Unione, cominciava a sembrare non scontata. La Commissione, nel suo contenzioso giuridico con il Consiglio, ammette i numeri “evidenziano un peggioramento per il 2011 rispetto alle previsioni pubblicate in primavera”, ma non c’è alcuna emergenza che faccia scattare la clausola di eccezione. La battaglia davanti alla Corte di Giustizia si sviluppa in un labirinto di dettagli procedurali, maggioranze qualificate e cavilli bruxellesi, si aggiungono due ulteriori ricorsi, con altri Paesi coinvolti. La Corte boccia i ricorsi della Commissione e la condanna a pagare le spese, ma non si pronuncia nel merito. Gli stipendi dei funzionari di Bruxelles sembrano rimanere al riparo dai tagli. Eppure, anche solo come misura simbolica, potrebbero subire una limatura senza traumi per gli interessati.
Secondo il sito della Commissione, i funzionari hanno un salario d’ingresso da 2.300 euro al mese, ma dopo quattro anni possono arrivare a 16.000 cui si aggiungono varie voci (come un’indennità di dislocazione del 16 per cento per chi lavora lontano dal Paese d’origine, cioè quasi tutti), poi assegni per i figli a carico, una “indennità scolastica” e una prescolastica e così via. Vanno in pensione a 63 anni con la pensione di anzianità, ma possono ottenere un prepensionamento a 55 anni o decidere di rimanere in servizio fino a 67. E la pensione è calcolata, ovviamente, con il sistema retributivo, può arrivare al 70 per cento dell’ultimo stipendio base. Trattamenti così generosi non li avevano neppure in Grecia prima della troika. 
Ma ogni sacrificio è vietato, la crisi non esiste, per la Commissione.

E Stilinga si chiede: ma a che serve la UE? agli euroburocrati! Sarebbe sano mandarli a casa ed eleggere politici europei che lavorino come volontari non stipendiati! Vediamo poi se la crisi c'è oppure no!
Questa UE fatta così male è una iattura. Meglio sgonfiarla e rifarla che continuare con questa macchina spremisoldi! Necessitiamo di vera Europa! E che cribbio!

L'Italia ha il tasso di contributi previdenziali più alti nell'area Ocse, dopo l'Ungheria.

Ocse, in Italia salari più bassi della media. Record per contributi previdenziali. I precari di oggi saranno i poveri di domani
inps personell tasso di contributi è al 33% del reddito lordo, alle spalle della sola Ungheria, e pesa sul datore di lavoro per 23,8 punti. Il tasso di sostituzione è al 71,2%, tra i più generosi. In media, i trasferimenti complessivi per pensionato sono di 335mila euro per gli uomini e 382mila per le donne, tra i più generosi. Rischio difficoltà economiche per chi entra ora nel mercato del lavoro. I salari sotto la media. L'Italia ha il tasso di contributi previdenziali più alti nell'area Ocse, dopo l'Ungheria. Ma le cose sono cambiate rapidamente e gli attuali precari rischiano di pagar caro i privilegi del passato e ritrovarsi in netta difficoltà quando sarà il loro turno di uscire dal mondo del lavoro. E' quanto emerge dallo studio "Pensions at a glance" diffuso oggi dall'Organizzazione parigina, che mette in luce anche come i salari italiani sono al di sotto della media Ocse.
In media in Italia nel 2012 un lavoratore percepisce 28.900 euro, pari a 38.100 dolari, al di sotto dei 42.700 dollari medi dell'Ocse, sui quali pesano i 94.900 dollari degli svizzeri, i 91 mila dollari dei norvegesi, i 76.400 dollari degli australiani, i 59 mila dollari dei tedeschi e i 58.300 dollari degli inglesi, superiore ai 47.600 dollari degli statunitensi. Ai livelli più bassi i messicani con 7.300 dollari e i 12.500 dollari degli ungheresi.
Pensioni d'oro. Il tasso italiano nel 2012 era infatti pari al 33% del reddito lordo, in aumento dal 28,3% del 1994, contro una media Ocse del 19,6%. Solo l'Ungheria, con il 34% ha un tasso più elevato e la media Ocse è pari al 19,6%. I contributi sono a carico per 9,2 punti del lavoratore e per 23,8 del datore di lavoro. Attualmente il tasso di sostituzione lorda delle pensioni rispetto al reddito in Italia è pari al 71,2%, contro il 57,9% medio Ocse, ed è l'ottavo più generoso tra i Paesi industrializzati. Il tasso netto è
dell'82% contro una media del 69,1%.

Come già segnalato dall'Ocse, per altro, il salario medio in Italia è di 28.900 euro, tra i più bassi dell'area, inferiore alla media che è pari a 32.400 euro.

Il flusso lordo di ricchezza pensionistica (ovvero quello che viene ricevuto complessivamente negli anni della pensione) è pari a 11,9 volte il salario medio annuale per gli uomini e a 13,7 volte per le donne, di riflesso alla maggiore attesa di vita, contro medie Ocse di 9,3 e 10,6 volte rispettivamente.
A livello armonizzato, la ricchezza pensionistica in Italia, ovvero il valore corrente dei trasferimenti complessivi promessi a un singolo pensionato in base all'attuale sistema, ponderato sulla base delle attese di vita e delle indicizzazioni, ammonta in media a 454mila dollari per gli uomini (circa 335mila euro al cambio attuale) e a 518mila dollari per le donne (382mila euro), contro 423mila e 483mila Ocse. I pensionati più ricchi stanno in Lussemburgo e in Olanda, dove la ricchezza media supera il milione di dollari, ma anche in Svizzera e Danimarca, dove si avvicina al milione di dollari. I pensionati che più devono tirare la cinghia sono in Messico (42mila dollari) e in Polonia (88mila).
Pensioni, la spesa più alta in Liguria
Le riforme e il sistema in sicurezza. "Con una spesa pubblica per pensioni di vecchiaia e superstiti pari a 15.4% del reddito nazionale (rispetto a una media Ocse del 7,8 %), l'Italia aveva nel 2009 il sistema pensionistico più costoso. Ma con la riforma globale del sistema pensionistico adottata nel dicembre 2011, l'Italia ha realizzato un passo importante per garantirne la sostenibilità finanziaria", dice l'Organizzazione pensando alla Fornero. "L'aumento dell'età pensionabile", ammoniscono però gli economisti, "non è sufficiente per garantire che le persone rimangano sul mercato del lavoro, soprattutto se esistono meccanismi che consentono ai lavoratori di lasciare il mercato del lavoro in anticipo". In Italia, per altro, resta "relativamente bassa" l'età effettiva alla quale uomini e donne lasciano il mercato del lavoro: 61,1 anni per gli uomini e 60,5 per le donne, contro una media Ocse di 64,2 e 63,1 anni.
Precario oggi, povero domani. A valle di questi dati che figurano un sistema generoso, sempre l'Ocse sottolinea poi che "l'adeguatezza dei redditi pensionistici potrà essere un problema" per le generazioni future, e "i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più vulnerabili al rischio di povertà" durante la vecchiaia". Ciò si accompagna all'accusa verso il "metodo contributivo" e l'assenza di pensioni sociali. L'Organizzazione prende atto del fatto che chi entra oggi nel mercato del lavoro dovrà aspettarsi una pensione più bassa rispetto agli standard attuali, con un autentico rischio povertà per i precari. "Lavorare più a lungo potrebbe aiutare a compensare parte delle riduzioni", si legge nel rapporto, "ma, in generale, ogni anno di contributi produce benefici inferiori rispetto al periodo precedente tali riforme", sebbene "la maggior parte dei paesi abbia protetto dai tagli i redditi più bassi".
Anziani protetti. Dal rapporto emerge anche che il tasso di povertà tra gli anziani italiani è in calo, anche se la rilevazione si ferma agli albori della crisi economica. Nel 2010 gli over 65 poveri sono l'11%, contro il 14,5% del 2007 e contro il 13% del tasso di povertà medio nazionale. Nei paesi Ocse il tasso di povertà degli over 65 è del 12,8% nel 2010, contro il 15,1% del 2007 e l'11,3% del tasso di povertà medio. L'11% dell'Italia è in linea con quello del Belgio, il 10,5% della Germania e peggio del 5,2% della Francia.
da Repubblica – 26 novembre 2013

E Stilinga pensa che 'sti politici debbano cacciare Mastrapasqua che ricopre 60 incarichi e lo sostituiscano con una dirigente donna, capace e aperta a raddrizzare le storture allucinanti in cui l'Inps versa e con lei la povera patria.

Made in Piigs: nasce un brand a sostegno del made in Europe

Made in Piigs: nasce un brand a sostegno del made in Europe

E’ stato presentato a Parigi lo scorso 14 novembre ed è un nuovo brand che vuole sostenere l’abbigliamento europeo. Si tratta di “Made in Piigs”, start up fondata a fine 2012 da Francois Pogodalla, ingegnere franco-polacco e proprietario del marchio, spalleggiato da Bruno Stucchi, italianissimo owner presso la Dinamo Milano e responsabile dello styling.

http://madeinpiigs.eu/

Un nome, un grande programma: “Piigs” è infatti l’acronimo dispregiativo utilizzato da economisti e finanzieri per indicare Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, i paesi che fanno parte dell’Unione Europea e che sono stati colpiti più duramente dalla crisi.

La missione del progetto è quella di ridare credibilità all’economia di questi paesi sviluppando forza lavoro all’interno degli stessi: la produzione infatti avviene quasi interamente in Italia, per la precisione a Polverara (PD), presso un azienda che si chiama OTS (specializzata nella produzione di T-Shirt); per la linea basica, invece, il marchio si appoggia ad una società in Portogallo, specializzata nel trattare materiali organici ed ecosostenibili. Il progetto nasce quindi dalla volontà di credere nella competitività Europea, con una linea di abbigliamento per uomo e donna che lancia lo stile “Vintage Europe” ispirato all’iconografia e ai valori della “old industry” e prodotta interamente in Europa.

Per il momento, la vendita delle collezioni avverrà solo attravero il sito e-commerce (www.madeinpiigs.eu) ma nei progetti del fondatore c’è l’apertura di uno showroom, probabilmente in Italia, e di pop-up shop.