Assocalzaturifici: “La Cina non è un’economia di mercato”

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Assocalzaturifici, l’associazione dei calzaturieri italiani, dice “no” allo Status di Economia di Mercato (MES) alla Cina, che vanificherebbe le difese antidumping dell’Europa. È quanto ribadisce il presidente dell’Associazione, Annarita Pilotti, alla vigilia della riunione a Bruxelles del Collegio dei Commissari dell’Unione. Il vertice, presieduto dal presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, fa seguito al recente Summit bilaterale UE-Cina avvenuto a Pechino e rappresenta un passaggio fondamentale in vista dell’ormai prossima presentazione in sede europea della proposta legislativa che porterà a una decisione definitiva entro dicembre.


“Il rischio per il settore calzaturiero”, ha affermato Annarita Pilotti, che ha inviato una lettera alla Commissione europea e al Consiglio, “è di non potersi più tutelare in modo efficace perché la concessione dello status di economia di mercato alla Cina avrebbe un impatto immediato sull’efficacia degli strumenti europei di difesa commerciale. Un cambiamento di metodologia che accettasse i prezzi e costi cinesi, palesemente distorti data la pesante ingerenza dello stato nell’economia, renderebbe il sistema antidumping dell’Unione europea inefficace a contrastare le pratiche commerciali sleali della Cina”.

“Assocalzaturifici ha partecipato attivamente all’inchiesta condotta a Bruxelles dalla CEC, Confederazione Europea della Calzatura, che ha portato nel 2006 all’approvazione del Consiglio dei Ministri UE di misure antidumping contro le importazioni sottocosto da Cina e Vietnam; misure mantenute in vigore sino al 2011”, ha continuato Pilotti. “Con un diverso regolamento non sarebbe stato possibile adottare dazi efficaci. La Commissione deve prendere una posizione chiara contro il riconoscimento del MES al Paese, difendendo la produzione industriale europea e italiana. Ciò anche in considerazione del fatto che la Cina rispetta attualmente solo uno dei cinque criteri economici stabiliti dalla UE per il riconoscimento dello status di economia di mercato”.

Il Parlamento europeo, lo scorso 12 maggio, si è espresso contro il riconoscimento di economia di mercato a Pechino, in una risoluzione approvata a larga maggioranza e dalle principali forze politiche europee.

La posta in gioco, per un settore che si confronta con una domanda interna in calo da otto anni e che fatica a uscire dalla crisi iniziata nel 2008, è molto elevata. In termini di paia di calzature la Cina ha pesato per il 40% del totale delle importazioni italiane nel 2014 e per il 39% nel 2015. Aegis Europe, un’alleanza di oltre 30 associazioni manifatturiere europee, stima la perdita di oltre 300mila posti di lavoro, qualora il mercato comunitario venisse nuovamente inondato di prodotti cinesi sottocosto. L’Italia, oltretutto, sarebbe il paese
più colpito.



Di Laura Galbiati

DOMENICO DE MASI: “L’Italia è diventata una Repubblica fondata sugli asini”

di Antonello Caporale
Se l’Italia è una Repubblica tendenzialmente fondata sugli asini c’è un perché. E l’asineria, i meridionali la chiamano con sentimento “ciucciaggine”, è madre legittima della raccomandazione, ritornata in cattedra con le vicende della famiglia Alfano, il ministro dell’Interno. Domenico De Masi è sociologo di razza e studioso appassionato del nostro vizio capitale.
De Masi, siamo un popolo di raccomandati perché siamo asini?
Se non hai altro metodo per valutare il curriculum suo da quello mio, resta la raccomandazione come unico punto dirimente.
Lei parla di asini di massa al tempo di Internet in cui il sapere è orizzontale, la conoscenza è istantanea.
Io parlo? Metto i numeri sul tavolo. Negli Stati Uniti 94 studenti su 100 che completano il ciclo scolastico proseguono per l’università. In Germania sono 78 su 100. In Italia siamo inchiodati al 36 per cento. E di questa minoranza 22 si fermano alla triennale e 14 proseguono per la laurea magistrale.
Ma perché?
Perché la cultura è disprezzata. Al ministero dell’Università serviva un genio e hanno messo la Gelmini, ora nemmeno ricordo il nome della attuale titolare. E l’idea beceramente produttivistica ha fatto sì che nel Nord-Est i padri spingessero i figli a entrare immediatamente in officina. Tanto il lavoro c’è e si guadagna anche di più.
L’università ha infatti perso valore.
Ma la cultura serve per vivere, Dio santo! Non solo per mangiare. E l’università la facciamo con i piedi. Puoi laurearti negli anni curriculari, o anche farne il doppio o il triplo e nessuno ti chiede nulla, ti dice nulla. Il costo delle tasse universitarie è talmente basso che sembra un parcheggio di oziosi imbelli. Come si fa a non capire che il livello della cultura generale è direttamente proporzionale al livello della partecipazione democratica?
Più sei colto più ti appassioni alla politica.
Washington ha il 49 per cento dei suoi cittadini che sono laureati. Alle elezioni la soglia dei votanti è del 70 per cento. Yuma, e siamo sempre negli Usa, ha l’11 per cento dei suoi cittadini laureati. I votanti si fermano al 30 per cento. Se sei colto hai minori possibilità di essere razzista, di essere violento. Anche la criminalità subisce la dura relazione con la cultura.
Ma se non c’è cultura esiste la raccomandazione.
La vicenda Alfano è spettacolare ma non turba. È dentro lo spirito nazionale, sicuramente è un gene della società meridionale. D’altronde è logico che se non hai altra possibilità di selezionare…
Essendo tutti asini.
L’asineria è la mamma felice della raccomandazione.
La signorina raccomandazione.
L’unico gancio è la conoscenza, intesa come relazione col potente.
Infatti Angelino Alfano si è stupito di tanta curiosità e attenzione nei confronti della propria famiglia. È l’idea che la raccomandazione possa assomigliare a una carezza gentile e non a un peccato mortale.
Ma certo che si stupisce! Il poveretto è dentro la cultura della spintarella. Dove non c’è studio c’è lo spingi spingi.
Siamo fregati.
Abbiamo avuto cattivi maestri e cattivi leader. Vetroni, D’Alema, Bertinotti, Rutelli non sono laureati e sono stati testimonial favolosi che – al fondo –la fatica quotidiana di sbattersi sui libri fosse superflua. Bastava essere intelligenti, avere talento e stop. Ma la cultura media occorrente per una società complessa dev’essere elevata. Altrimenti non la governi.
E noi siamo dentro lo sgoverno.
È la conseguenza diretta della incompetenza di massa.
L’asineria trionferà.
Tempo fa per scrivere un libro che era anche dedicato ai temi dell’Islam ho dovuto documentarmi ed è trascorso un anno. Tempo impiegato a sfogliare, rileggere, scoprire o riscoprire. I mass media chi convocano, chi intervistano? Mi dica perché diavolo io debba ascoltare la Santanchè sull’Islam. Ma cosa ne sa lei? Mi chiedo, anzi lo chiedo a lei che è giornalista: perché vi ostinate a domandare agli incompetenti? Capisco che per essere un bravo pianista devi studiare dieci anni, e invece in dieci giorni puoi anche trasformarti in un perfetto politico, in un serial killer dell’intelligenza. Però noi cittadini, quale delitto abbiamo commesso per essere obbligati quotidianamente a queste flebo di insipienza?
Professore, lei è troppo pessimista.
Fossi stato in Renzi avrei destinato all’università tutti i soldi che ha buttato altrove. Gli 80 euro a famiglia sono costati dieci miliardi? Dieci miliardi all’università. Lei pensi che fuoco ardente, che vigoria intellettuale, che fantastico processo di acculturamento di massa. Dieci miliardi e in dieci anni ci saremmo appaiati ai migliori.
Ma senza asini sarebbero finite anche le raccomandazioni.
Eh già.
E sarebbe stato un bel problema.
Sul punto non posso darle torto.
Da: Il Fatto Quotidiano, 9 luglio 2016