Claudio Marenzi: sul 'Made In' atteggiamento omertoso dei Paesi del Nord

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Ancora niente di fatto sul fronte del "Made in". I rappresentanti dei 28, riunitisi il 28 maggio a Bruxelles per il Consiglio Competitività, non hanno raggiunto un accordo sul dibattuto articolo 7 del Regolamento sulla sicurezza dei prodotti, relativo all'obbligo dell'indicazione d'origine. L'Italia chiede l'applicazione per cinque settori economici: ceramica, calzature, gioielleria, tessile e legno-arredo.La problematica è da tempo al centro di un acceso dibattito tra i paesi favorevoli all'obbligo di indicazione d'origine (Italia, Francia, Grecia, Portogallo, Croazia e Spagna) e i paesi contrari a restrizioni sull’etichettatura (Germania e Regno Unito in primis, sostenuti tra gli altri da Austria, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia). A causa dei contrasti sull'articolo 7, gli stati membri non sono ancora riusciti ad approvare il Regolamento, che ad aprile 2014 aveva peraltro già ottenuto la maggioranza assoluta del Parlamento europeo.

Lasciando il Consiglio, il viceministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda ha affermato: "non c'è una maggioranza a favore del made in e neanche una maggioranza tale da far passare il pacchetto senza made in: siamo in una situazione di stallo". In questo contesto, la strategia è quella di "continuare a negoziare perchè finchè non si trovi una soluzione che comprenda il made in, il pacchetto non passa". Secondo il viceministro, "è surreale che un'Europa che vuole crescita e occupazione non riesca nemmeno a decidere su una norma di buon senso. Allora si smetta di raccontare che vogliono la crescita: si tutelano solo gli interessi dei grandi importatori".

“E’ sconfortante che dal febbraio 2013 ad oggi, ancora non si sia riusciti a convincere quella parte di Europa guidata dalla Germania sul fatto che il 'Made In' rappresenti una svolta epocale per tutta l’economia europea, non solo per quella italiana. La resistenza dei paesi del nord al 'Made In' è un ostacolo puramente politico che non trova fondamento alcuno, considerati gli impatti positivi che sono emersi dallo studio fatto ad hoc", ha affermato Claudio Marenzi, Presidente di Sistema Moda Italia. "Inoltre - continua Marenzi - tale resistenza non fa che danneggiare l’interesse di tutti i consumatori che hanno diritto di essere informati sull’origine e sugli standard di qualità all’origine dei prodotti. Su questa questione, alcuni Paesi come la Germania stanno avendo un atteggiamento 'omertoso', che di solito imputano ai Paesi mediterranei".

Il Presidente di SMI ha giustamente sottolineato che L’Italia in questo momento non si senta rappresentata affatto da questo modo di fare l’Europa, precisando di essere "pienamente d’accordo con la decisione del Vice Ministro Calenda di scendere a compromessi solo se il regolamento verrà applicato ai cinque settori che sono stati sin dall’inizio indicati come strategici: ceramica, calzature, gioielleria, tessile e legno-arredo. E confidiamo nell’operato del Governo che oggi ha dimostrato determinazione e volontà di portare a casa un risultato decisamente di grande impatto per la nostra economia”, ha concluso Marenzi.

"Bisogna chiudere il dossier sul "Made in" e "l'Italia è pronta ad un compromesso che ho difficoltà a definire ragionevole... ma siamo disponibili ad inserire una clausola che preveda la revisione del regolamento dopo tre anni dall'entrata in vigore" ha chiosato il Viceministro Calenda "ma i settori da includere sono 5: ceramica, non solo da tavola, ma anche da costruzione e i sanitari, calzature, gioielleria, tessile e legno-arredo. Senza un articolo 7 che abbia queste caratteristiche noi non potremo mai approvare il pacchetto regolamentare oggi in discussione".

E Stilinga pensa che questa Europa germanizzata non rappresenta nessuno se non i tedeschi!