"Se i politici conoscessero Roosevelt"

16SET/140

Intervista a Luciano Gallino
Dopo decenni di politiche che hanno soffocato i diritti e le conquiste del lavoro, alla fine il risultato non può essere che questo: lavoratori di 88 anni o imprenditori che vanno fuori di testa”. Il professor Luciano Gallino è netto nella diagnosi sul mondo del lavoro che sfocia nella cronaca nera, espressione di una realtà che non collima con le “riforme”. “Uno dei modi – continua Gallino – con cui è stata camuffata la rimozione di quei diritti, è stato proprio quello di utilizzare, scorrettamente, il termine ‘riforma’. Un’impresa a cui hanno contribuito attivamente le varie socialdemocrazie”. 
Tra i riformatori della prima ora viene indicata la Germania del socialdemocratico Schröder.
Agenda 2010 dell’ex cancelliere è l’esempio più limpido. Viene indicata come la riforma madre eppure il suo scopo è stato semplicemente quello di ridurre il più possibile i diritti e di mettere in discussione il contratto nazionale di lavoro.
Eppure, proprio grazie a Schröder e alle sue riforme, la Germania guida l’Unione europea. 
Chi fa questo discorso non ha la minima idea di quello che succede in Germania. Il successo delle esportazioni tedesche non ha restituito un euro ai lavoratori di quel paese. Gli aumenti di produttività degli ultimi 14 anni sono stati tutti incassati dalle imprese e i salari sono rimasti fermi a 14 anni fa. La Germania ha venduto grazie a questa politica. Inoltre, in quel paese ci sono circa 7,5 milioni di mini-jobs a 450 euro al mese con lavoratori che devono cumularne almeno due per sopravvivere. I lavoratori tedeschi hanno pagato salato i successi della Germania anche con i tagli al welfare, alla sanità, alla scuola.

Lei parla di una serie di guasti accumulati nel tempo. Perché si prosegue su questa strada?

Mi sembra che si viva in una fase forgiata dal credo neo-liberale. Che in realtà si traduce nell’assoluta libertà delle aziende e nella rimozione di qualsiasi ostacolo provenga dai lavoratori. Questo credo, però, ha prodotto un controsenso evidente: si è lavorato per comprimere seccamente i salari che, al tempo stesso, costituiscono circa il 60-65% della domanda complessiva. Una politica che equivale a spararsi sui piedi perché danneggiare i salari equivale a danneggiare la domanda.
Qual è il suo giudizio sul Jobs act di Renzi?

Intanto va detto che ci sono due versioni del progetto: la seconda, di questi giorni, peggiora la precedente. In ogni caso, il contratto a tutele crescenti significa una precarietà perenne perché nessun imprenditore rinnoverà il contratto al termine dei tre anni.

Una misura immediata secondo lei efficace?

Se c’è qualche soldo, magari quelli utilizzati per gli 80 euro, bisognerebbe concentrarsi su un Piano di opere pubbliche assumendo uno, due o tre milioni di lavoratori, mettendoli direttamente al lavoro. È una lezione di Roosvelt ma, ahimé, nessuno sa più chi sia.”