E' bello camminare in una valle verde... e ora pure al verde

Valleverde: è crac per un altro ex marchio di successo italiano

da: http://it.fashionmag.com/news/Valleverde-e-crac-per-un-altro-ex-marchio-di-successo-italiano,381747.html#.UuJYlNIuKcM

Tra la fine degli anni 90 e l'inizio degli anni 2000, la Valleverde di Coriano (RN) era una delle aziende manifatturiere italiane con i bilanci più sani e con idee produttive che la portavano a presentarsi al mondo come la creatrice della scarpa del futuro. Fra i suoi popolarissimi testimonial figurarono, in tempi successivi, il presentatore Claudio Lippi, il pilota nordirlandese della Ferrari Eddie Irvine e l’attore americano Kevin Costner. L'azienda della provincia di Rimini in quegli anni viaggiava col vento in poppa, e il suo patron, Armando Arcangeli, era diventato un imprenditore molto noto e altrettanto apprezzato.

www.valleverdestilecomodo.com/

Ma oggi, dopo circa 15 anni, il successo della Valleverde è svanito in un mare di debiti e di azioni giudiziarie. Fino ad arrivare alla bancarotta fraudolenta che sta travolgendo l'azienda (che il 19 gennaio scorso ha dichiarato fallimento) e la proprietà.

Secondo quanto ricostruito dal quotidiano economico “Il Sole 24 Ore” e dal giornale “Nuovo Quotidiano” di Rimini, la Valleverde S.p.A., sommersa da debiti per 45 milioni di euro, cambia nome e ragione sociale trasformandosi in Spes S.p.A. Quest'ultima si assume l'onere di pagare il 15% del debito e intanto presenta istanza per accedere alle procedure di concordato preventivo attraverso la cessione in affitto ad un'altra società (la neonata Valleverde S.r.l. appositamente costituita) della gestione del calzaturificio, del magazzino, di tutta la produzione e del marchio. La Valleverde S.p.A./Spes è quindi una newco, ed è controllata da una cordata di imprenditori bresciani costituita ad hoc, che aveva acquistato dalla Spes S.p.A la gestione del ramo d’azienda nell’ambito del concordato fallimentare (i fatti accadono fra la metà del 2011 e l'aprile del 2012).

Tuttavia, dietro la richiesta di concordato, secondo la Procura di Rimini, ci sarebbe stato un piano premeditato per sottrarre 10 milioni di euro all'azienda. Infatti, il pagamento del canone d'affitto d'azienda, che sarebbe servito a ripagare i debiti della Spes S.p.A. (che in seguito verrà dichiarata fallita il 6 giugno del 2013), non verrà mai pagato e secondo la Guardia di Finanza era stato tutto programmato con una serie di accordi sottobanco tra vecchia e nuova gestione. In questo quadro s'inserì poi lo scorso anno una denuncia per truffa, considerata artificiosa dalla GdF, presentata dalla nuova gestione contro la vecchia, accusata di aver fatto sparire parte del magazzino. Meccanismi, secondo la Procura e gli investigatori, messi in atto al solo scopo di dirottare denaro verso altre società.

Sono stati iscritti nel registro degli indagati lo stesso Arcangeli e altre sei persone coinvolte, a vario titolo, nella distrazione di denaro dell’impero Valleverde verso altre imprese. Così, sono finiti nei guai, insieme allo storico boss, il suo braccio destro nella Valleverde S.p.A./Spes, l’amministratore delegato Antonio Gentili (per un certo periodo anche liquidatore della società), e poi cinque manager della nuova azienda, la Valleverde S.r.l., la quale però non gestisce più l’azienda di Coriano, che è stata posta sotto sequestro e affidata dal tribunale alla guida del custode giudiziario, Claudia Bazzotti, già curatore fallimentare della Valleverde S.p.A./Spes.

Si tratta del bresciano di Desenzano sul Garda Enrico Visconti, presidente della S.r.l., di un altro bresciano, Ernesto Bertola, direttore generale, del mantovano David Beruffi, responsabile dell’area finanza, di un’altra bresciana, di Salò, Anna Maria Soncina, consulente esterna dell'area amministrativa e di Raffaele Piacente, romano, responsabile di un gruppo che ha contribuito a ricapitalizzare la S.r.l. per 4-5 milioni di euro nel novembre del 2013. Gli uomini della Guardia di Finanza hanno perquisito le abitazioni di tutti e sette i professionisti, rinvenendo documenti e materiale informatico considerati interessanti per le indagini. Altre perquisizioni sono state effettuate negli uffici della Valleverde S.p.A./Spes a Coriano, e in quelli della S.r.l. a Coriano, Treviso, Fermo e Montichiari (BS).

Ovviamente alla fine chi ci rimette totalmente sono sempre i lavoratori. A rischiare il posto di lavoro oggi sono 150 persone, senza stipendio da tre mesi, che protestano contro il provvedimento di sequestro previsto sia per lo stabilimento riminese di Coriano che per la rete di punti vendita sparsa in tutta Italia.


L'allarme di Greenpeace: "Ci sono piccoli mostri che vivono nei vestiti dei bambini"

da: http://www.repubblica.it/scienze/2014/01/16/news/bambini_mostri-76120655/?ref=HRLV-18
La Cina rimane il maggior produttore al mondo di tessile. Per l'organizzazione le imprese devono impegnarsi a non rilasciare sostanze chimiche pericolose entro il 1 gennaio 2020. Dal lancio della campagna di Greenpeace "Detox" nel  2011, 18 importanti aziende d'abbigliamento si sono già impegnate.

ROMA - Sostanze chimiche pericolose annidate nei vestiti e nelle scarpe per bambini. Secondo il nuovo rapporto reso noto da Greenpeace Asia il pericolo vive anche negli abiti delle marche più care e famose. I risultati mostrano che non c'è grande differenza tra le concentrazioni delle sostanze dannose nei vestiti per piccoli o adulti.  "Un vero incubo per i genitori", afferma Chiara Campione, responsabile del progetto The Fashion Duel di Greenpeace Italia. "Questi piccoli mostri chimici li troviamo ovunque, dai vestiti di lusso a quelli più economici, e stanno contaminando i nostri fiumi da Roma a Pechino. Le alternative per fortuna ci sono e per questo l'industria dovrebbe smettere di usare i piccoli mostri, per il bene dei nostri bambini e delle future generazioni". 

Tutti i marchi testati hanno almeno un prodotto nel quale sono state rilevate sostanze chimiche pericolose. Le concentrazioni di PFOA (acido perfluorottanico) in un costume erano molto più elevate del limite previsto, mentre una maglietta per bambini conteneva l'11% di ftalati. Alti livelli di nonilfenoli etossilati sono stati trovati invece in altri prodotti. 

PFOA, ftalati e nonilfenoli etossilati sono interferenti endocrini, sostanze che, una volta rilasciate nell'ambiente, possono avere potenzialmente effetti dannosi sul sistema riproduttivo, ormonale o immunitario. "Grazie alla pressione dei genitori e dei consumatori in tutto il mondo, alcuni dei maggiori marchi hanno già aderito all'impegno Detox che abbiamo proposto loro, e molti di loro hanno iniziato un percorso orientato alla trasparenza e all'eliminazione delle sostanze tossiche dalla loro filiera, ma non basta", spiega Campione. 

La Cina rimane il maggior produttore al mondo di tessile e Greenpeace chiede al governo di bandire le sostanze pericolose dall'industria. E' importante che il governo pubblichi una lista nera di sostanze da eliminare e chieda alle imprese di agire immediatamente rendendo pubbliche le informazioni sulle sostanze impiegate, per facilitare un processo di trasparenza e pulizia  dell'intera filiera.

Greenpeace chiede alle imprese di riconoscere l'urgenza e di comportarsi da leader sulla scena globale, impegnandosi a non rilasciare sostanze chimiche pericolose entro il  1 gennaio 2020. Dal lancio della campagna di Greenpeace "Detox" nel luglio 2011, 18 importanti aziende del settore dell'abbigliamento si sono già impegnate pubblicamente.

Nuove tendenze street a Roma

Zainetto animalier da uomo

total black a via Condotti

Abitino corto stile tappezzeria con shorts sotto e ankle boots neri, capelli corti, il vero must delle prossime stagioni, come anche qui sotto.

Contributi Inps a perdere. E non è più ammissibile!

Contributi Inps a perdere

Di Marino Longoni
Contributi Inps a perdere

Ci sono in Italia un milione di lavoratori che stanno versando contributi previdenziali, anche piuttosto salati, ma inutilmente. Non riusciranno mai, infatti, a maturare il diritto ad una pensione. Si tratta della quasi totalità dei lavoratori a progetto, dei lavoratori autonomi occasionali, dei collaboratori parasubordinati e altre categorie di minor rilevanza. Insomma di quasi tutti i lavoratori che versano i loro contributi alla gestione separata Inps. Il problema di costoro è tutto richiuso in un concetto piuttosto tecnico, quello di “minimale contributivo”. In sostanza a loro viene accreditato un mese di contributi, validi ai fini pensionistici, solo se dichiarano un reddito di almeno 1.295 euro al mese, e su questo ci versano i relativi contributi (nel 2014 l’aliquota è salita al 28,72%). Se il loro reddito è invece, per esempio, la metà di questa cifra, ci vorranno due mesi di lavoro per mettere insieme un mese di contributi. E così via. A parte gli amministratori, la stragrande maggioranza di coloro che versano alla gestione separata non arriva a questi livelli di reddito. Quindi rischia seriamente di versare contributi senza riuscire mai a maturare un diritto alla pensione. Ma siccome il peggio non ha mai fine, nei prossimi anni l’aliquota contributiva, che già è salita dal 10% al 28% in meno di vent’anni, è destinata ad arrivare al 33% entro il 2018. Aumentando così i contributi versati a perdere.

Scuola, via 150 euro al mese agli insegnanti. POLITICI E GOVERNANTI MA ANNATE A M**I' AMMAZZATI!

Scuola, via 150 euro al mese agli insegnanti. La Carrozza scrive a Saccomanni: "Rinunciare"


Il governo ha bloccato retroattivamente gli scatti di anzianità dei docenti per tutto il 2014, decidendo la decurtazione della somma ogni mese "fino a concorrenza del debito". Il ministro chiede la retromarcia, ma il Mef replica: "Atto dovuto". Sindacati sul piede di guerra

INSEGNANTI sul piede di guerra, e il ministro dell'Istruzione si schiera al loro fianco. Il ministero dell’Economia chiede ai docenti degli istituti italiani di restituire gli scatti stipendiali – già percepiti nel 2013 – con una trattenuta di 150 euro mensili a partire da gennaio. E nel mondo della scuola scoppia la protesta. I sindacati minacciano lo sciopero generale e dal Pd viene inviata una lettera-petizione al ministro Maria Chiara Carrozza e al premier Enrico Letta che in poche ore ha raccolto migliaia di adesioni. A cui arriva una quasi immediata risposta di Maria Chiara Carrozza, che scrive a Saccomanni chiedendo di soprassedere.

E STILINGA PENSA CHE SE GLI INSEGNANTI NON BLOCCANO LE LEZIONI AD OLTRANZA SONO PROPRIO FESSI. MENTRE COLORO CHE CI (S)GOVERNANO SONO DEI GRAN LADRI PATENTATI ED IMPUNITI!

'STI DISGRAZIATI NON SE TAGLIANO NULLA, MANCO LE PENSIONI D'ORO, POI IN POCHI SECONDI CREANO GLI ESODATI E TAGLIANO GLI SCATTI DI ANZIANITA' ALLA CATEGORIA CHE PEGGIO SE LA PASSA IN QUESTO PAESE SENZA STATO, ABBANDONATO.
 ALLA LUCE DI COME VANNO LE COSE, POSSIAMO ASSERIRE ANCHE CHE LO STIVALE E' IN MANO AI MASSONI/MAFIOSI/ULTRACATTOLICI.
SI VERGOGNINO! 
E CHE GLI ITALIANI NON GLI SERVANO NULLA QUANDO VANNO AL BAR, AL RISTORANTE, ETC. E CHE NON LI CARICHINO SUI TAXI, E CHE NON GLI PULISCANO LE CASE E CHE NON GLI PRENDANO I FIGLI DA SCUOLA E CHE NON GLI FACCIANO I CAPELLI QUANDO VANNO AL PARRUCCHIERE E CHE.. ETC. ETC.
SIAMO OLTRE IL LIMITE.
POSSIBILE CHE AL PALAZZO NON L'ABBIANO CAPITO??? ALLORA TOCCA A NOI SVEGLIARE LE BELLE ADDORMENTATE DELLA POLITICA, I PROFESSIONISTI DELLA POLITICA RIPULITI DALLE GRANDI GRIFFE, MA MARCI DENTRO, GLI INCIUCISTI VEGLIARDI DI STATO!



Inps salvato dai precari senza pensione, e che c***o!




Da: http://ilmanifesto.it/linps-salvato-dai-precari-senza-pensione/


Dopo l’Ocse anche la Corte dei Conti denun­cia l’iniquità del Wel­fare ita­liano.

A ripia­nare le ingenti per­dite dell’Istituto nazio­nale della pre­vi­denza sociale (Inps)

sono le lavo­ra­trici e i lavo­ra­tori «para­su­bor­di­nati», le par­tite Iva, tutti coloro che sono impie­gati a tempo e in maniera inter­mit­tente.

Que­sta è una delle prin­ci­pali con­clu­sioni dell’esame del bilan­cio 2012 dell’Inps con­te­nuto nel report reso noto ieri dalla magi­stra­tura con­ta­bile. Per con­te­nere la gra­vosa per­dita cau­sata dall’incorporazione dell’Enpals e dell’Inpdap, l’Inps si avvale del «mas­sic­cio saldo posi­tivo di eser­ci­zio dei “para­su­bor­di­nati” e quello delle pre­sta­zioni tem­po­ra­nee, i cui netti patri­mo­niali con­sen­tono ancora la coper­tura di quelli nega­tivi delle altre prin­ci­pali gestioni e il man­te­ni­mento di un attivo nel bilan­cio gene­rale, espo­sto peral­tro ad un rapido azze­ra­mento». In altre parole, per la Corte dei conti, in un con­te­sto come quello ita­liano in cui i pen­sio­nati con­ti­nue­ranno a cre­scere, anche il capi­tale garan­tito dai lavo­ra­tori auto­nomi e dai pre­cari non basterà a «ripia­nare lo squi­li­brio» tra le gestioni in defi­cit. La con­se­guenza sarà «la dila­ta­zione dei saldi nega­tivi e dell’indebitamento, aggra­vati dal fondo dei dipen­denti pub­blici, in pro­gres­sivo e cre­scente dissesto».


La Corte avverte inol­tre che i lavo­ra­tori indi­pen­denti (appunto: pre­cari, par­tite Iva, inter­mit­tenti) saranno pena­liz­zati mag­gior­mente dal metodo con­tri­bu­tivo. Il loro trat­ta­mento pen­sio­ni­stico, sem­pre che rie­scano a tota­liz­zarlo, rischia di essere molto lon­tano da quello riser­vato a chi è andato, o andrà, in pen­sione con il metodo retri­bu­tivo. La Corte chiede «un costante moni­to­rag­gio degli effetti delle riforme del lavoro e della pre­vi­denza sulla spesa pen­sio­ni­stica e una cre­scente atten­zione al pro­filo di ade­gua­tezza delle pre­sta­zioni col­le­gate al metodo con­tri­bu­tivo e degli ecces­sivi divari nei trat­ta­menti con­nessi a quello retri­bu­tivo, uni­ta­mente all’urgenza di rilan­ciare la pre­vi­denza com­ple­men­tare». Una tesi molto simile a quella soste­nuta dall’Ocse. Resta tut­ta­via il mistero su come i lavo­ra­tori indi­pen­denti, ad esem­pio le par­tite Iva che ver­sano i con­tri­buti nella gestione sepa­rata dell’Inps con un red­dito medio men­sile pari a 753 euro pos­sano finan­ziarsi un fondo pri­vato. Per loro si pre­para un futuro senza pen­sione. L’Inps, con­clude la Corte, ha biso­gno di «indi­la­zio­na­bili misure di risanamento».

Gli eurobond che fecero l'unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania

Gli eurobond che fecero l'Unità d'Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania di Giuseppe Chiellino
da http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-06-30/eurobond-fecero-unita-italia-190357.shtml?uuid=AbDwao0F&p=2

 Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall'agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli Eurobond: l'unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia.
 Nella storia dello stato moderno è l'esperienza storicamente più vicina al faticosissimo tentativo di dare maggiore consistenza politica all'Unione europea, anche attraverso l'integrazione delle politiche economiche e fiscali, compresi debiti sovrani dei 17 paesi dell'euro. Un precedente prezioso, secondo la Collet, per cercare di capire – mutatis mutandis - come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all'unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. «Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati» ricorda la studiosa. Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come "Italy-Neapolitean") la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873. Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l'unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio. La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l'Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%). Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l'Italia quello che oggi la Germania è per l'Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d'Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale, un'agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali. Subito dopo il 1861, però, lo scettiscismo dei mercati nel processo unitario italiano impose un "risk premium" comune a tutti i bond degli stati preunitari, anche a quelli che fino a quel momento avevano goduto di maggiore fiducia e dunque di rendimenti più bassi. Proprio quello che oggi la Germania teme possa avvenire con gli eurobond: l'anno successivo, infatti, i rendimenti dei titoli convertiti in "Regno d'Italia" si allinearono ben al di sopra dei tassi precedenti, al 6,9%. Per gli "Italy – Neapolitean" 260 punti base in più che diventarono 460 nel 1870, per poi cominciare a ripiegare dopo il 1871, quando cioè l'annessione di Venezia e di Roma e il trasferimento della capitale nella città del papato convinsero gli investitori, e non solo, che l'Unità era ormai irreversibile. L"Italia" non era più una mera "espressione geografica", come l'aveva definita Metternich nel 1847, ma dopo tre guerre d'indipendenza e più di vent'anni di manovre diplomatiche era diventata uno stato unitario. «L'integrazione dei debiti sovrani era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa» afferma Collet, ma nota anche che «un aumento del premio di rischio aggraverebbe la crisi del debito che sta vivendo l'Europa piuttosto che risolverla. Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato».
Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell'eurozona. Nel lungo termine, invece, i risultati della ricerca sul caso italiano dimostrano che «nel tempo i rendimenti dei titoli diminuirono». Alla luce di questo, oggi la domanda è: quanto tempo ci vorrà perché anche l'Europa sia considerata come un blocco unico e in grado di dotarsi di un vero e proprio piano di salvataggio per l'euro? Per l'Italia ci volle all'incirca un decennio. Considerato che quella italiana fu un'annessione anche militare e quella europea è un'integrazione consensuale, e che i mercati dei capitali si muovono a ritmi diversi rispetto alla seconda metà dell'800, anche Collet concorda che un aumento del costo del debito nel breve termine sarebbe un prezzo che potremmo permetterci di pagare se avessimo la certezza di avere, tra qualche anno, un'Europa più unita. Ma questa certezza nessuna ricerca, per quanto accurata, potrà mai darla. Serve, forse, la capacità di andare oltre il breve periodo, di guardare un po' più lontano rispetto alla prossima scadenza elettorale, superando la "veduta corta" che per Tommaso Padoa Schioppa è stata «la radice» della crisi.