"Noi nullatenenti siamo carne da macello" di Antonello Caporale

Da Il Fatto Quotidiano di oggi, 28.09.2013
di Antonello Caporale
È il milite ignoto di Forza Italia. Deputato di penultima fila, ultracinquantenne e prossimo esodato della politica. Il suo destino è segnato, è un esubero di Forza Italia e non ha cuore di dirlo a casa, alla moglie. Ha vergato e sottoscritto le maledettissime dimissioni. “Me le hanno fatte firmare durante la seduta alla Camera. Nemmeno la cortesia di una spiegazione. Scrivi e firma. Vedesse le donne, le amazzoni, come hanno subito conquistato la prima fila. Guerriere dell’esercito di Silvio. Sanno che i voti ce li ha ancora e si impegnano per conquistarsi la rielezione. Io invece, e con me altre decine di nullatenenti, siamo carne da mandare prima in guerra e poi al macello. Non siamo dei loro, non siamo i fidatissimi, abbiamo amicizie oblique. Verdini ha già fatto la croce e deliberato. Neanche ti calcolano, ti salutano.
Anche l’assemblea faceva paura. Altro che Forza Italia, sembra il partito comunista. Il presidente non è lucido, e quelli se ne approfittano. Gli fanno credere che lo arrestano e lo spingono a essere sempre più duro. O rompi o finisci dentro. O rompi o ci asfaltano. Finisce male questa storia, lo sento”. Provi a resistere, dichiari la sua opposizione. Tiene alto il suo profilo, dimostra coraggio, i giornali parleranno di lei. “Se pubblica il mio nome sono finito. Meglio essere vile”. La paura è un sentimento umanissimo. Si dice che anche Annibale avesse terrore in battaglia. “Non sono mai stato bravo in storia. Il mio incubo ricorrente è questo: mentre attraverso piazza Montecitorio mi si para un microfono davanti e la ragazza vestita di nero mi chiede: in che anno c’è stata l’unità d’Italia? E io che ne so, figlia mia. Sa quante volte sono andato su Google a cercare la data? La dimentico sempre”. 1861. “Adesso che lo dice io ricordo. Poi passa e fugge via. Mi confondo con le Olimpiadi”. Non tutti sono talenti. “Ho fatto il massimo possibile, sono intraprendente e avevo un lavoro che mi dava soddisfazioni. La politica mi ha rovinato. Se ci dimettiamo adesso io non ritorno più a Roma. E a casa cosa trovo? Ho trascurato lo studio, e dirottato i clienti ad altri colleghi. Non vorrei imitare Razzi ma uno si fa due conti. Al mio secondo mandato mi sono detto: posso farmi il mutuo. È alto, era un passo necessario. Ma se esco di qui prima del previsto i conti si sballano. È la vita di un uomo che ha famiglia e nessuno ha rispetto”.

Berlusconi le ha dato tanto. “Devo tutto a lui. E se avessi idea di un uomo lucido lo seguirei ovunque. Lei non l’ha visto: è terrorizzato, incupito. Gli danno una dose quotidiana di incubo. I Verdini, le Santanchè, gli avvocati lo stanno trascinando alla guerra, gli fanno vedere manette ovunque. Un Politburo che comanda e silenzia ogni dissenso. Se non sei con loro sei fuori. Mettere Brunetta capogruppo, poi…”. Brunetta la fucilerà. “Se scrive il mio nome mi fucilerà”. Chi non sottoscrive quel che dice ambisce a falsificare la realtà. “Facciamo così allora: mi dia altre due settimane, fino al 4 ottobre io sto con loro. Vado in piazza con loro. Se la situazione precipita, come credo, il 5 ci vediamo di nuovo qui, al tavolino di questo bar. E proseguiamo il colloquio interrotto”. Da qui al 5 ottobre cosa cambierebbe per lei? “Ho come la sensazione che se le dimissioni saranno poste ai voti, il Pd giocherà come il gatto col topo. Accetterà quelle degli Schifani e terrà di conto invece chi ha idee come le mie più ragionevoli”. Farà il topo. “Farò il topo. L’unica possibilità che ho per salvarmi è che non si vada alle elezioni. Farmi almeno questa legislatura per intero. Credo che il presidente Napolitano non voglia crisi cruente e che Enrico Letta, da buon democristiano, sappia scegliere tra noi”. Sta annunciando la diserzione. “Mi dica se ho un’altra chance, una diversa via di fuga. Dieci giorni ancora di inabissamento e poi mi dichiaro”. È politicamente e moralmente riprovevole ciò che sta per fare. “Io voglio bene a Berlusconi, ma non mi dà una sola possibilità di spiegargli il mio stato d’animo. E’ circondato da pazzi furiosi”. Chieda udienza. “Neanche mi fanno entrare. Conto meno di Dudù”.
Stilinga ringrazia sentitamente Antonello Caporale per aver portato alla luce la unica vera natura dei parlamentari italiani che nominati col Porcellum tutto devono al capo bastone e che se ora il governo dovesse cadere, starebbero sull'orlo del baratro (ma cascano comunque in piedi, non come i comuni mortali che pagano i loro stipendi) in quanto hanno un mutuo da pagare (SIGH!).
La rabbia monta. La voglia di andare a nuove elezioni si trasforma in necessità: ITALIANI ANDIAMO A NUOVE ELEZIONI PER FARE CADERE NEL PANICO QUESTI IDIOTI NOMINATI! 
Noi che nel panico ormai ci viviamo, diamo loro l'esperienza che tanto li sgomenta: facciamo in modo che si sporchino con la realtà! 
Regaliamo loro notti da incubo e ansia protratta! 
E che tutti i loro piani, fatti su misura della nomina parlamentale, vadano in fumo, ora e ci vadano ogni volta che il popolo  sovrano diventa consapevole di avere dei FESSI e degli IDIOTI  al parlamento e al senato, le case degli italiani, non dei nominati!

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4-This is Italy: food fraud

da Repubblica http://www.repubblica.it/cronaca/2013/09/28/news/nas_cibo_sud-67436226/?ref=HRER2-1

Sequestrate 280 tonnellate di cibo al Sud.
Irregolarità in un esercizio su tre

Gli alimenti erano in pessimo stato di conservazione, insudiciati, in strutture sprovviste dei requisiti igienico-sanitari, su scaffali arrugginiti. Chiuse 48 strutture, 400 persone segnalate alle autorità. Coldiretti: "Allarme per il 71% degli italiani"


NAPOLI -
 I controlli del Nas dei carabinieri di Napoli sono durati un mese. Tra stabilimenti di produzione, depositi all'ingrosso, ristoranti, panifici e supermercati, i 15 nuclei del Sud Italia hanno ispezionato 1300 strutture. Su queste, 48 sono state chiuse e almeno 390 trovate irregolari. I Nas hanno sequestrato circa 280 tonnellate di alimenti e vino. Erano in cattivo stato di conservazione, insudiciati, depositati in strutture sprovviste dei requisiti igienico-sanitari e senza la documentazione utile per la loro rintracciabilità. Nel corso del servizio, sono state accertate 634 violazioni alle leggi di settore (di cui 80 penali) con sanzioni amministrative pari a 630 mila euro. Quattrocento persone sono state segnalate alle autorità giudiziarie, sanitarie e amministrative.

In particolare, il Nas di Reggio Calabria, in un supermercato della provincia ha trovato e sequestrato due celle frigo in pessime condizioni igieniche, completamente invase da ruggine, liquidi maleodoranti e muffe, anche sulle scaffalature e circa una tonnellata di alimenti scaduti da 3-5 anni (2008) tra cui insaccati, formaggi, panna, pasta fresca e conserve. Salumi e formaggi non avevano l'etichetta o era abrasa, contraffatta, cancellata. Il supermercato è stato chiuso, il titolare è stato denunciato.

Bari, invece, in un'azienda vitivinicola della provincia, all'interno di un deposito non autorizzato e privo dei requisiti previsti dalla normativa, i Nas hanno sottoposto a sequestro amministrativo 28 mila bottiglie di vino a denominazione di origine controllata privi di capsule di imbottigliamento e della documentazione certificante "Doc" e "Igt", immagazzinati, tra l'altro,in pessime condizioni igieniche con accumulo di sporcizia su pavimenti e pareti. Palermo, in un'industria di produzione di gelati e di pasticceria surgelata, è stata sequestrata una tonnellata tra pan di spagna, rollè cacao, glasse, cioccolato, tutte scadute da diversi mesi. Arrestato anche un pregiudicato 43enne e un 24enne che vendevano abusivamente interiora di bovino (c.d. stigghiole) utilizzando come deposito un locale, già sottoposto a sequestro. La carne, 6 quintali, era congelata con frigocongelatori allacciati alla rete elettrica pubblica.

I Nas di Taranto, Lecce e Bari, con il comando provinciale di Taranto, e personale medico delle Asl di Taranto e Brindisi, hanno chiuso per gravi carenze igieniche e inadeguatezze strutturali, 6 attività (depositi prodotti ittici e alimenti, azienda agricola con stabilimento di produzione conserve vegetali, caseificio, ristorante) e sequestrato uno stabilimento vinicolo risultato privo di autorizzazione allo scarico dei reflui.

Sequestrati anche 600 chili tra prodotti ittici (cozze, calamari, seppie, polpi) e cacio ricotta, formaggi, ricotta, oltre 1.600 confezioni tra pasta, pomodori pelati, biscotti, bibite, acque minerali, liquori, conservate tra ragnatele, su scaffali metallici arrugginiti, e sotto finestre sprovviste di mezzi idonei a impedire l'entrata di insetti e animali.

Plaudendo all'operazione dei Nas dei carabinieri, la Coldiretti ha fatto sapere che sale al 71 per cento la percentuale di italiani in allarme nel 2013 per le alterazioni, le contraffazioni e le falsificazioni dei prodotti alimentari anche per effetto di una crisi che ha determinato un forte taglio alla spesa alimentare delle famiglie e un orientamento verso il 'low cost' con minore garanzie di sicurezza.

L'operazione de carabinieri - sottolinea la Coldiretti - è particolarmente rilevante nel Mezzogiorno dove si registra la maggiore incidenza delle spese familiari per l'alimentazione sul totale (25 per cento) rispetto alla media nazionale del 19 per cento. Nel solo primo trimestre del 2013 - conclude - sono stati effettuati sequestri di prodotti alimentari per un valore di 112,6 milioni di euro secondo i dati del comando carabinieri per la tutela della salute (Nas).

In merito alla "solitudine del plagiato" di Veronica Tomassini/il Fatto Quotidiano

Ne "la solitudine del plagiato" Veronica Tomassini, ieri su il Fatto Quotidiano, narra come Saviano abbia dovuto dare un indennizzo morale a Simone De Meo dai cui reportage avrebbe tratto parti intere di Gomorra, mai citandone l'autore e di come tale Tiziano Scarpa (davvero una scarpa!) abbia "ispirato" o meglio sincronizzato il suo romanzo Stabat Mater a quello di Anila Hanxhari intitolato Maria delle Caramelle.

Stilinga pensa che siamo alle solite: autori famosi diventano vampiri di autori in ombra o sconosciuti. Ma non solo. Diventano (o forse sono) ladri.
Non c'è da aggiungere altro, augurando agli scippati di emergere e di oscurare la fama (ma poi sarà vera fama?) dei loro malfattori.

La doppiezza di Angela Merkel di Barbara Spinelli

La doppiezza di Angela Merkel

Non è semplice definire la fisionomia di Angela Merkel divenuta cancelliera per la terza volta. In patria ha trionfato grazie alla sua sembianza tranquilla, rassicurante, digiuna d'ogni ideologia: i tedeschi la chiamano Mutti, Mamma.

Senza remore assorbe idee socialdemocratiche, come Blair assorbì Margaret Thatcher. In Europa la fisionomia è tutt'altra: perentoria, rigida, matrigna più che materna. È come se avesse accanto a sé un sosia, un signor Hyde che di notte s'aggira nelle città europee e non strangola certo fanciulle ma piega le economie dei paesi troppo indebitati, che la sua morale castigatrice non tollera. Li piega fino a spezzarli: è successo in Grecia, peccatrice per eccellenza.

È una doppiezza con cui continueremo a fare i conti, anche perché i tedeschi desiderano proprio questo: l'isola immunizzata in un felice recinto, e fuori un disordine caotico che solo l'inflessibile mano di Berlino può disciplinare, per salvare l'euro o distruggerlo purché la Germania non finanzi eccessive solidarietà.

Ulrich Beck ha dato un nome a questa strategia che esalta l'insularità nazionale, che è del tutto priva di visione europea, e ha tramutato l'Unione in disunione: l'ha chiamata modello Merkiavelli. Il Principe deve scegliere: o farsi amare o farsi temere. La vincitrice delle elezioni si sdoppia: è amata in casa, e fuori incute paura. Se in questi anni ha eretto l'esitazione a norma, se un giorno apre all'unione federale e il giorno dopo s'avventa contro il rafforzamento del bilancio europeo, la mutualizzazione dei debiti, l'unione bancaria, è per meglio acquietare i propri elettori. "L'esitazione si fa strumento machiavellico di coercizione", anche se ogni volta lo sfascio dell'Europa è evitato in extremis, e ad alto prezzo.

Beck è convinto che alla lunga la strategia non reggerà. Verrà il momento di decisioni più ardite, e la Merkel oserà l'integrazione europea che non ha davvero tentato. Non più allarmata dal voto, aspirerà a una grandezza meno provinciale: vorrà entrare nei libri di storia come vi sono entrati Brandt, Schmidt, Kohl. Non sarà disturbata oltremisura dal nuovo partito anti-europeo (Alternativa per la Germania), che farà sentire il suo peso ma non è ancora in Parlamento. Desidererà esser ricordata per la sua qualità di guida che accomuna gli europei, invece di spaventarli, soggiogarli, separarli.

Questo carisma non l'ha mai posseduto. Non c'è una sua sola frase sull'Europa che sia memorabile, se escludiamo l'interiezione (Un passo dopo l'altro - Schritt für Schritt) che costella i discorsi. Lo stesso machiavellismo dovrebbe indurla a cambiar strada, a realizzare l'Europa politica che ogni tanto invoca. La Germania è diventata troppo potente  -  conclude Beck  -  per permettersi il lusso dell'indecisione, dell'inattività. Né lei né i socialdemocratici possono continuare a sonnecchiare sull'orlo del vulcano, come la bella addormentata descritta da Jürgen Habermas.

Per svegliarsi dal sonno non basta tuttavia liberarsi del machiavellismo: che è solo un metodo, utile a simulare l'assenza di ideologie. L'ideologia c'è, invece: la logica del recinto immunizzante presuppone la certezza di possedere una scienza infusa, un'ortodossia economica non confutabile, e di quest'ortodossia si nutre il neo-nazionalismo tedesco. Non è più l'aspirazione a un impero territoriale, ed è vero che Berlino non desidera restare sola al comando, come alcuni sostengono. È il nazionalismo di ricette economiche presentate come toccasana infallibili, e che può essere riassunto così: che ognuno "faccia i suoi compiti a casa" - dietro le rispettive palizzate, costi quel che costi - e solo dopo saranno possibili la cooperazione, la solidarietà, l'Europa politica di cui ci sarebbe subito bisogno. I risultati del nazional-liberalismo tedesco (il nome scientifico è ordoliberalismo) sono stati disastrosi. In Grecia, i salvataggi accoppiati a terapie recessive hanno aumentato il peso del debito pubblico sul prodotto nazionale (130% nel 2009; 175 oggi), con effetti tragici su crescita e disoccupazione (27% sul piano nazionale, 57% fra i giovani).

La cancelliera non vuole comandare, ma soverchiatore è il dogma secondo cui l'ordine mondiale regnerà a condizione che ogni Stato faccia prima ordine economico in casa. È predominio il rifiuto opposto agli eurobond, gli ostacoli frapposti all'unione bancaria perché Berlino mantenga il controllo politico sulle proprie banche, l'ostilità a un aumento delle risorse comunitarie che consenta quei piani europei di investimento che Jacques Delors propose invano fin dal '93-'94. È predominio quando la Banca centrale tedesca chiede di contare di più negli organi della Bce, e attacca Draghi perché s'è permesso contro il parere berlinese di soccorrere i paesi in difficoltà acquistando i loro titoli. Non meno prepotente è la Corte costituzionale di Karlsruhe, che paralizza l'Unione ogni volta che verifica la conformità dei piani europei di solidarietà alla Costituzione tedesca, senza mai inglobare gli imperativi dei trattati costituzionali della Comunità. Siamo abituati ad associare nazionalismo e autoritarismo. Ma il nazionalismo può anche indossare le vesti di una democrazia nazionale osservata con puntiglio: ma nell'isolamento, indifferente a quel che pensano e vivono le altre democrazie dell'Unione.

Se la Merkel ha vinto con questa ricetta è perché il neo-nazionalismo è diffuso nel paese. Una Grande Coalizione fra democristiani e socialdemocratici non cambierebbe nella sostanza le cose: la socialdemocrazia appoggia da anni le politiche europee del governo, pur denunciandone a parole i pericoli. Ha addirittura accusato la Merkel di spendere troppo. Proporsi un'Europa diversa è compito affidato alla cancelliera come ai suoi eventuali alleati di sinistra.

Il Modello Germania fa ritorno, ma non è più l'alternativa al mercato senza briglie che Schmidt concepì nel '76. I tedeschi cercano rifugio nell'ortodossia nazional-liberista non perché felici, ma perché impauriti. Vogliono a ogni costo stabilità. E "nessun esperimento", come Adenauer promise dopo il '45. Non tutti i tedeschi in verità, perché c'è povertà anche in Germania e ben 7 milioni di precari lavorano per salari oscillanti fra 8 e 5 euro l'ora (meno dal salario minimo in Spagna). Ma i più si sentono confortati da un leader che non sembra chiedere granché ai concittadini, anche quando in realtà chiede. Bisogna che la crisi tocchi la pelle del paese, perché ci sia risveglio. La Merkel ne è stata capace, a seguito della catastrofe di Fukushima: meno di tre mesi dopo, il 6 giugno 2011, ha rinunciato all'energia atomica.

Molto potranno fare gli Stati dell'Unione, se smetteranno la subalternità che li distingue. Tra i subalterni ricordiamo l'Italia di Letta-Napolitano, che s'aspettava chissà quali miracoli dal voto tedesco; e che dopo il voto si autoincensa paragonando l'imparagonabile: Larghe Intese e Grosse Koalition, Berlusconi e Merkel, indecentemente assimilati.

Molto dipenderà infine dalle sinistre tedesche. Sulla carta esiste una maggioranza parlamentare, composta di socialdemocratici, verdi e sinistra radicale (Linke). Governare con la Linke è giudicato irresponsabile dalla Spd, ed è tabù comprensibile: il partito ingloba gli ex comunisti della Germania Est. Ma questi anni potevano essere usati per costruire un dialogo civilizzatore della Linke, e prefigurare un'alternativa alla Merkel. Per tanti tedeschi il dialogo è destabilizzante. Ma la democrazia non si esaurisce tutta nella stabilità, nella continuità. Priva come la Merkel di forti visioni, la socialdemocrazia è rimasta intrappolata nello spirito dei tempi: "Non c'è alternativa alle cose come stanno". È un altro recinto da smantellare, se con la Germania crediamo non alle cose come stanno, ma alla possibilità di un'Europa diversa.

3-This is Italy: Campania

Rifiuti tossici, trovati fusti
a Casal di Principe

Si tratterebbe di fanghi industriali. Il ritrovamento in un punto indicato da un collaboratore di giustizia, a una profondità di nove metri.


Materiale ferroso e fanghi di natura industriale.  Li hanno trovati in un terreno sulla circumvallazione di Casal di Principe, in via Sondrio, i tecnici dell'Arpac e i Vigili del fuoco di Caserta, in collaborazione con il Nucleo operativo dei Carabinieri di Casal di Principe.

Erano a circa 10 metri sotto terra da almeno una ventina d'anni, in un terreno di proprietà privata riconducibile, secondo gli investigatori, ad una società immobiliare.  Gli scavi sono stati ordinati dai pm Antimafia di Napoli Giovanni Conzo e Luigi Landolfi, e dal procuratore aggiunto Francesco Greco.

A portare gli inquirenti sulla pista giusta, un collaboratore di giustizia che starebbe rivelando, tra l'altro, i siti dove sono stati nascosti rifiuti tossici. Le operazioni di scavo sono cominciate alle 9 di martedi  mattina. Uomini in tuta bianca e maschere antigas hanno cominciato a perlustrare la zona che si trova a ridosso dell'area mercatale dove il sabato si svolge la fiera settimanale.

Confinante con il terreno oggetto di scavo, ce n'è anche un
altro, già sequestrato, e dove nel  luglio 2011 un collaboratore di giustizia fece trovare altri rifiuti industriali.  Quando le ruspe sono arrivate a 5 metri di profondità, sono stati prelevati alcuni campioni di terreno per analizzarli e per rilevare l'eventuale presenza di sostanze nocive. Sono stati utilizzati anche dei rilevatori di radioattività, ma sinora non ne è stata rilevata la presenza. 

La scoperta dei rifiuti tossici, invece, è avvenuta scavando più in profondità. Attorno all'area dove si procede con gli scavi, un cordone sanitario realizzato dai carabinieri, ha tenuto lontano i curiosi, ma non i militanti del "comitato dei fuochi e dei veleni" che di recente si è costituito a Casal di Principe, dopo le dichiarazioni di Carmine Schiavone.

Tra loro anche don Maurizio Patriciello, parroco del Parco Verde di Caivano, in prima linea nella lotta contro i roghi tossici di rifiuti nella cosiddetta "Terra dei fuochi", tra le province di Napoli. "Non ci fidiamo delle loro analisi  -  dicono alcuni militanti del Comitato  -  Non ci fidiamo dell'Arpac. Ci tengono lontano, non ci fanno vedere cosa c'è lì sotto. Vogliamo chiedere alla Procura della Repubblica di ammettere un tecnico di fiducia alle operazioni che stanno eseguendo i reparti speciali di Carabinieri, Vigili del fuoco e Arpac. Chiedere di poter prelevare un campione dei fanghi trovati per analizzarlo in un nostro laboratorio di fiducia".

Intanto la folla di curiosi aumenta di ora in ora. C'è un tam tam sui social network che fa circolare velocemente la notizia del ritrovamento dei rifiuti tossici a Casal di Principe. Si parla di iniziative di mobilitazione. Soprattutto si maledicono gli autori di questa tragedia.

Ci sono le prime reazioni politiche al ritrovamento dei rifiuti tossici.

Il deputato del Pd Massimiliano Manfredi, membro della Commissione Ambiente: "Il ritrovamento di una serie di fusti, probabilmente contenenti fanghi industriali, in un terreno di Casal di Principe non lontano del centro abitato, è un primo importante risultato di un lavoro che, attraverso l'impegno congiunto della Magistratura e delle Istituzioni, deve portare in tempi brevi ad una mappatura completa, e alla successiva bonifica, dei siti della Campania oggetto negli anni scorsi di vergognosi sversamenti abusivi di scorie tossiche, in buona parte provenienti da altre regioni. A sostegno di questo lavoro attendiamo ora che vengano desegretati gli atti delle audizioni del pentito Schiavone, risalenti al 1997, al fine di ottenere ulteriori informazioni che possano rivelarsi utili per l'individuazione delle aree da bonificare".

"Il ritrovamento dei rifiuti tossici a Casal di Principe conferma che le rivelazioni del pentito Carmine Schiavone erano fondate. Adesso bisogna agire non è accettabile che quel territorio viva l'incubo di un inquinamento che spezza la vita, lo sviluppo ed il lavoro di una intera comunità". A dichiararlo è il coordinatore campano di Sinistra ecologia e libertà, Arturo Scotto. "Adesso si muovano le istituzioni e si proceda rapidamente alle bonifiche. E i responsabili diretti e indiretti  - conclude il deputato Campano - di questo disastro ecologico e democratico paghino il loro conto con a giustizia.

2-This is Italy: Campania

LA TERRA DOVE BRUCIANO I VELENI ARRIVATI DAL NORD
DI ENRICO FIERRO
DA www.ilfattoquotidano.it del 14.09.13

"Cumparié posa sta cosa e vattenne! ”. Due uomini spuntano dai campi e invitano il cronista (“cumparié”) a mettere via la macchina fotografica e ad andare. Siamo tra Parete e Giugliano, pianura fertilissima di pomodori, fagiolini, prossimamente friarielli e altro ben di Dio. L’epicentro dei veleni, il cuore di “Monnezza valley”.
 In un raggio di 120 ettari ci sono ben cinque discariche con migliaia di tonnellate di rifiuti interrati. Due, la Resit e Novambiente, erano gestite direttamente dalla camorra dei casalesi. Qui dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso fino al 2004 sono state sepolti 30.700 tonnellate di veleni della bonifica dell’Acna di Cengio. Il morbo che per venti anni è colato nelle viscere della terra nel 2064 avvelenerà tutte le falde acquifere che vanno dal Casertano al Napoletano.
 I bambini che nascono oggi e che quell’anno festeggeranno il loro cinquantunesimo compleanno apriranno rubinetti che sputeranno veleno. 
Sono i risultati di uno studio che il geologo Giovanni Balestri fece per la Procura antimafia di Napoli nel lontanissimo 2003. Dati, cifre, analisi che il Parlamento conosce bene da almeno un decennio. Queste campagne dove lavorano centinaia di braccianti neri e dell’Est Europa, con i furgoni che aspettano di caricare le casse di melanzane, pomodori e fagiolini, per portarle ai mercati, sono nel cuore di quella che l’Istituto superiore di sanità definisce la zona rossa. Duecentoventi ettari di pianura attorno alla discarica dove non si dovrebbe coltivare un filo d’erba. I contadini sono imbufaliti. “La nostra roba è buona”, ti urlano in faccia. Anche Mario De Biase, il commissario di governo per le bonifiche, dice che non ci sono rischi per i prodotti agricoli. Pomodori e friarielli si possono mangiare, sono state fatte le analisi, tutto è clean, pulito. Ma chi sa come sono andate le cose in questi anni, ti racconta un’altra storia. Quella di contadini che negli anni del Far West della monnezza non hanno resistito all’emissario del clan che offriva centinaia di milioni di vecchie lire per un fosso. Di notte, con i mezzi pesanti, si scavava la buca profonda dai 4 ai 18 metri, un enorme cassonetto dove si buttavano i rifiuti tossici, poi la si ricopriva con terra buona dove piantare pomodori e altri ortaggi. La chiamano la tecnica del “biscotto”. Queste terre morte, dove si vive e si lavora per disperazione, sono l’epicentro della vergogna italiana. Attorno alla discarica cumuli di rifiuti inceneriti. Vengono dal Nord e li trasportano coi camion ogni notte e li bruciano: scarti di pellami, tetti di eternit, bidoni, sacchi pieni di solo dio sa cosa. Nessuno controlla, nessuna autorità apre gli occhi nella terra dei fuochi. Qui lo Stato è una farsa. Il commissario De Biase lo ha detto senza peli sulla lingua. Parlava con un gruppo di cittadini che gli chiedevano quali mezzi avesse a disposizione il suo ufficio. “Al Commissariato siamo quattro scafessi ”, la risposta. Lo “scafesso” nel dialetto di queste parti è il fesso aggravato da impotenza. Una nullità. Lo hanno filmato con i telefonini e messo su youtube. È scoppiato l’inferno. “Ma in quali mani siamo? A chi stiamo affidando la salute e la vita dei nostri figli?”. Don Maurizio Patriciello, il parroco di Caivano, è imbestialito. “Dov’è l’Italia, dove sono le voci autorevoli in grado di strappare queste terre a un destino di morte?”. Il parroco sta preparando un dossier per il Vaticano, sarà ricevuto dal Papa (che lo ha già esortato ad andare avanti con le sue battaglie) e non esclude che Bergoglio possa decidere di venire qui, nel cuore dell’inferno, a portare la sua voce. Luciano Lavarone è il coordinatore del Comitato Terra dei fuochi che raccoglie centinaia di volontari. “Qui è in atto un crimine contro l’umanità, siamo stanchi di accompagnare al cimitero bambini morti di tumore. I politici sanno tutto da vent’anni, si svegliano ora e cosa propongono? Un nuovo inceneritore”. C’È TANTA GENTE che in questi anni ha parlato e non è stata ascoltata da nessuno. Anche i medici e gli oncologi si sono beccati l’accusa di essere degli allarmisti incoscienti. “Un nuovo inceneritore – dice il dottor Antonio Marfella, oncologo dell’Istituto Pascale – diventerà un attrattore di rifiuti provenienti da tutta Italia. Due inceneritori, Acerra e Giugliano, in un raggio di 25 chilometri, e in grado di bruciare 1 milione di tonnellate l’anno, più dei nove termovalorizzatori di tutta l’Austria. È la monnezza il nostro destino?”. La monnezza è oro, dicevano i boss. Per la “bonifica” della Resit si spenderanno 6 milioni e mezzo, e a metà ottobre partirà la gara per l’inceneritore di Giugliano. Spesa prevista 356 milioni. Soldi che fanno gola alla camorra nuova versione, quella che ha indossato i panni dell’industriale in giacca e cravatta. Tutto è clean.

Stilinga si chiede: ma i casalesi stessi e tutte le loro famiglie sono in salute? abitano questi luoghi che hanno inquinato? oppure sono malati di cancro e hanno seppellito tanti parenti morti di tumore? Cosa hanno i camorristi in testa? 

1-This is Italy: Campania

LA TERRA UCCISA DALLA MONNEZZA 
DI ENRICO FIERRO DA www.ilfattoquotidiano.it del 13.09.13

Se volete vedere, annusare, toccare con mano il più grande disastro ambientale della storia d’Italia dovete venire qui, a Giugliano, Napoli, Campania, terra di camorre, malapolitica e veleni. La gente ieri si passava di mano in mano la prima pagina de Il Mattino che ha pubblicato i risultati di una indagine dell’Istituto superiore di sanità. Tutti l’hanno letta, ma nessuno si è meravigliato. “Sappiamo da anni che il nostro destino è di morire avvelenati. Ci ha ucciso la camorra con il traffico della monnezza, i politici che prendevano i voti, ma anche lo Stato che ha trasformato questa nostra terra in una enorme Monnezza Valley”. Nino è ai cancelli della Resit, una delle discariche della vergogna, il regno dell’avvocato Cipriano Chianese, colletto bianco dei casalesi. Lì sotto c’è di tutto. “È peggio dell’Aids”, disse il pm dell’Antimafia di Napoli, Alessandro Milita, davanti ai parlamentari della commissione d’inchiesta sui rifiuti. Alle tre del pomeriggio davanti alla Resit ci sono ambientalisti, normali cittadini e preti come don Maurizio Patriciello, che da anni si batte contro camorra e monnezza e che tre giorni fa si è inginocchiato davanti al Papa. “Vai avanti così”, gli ha detto il Pontefice. E lui va avanti con questa umanità che non vuole crepare nella “terra dei fuochi”. L’analisi dell’Istituto superiore di Sanità è terribile. Tutta l’area che va da Giugliano a Villaricca fino al litorale Domiziano è inquinata, ma c’è una zona rossa dove ormai l’avvelenamento di suoli e acque ha raggiunto livelli di irrecuperabilità. 
Terre morte. Per sempre. Duecentoventi ettari gravidi di veleni, un livello di inquinamento che si estende alle falde acquifere per 2 mila ettari. Qualcosa come 2600 campi da calcio. Questa una volta era Campania felix, qui si facevano tre raccolti l’anno di ortaggi pregiati e frutta ottima. Da decenni il paesaggio è mutato, ora accanto ai campi ci sono le discariche. Una ogni mille abitanti, 40 in un solo chilometro quadrato, 15 milioni di rifiuti solidi urbani interrati. I casalesi e i loro referenti politici si sono arricchiti col business della monnezza. Nella Resit del colletto bianco avvocato Chianese (ottimi rapporti col padrone del Pdl casertano Nicola Cosentino) hanno interrato i veleni dell’Acna di Cengio. “Duecentomila tonnellate di sostanze tossiche – ha rivelato da pentito l’ex trafficante di rifiuti Gaetano Vassallo – ci furono pagate 10 lire al chilo”. Di cosa si trattava? Quale morbo è stato iniettato nel ventre di questa terra disgraziata? Vassallo e i suoi amici casalesi non se ne curavano. “Quella roba friggeva, era così potente che squagliava anche le bottiglie di plastica nel terreno”. 

Mario De Biase, commissario di governo in Campania per le bonifiche, è terribilmente esplicito. “La bonifica è impossibile. Se qualcuno pensa che in quei terreni si possa ricreare l’ambiente bucolico di cent’anni fa sbaglia e di grosso. Ci vorrebbero i soldi di una finanziaria intera. E poi come si fa a scavare e riportare alla luce acidi, veleni, percolato inquinato. Dove li smaltiamo?”. E allora? “Allora il mio compito è quello di mettere in sicurezza quell’area. C’è già un progetto, i soldi, 6 milioni e mezzo, le gare partiranno presto. La falda è inquinata ma si tratta di vedere il tipo di inquinamento, e poi deve essere chiaro che in tutta quella zona attorno alla Resit e alle altre discariche, si devono espiantare le coltivazioni di frutta e piantare alberi no-food. L’area deve essere isolata rispetto al resto”. Il commissario insiste, carte alla mano dimostra che “non c’è passaggio diretto di Cov (composti organici volatili, ndr) e frutta e ortaggi”, ma la gente non si fida più. A Giugliano basta andare a Taverna del Re per capire che hanno ragione. 

Qui, tra pescheti e campi coltivati a ortaggi, c’è il monumento alla più grande vergogna italiana: il deposito di ecoballe. Sei milioni di tonnellate di involucri che pesano una tonnellata ognuno, pieni di rifiuti. Sono lì da anni impilate in piramidi alte decine di metri, erano i cosiddetti rifiuti trattati destinati all’inceneritore di Acerra. Balle, menzogne raccontate ai cittadini della Campania da tutti, politici di destra e di sinistra, prefetti e alti commissari. In quei grossi sacchi c’è di tutto e non possono essere inceneriti se non vengono trattati nuovamente. Altri soldi, altri miliardi. E un altro inceneritore che la Regione Campania ha deciso di costruire qui, a Giugliano, nella Monnezza Valley. Era la Campania felix, una volta, prima che gli abusi edilizi divorassero la campagna, prima della monnezza, prima della camorra e dei sindaci compromessi con i boss. Ora, scrive la Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, “la catastrofe ambientale che è in atto costituisce un pericolo di portata storica, paragonabile soltanto alla peste settecentesca”. 


Enrico Fierro 

Protesta contro la pedonalizzazione dei Fori Imperiali, Alemanno contestato - Video - Corriere TV

Protesta contro la pedonalizzazione dei Fori Imperiali, Alemanno contestato - Video - Corriere TV

Tengo famiglia: il fratello di Angelino Alfano nominato dirigente alle Poste

Tengo famiglia: il fratello di Angelino Alfano nominato dirigente alle Poste

Come scrive l’Unità, formalmente un dirigente può essere nominato per chiamata diretta, senza fare alcun concorso, ma la nomina fa storcere un po’ il naso.
Anche perché di sicuro per quella carica lo stipendio sarà elevato (sopra i 100 mila euro l’anno, fino a 200 mila).

http://www.blogo.it/news/politica/redazione/46799/tengo-famiglia-il-fratello-di-angelino-alfano-nominato-dirigente-alle-poste/

Dagli ulivi agli scogli l'ultimo business dei ladri di paesaggio

Dagli ulivi agli scogli l’ultimo business dei ladri di paesaggio

di GIULIANO FOSCHINI   13 Settembre 2013
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da  La Repubblica

La merce va al nord: centomila euro per ricostruire un’intera zona
di Giuliano Foschini


Un pezzo di paesaggio pugliese in una villa in Brianza: l’ulivo secolare, il muretto a secco, il trullo. La scogliera sarda in una piscina sul litorale romano. Un casale umbro in Veneto, la terra rossa della Valle d’Itria all’Argentario. In Italia esiste un mercato assai particolare in grado di annullare la geografia, alterare l’ambiente e molto spesso consegnarsi al kitsch: è il mercato dei ladri di paesaggio. Sono contadini, vivaisti, architetti di esterni che si offrono di prendere un pezzo di un territorio e di riproporlo uguale e identico in qualsiasi parte d’Italia, anche a migliaia di chilometri di distanza.


Non lo fanno per bellezza, ma per denaro. Tanto: un albero secolare può costare anche diecimila euro, compreso di espianto e reimpianto. Mentre per ricostruire una zona si arriva a centomila euro.
La regione che più delle altre viene saccheggiata è la Puglia, che ha nel suo territorio agricolo specificità chiare, a tratti uniche: gli ulivi secolari, per l’appunto. Ma anche la terra rossa nella quale crescono, i muretti a secco e addirittura i trulli. Ci sono vivai che vendono pacchetti interi mentre basta fare un giro su Internet per comprare un ulivo secolare. I prezzi variano dai mille ai cinquemila euro (compresi di trasporto e impianto), per realizzare un trullo non si va sotto i ventimila a cono mentre i muretti a secco, con pietre originali, non costano meno di 300 euro a metro quadrato. «Il mercato è florido, da quanto ci risulta le richieste sono molto alte» spiegano le forze di polizia che da anni hanno dichiarato guerra a questi predoni. Soltanto quest’anno ci sono stati un centinaio di sequestri: l’ultimo, effettuato dalla Finanza, è di sabato scorso quando su un camion sono stati trovati tre ulivi appena spiantati pronti a partire per un vivaio del Nord.


«Il vero problema - spiega il vice presidente nazionale di Legambiente, Edoardo Zanchini - è che non esistono leggi che tutelano un
bene importante come il paesaggio. Proprio la Puglia ha, col governo Vendola, varato una legge importante per tutelare gli ulivi secolari. Ma evidentemente c’è qualcosa che non funziona, visto che il mercato non si è mai fermato: proprio l’altro giorno, con Goletta Verde, eravamo all’Argentario e ci siamo accorti che improvvisamente era spuntato un enorme ulivo secolare». Legambiente ha avviato una ricognizione per verificare i danni dei predoni del paesaggio. «È incredibile quello che è successo sulla costa dove è cambiata la morfologia: per creare spiagge laddove non ce n’erano, e creare accessi al mare dove esistono scogliere, sono state sbancate
dune, rubata spiaggia qui e là che ha cambiato proprio la linea della costa».


«Effettivamente questo è un fenomeno
nuovo però dal nostro punto di vista molto affascinante» commenta Mauro Agnoletti, professore della facoltà di Agraria dell’Università di Firenze e coordinatore della commissione di paesaggio
agrario al ministero dell’Agricoltura. «Si sta riscoprendo l’importanza del paesaggio e non della singola pianta, ma dell’intero ambiente. Però il paesaggio va curato, restaurato ma non stravolto come sta accadendo anche perché non esistono catalogazioni e normative specifiche». Il professore cita per esempio il caso di querce secolari «prenotate l’anno precedente e poi spiantate con i bulldozer e le gru per essere trasportate in ville private. Ma anche alberi di agrumi, magari caratteristici della Sicilia, che finiscono al Nord. Il problema è che deve esistere una differenza tra una pianta e un soprammobile».

Stilinga pensa che i vivaisti, gli architetti di esterni, i contadini, ma soprattutto i clienti che comprano tali scempi siano zotici, disumani ed ignoranti, oltre che miopi e cretini: che ci fa un ulivo centenario in Brianza? prende l'umido? e che ci fa un trullo o un muretto a secco originale pugliese in Veneto? ammira la nebbia padana?
Come si fa a non capire che certe realtà naturali e culturali sono espressione di condizioni uniche e impossibili da replicare ovunque? e poi, ma che NOIA! vai a nord e trovi la Puglia? e allora non ci vai più in Puglia! e uguale per la Sardegna e la Sicilia... Cari oriundi del sud, se svendete la vostra natura e la vostra terra per soldi, vedrete quanto costa poi rimettere mano al vostro habitat! E poi vi mangerete i soldi?
Stilinga propone anche per esempio di spiantare le ville venete e ricostruirle in Calabria, oppure di spostare Colle Brianza  in Lucania, giusto per vedere l'effetto che fa.

After Ana Botella, one more piece of humour

Video di presentazione del nuovo ambasciatore USA in Italy "I deliziosi piatti di ogni regione..." fa al paio con gli hobby...che naif e che visione miope e distante anni luce dall'Italia: della serie pizza e mandolino! Ma quando avremo un ambasciatore USA con un bagaglio culturale vasto e con una conoscenza approfondita sull'Italia?????????


 http://youtu.be/PzZEffqzoiA

MA IL VOTO POPOLARE NON CANCELLA I REATI

MA IL VOTO POPOLARE NON CANCELLA I REATI

(Giovanni Valentini)

La Repubblica,  


I giudici non bastano mai a fermare la corruzione, se non se ne rimuovono le cause prime; e per farlo, la ragione morale non è mai sufficiente, soprattutto se indotta per via giudiziaria; ci vuole sempre e comunque la buona politica.
(da “Non ti delego” di Aldo Schiavone–Rizzoli,2013–pag.10)
Nell’increscioso happening mediatico sulla cosiddetta “agibilità politica” di Silvio Berlusconi, quasi si trattasse di un immobile pericolante da restaurare, riqualificare e sottoporre magari a collaudo, c’è un punto focale su cui converrà soffermarsi per fugare equivoci o strumentalizzazioni. Ed è quello che riguarda la presunta ordalia elettorale che, secondo molti suoi sostenitori, dovrebbe annullare – come un giudizio divino, appunto – la sentenza della magistratura in forza dei voti raccolti nelle urne.
Ma tutta questa indecorosa vicenda, non c’è niente di più falso e ingannevole. Ammesso e non concesso che il responso degli elettori possa prevalere su un verdetto emesso dai giudici “in nome del popolo italiano”, nel caso specifico non vale evidentemente il “principio di maggioranza”. L’elettorato del Pdl corrisponde a un terzo dei votanti e a circa un quinto di tutti gli aventi diritto al voto: si tratta, quindi, pur sempre di una minoranza. E comunque, la storia è prodiga di esempi che dimostrano ampiamente come il popolo a volte “elegge” perfino dittatori o tiranni, colpevoli di misfatti e reati.
Un secondo motivo è che, prima della sentenza definitiva, gli elettori di Berlusconi potevano legittimamente ritenerlo innocente. Mentre oggi, di fronte al terzo verdetto della magistratura, molti hanno dovuto o dovranno cambiare idea. Il responso dell’ordalia, dunque, va quantomeno verificato attraverso un ulteriore passaggio elettorale.
Un altro motivo per respingere l’ordalia è l’influenza della televisione e in particolare delle reti Mediaset che hanno già prestato e continuano a prestare a Berlusconi un “sostegno privilegiato”: ancora alle ultime elezioni, secondo una ricerca del Censis, oltre il 55% degli elettori ha deciso come votare in base alle informazioni e ai commenti trasmessi dalla tv, in larga parte controllata dall’ex premier-tycoon. E un tale condizionamento, per prevenire le obiezioni di tante “anime belle”, non funziona solo in termini politici ed elettorali. Ma anche in termini di “cultura di massa”.
È proprio questa mentalità collettiva – o “senso comune”, indotto dall’imbonimento della televisione commerciale – che può contribuire a spiegare il deficit di indignazione, la carenza di una larga disapprovazione pubblica nei confronti degli atti illeciti di Berlusconi. Il processo di identificazione reciproca tra il leader e il suo popolo è arrivato al punto da ipnotizzare o narcotizzare il pubblico dei teledipendenti. Lui stesso ha incarnato così un “modello di comportamento” in negativo, trasferendolo dalla sfera degli affari a quella della politica.
Se manca l’indignazione pubblica, manca di conseguenza l’indegnità personale. Quella consapevolezza, cioè, che avrebbe già dovuto indurre Berlusconi a dimettersi da senatore, dopo la condanna a quattro anni di reclusione e cinque di interdizione dai pubblici uffici. Non si scopre oggi, del resto, che l’opinione pubblica italiana, per una serie di ragioni storiche e culturali, difetta di quell’etica civile che in altri Paesi è stata ispirata soprattutto dalla riforma protestante.
Altro che contenzioso giuridico, dunque, sulla retroattività o irretroattività della legge Severino. La decadenza è, in pratica, una conseguenza automatica della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione. Al pari dell’incandidabilità, non può che scattare ex nunc,come dicono i giuristi, nel momento stesso in cui il parlamentare diventa un pregiudicato. E infatti, è una pena accessoria che si aggiunge a quella principale della reclusione, come una sanzione amministrativa, in analogia con gli effetti civili di una sentenza penale. Se un reo non può entrare in Parlamento, evidentemente deve uscirne appena si accerta in via definitiva la sua colpevolezza.


QUAL È IL PREZZO DELLA GOVERNABILITÀ


La Repubblica 07.09.13

“QUAL È IL PREZZO DELLA GOVERNABILITÀ”, di VITTORIO SERMONTI

Caro Presidente Napolitano,
ma che cosa sta succedendo in Italia? Possibile mai che a un cittadino della Repubblica sia permesso (come è stato permesso ai primi di agosto) di additare con le lacrime agli occhi allo scherno di un migliaio o due di cittadini adoranti che brandiscono bandieroni stampati in serie e cartelli girati all’indietro per essere ripresi dalle telecamere, i giudici della Corte di Cassazione, colpevoli di averlo condannato per frode fiscale? Possibile che gli sia consentito (come gli è stato consentito) di ridicolizzare magistrati del più alto ordine giudiziario come «impiegati che hanno fatto un compitino vincendo un concorso», lui unto dal popolo, cioè presidente-padrone di un partito che ha riscosso parecchi consensi, comunque meno di un quarto del corpo elettorale, e che personalmente è disprezzato da quasi tutti gli altri elettori, e irriso nel resto d’Europa e del mondo? Possibile che quella bella manifestazione di strada, diffusa in diretta tv, e introdotta dall’inno nazionale, si sia insediata protervamente al centro dell’informazione televisiva e della vita politica e civile della nazione da settimane e settimane? E che le parole del cittadino con le lacrime agli occhi siano poi state citate impunemente dal suo staff a esempio di responsabilità istituzionale e di moderazione politica? E che Lei, signor Presidente, davanti alla nazione che la Sua persona ha onorato nel mondo con tanta fermezza e tanto equilibrio sia scandalosamente convocato ogni giorno che passa a tamponare una ininterrotta serie di ricatti per evitare il collasso dell’esecutivo, mentre il Paese intero arranca per sopravvivere e il Mediterraneo è spazzato da venti di guerra?
Presidente, mio Presidente, Lei sa molto meglio di me come una comunità tessuta di parole che non hanno più peso né senso perché ogni affermazione vale la sua smentita, e in cui l’iniquità si perfeziona nel cavillo, non è un Paese decente, certo non è un Paese per giovani. 
Una accettabile stabilità di governo in una fase di estrema labilità economica e di grande turbamento sociale entro un quadro internazionale minacciosissimo va accanitamente difesa (chi non se ne rende conto?): ma forse non a qualsiasi prezzo. E se il prezzo è l’ossatura morale del Paese, l’onore della sua lingua, cioè della sua identità profonda, la povera faccia di ciascuno di noi, io penso disperatamente che quel prezzo non vada pagato.
La politica svolga il suo compito; le istituzioni, il loro. Ma è arrivato il momento che ogni singolo cittadino – in democrazia il solo soggetto che dia corpo e legittimità alla maggioranza e, in casi estremi, l’unico contrappeso alla maggioranza – si metta in piazza per dire chiaro che non sopporta più di vivere ostaggio dell’egolatria eversiva di un frodatore del fisco, e tanto meno (è un problema di noi vecchi), di morirci.

La strategia del ricatto per blindare il porcellum

“La strategia del ricatto per blindare il porcellum”, di Gianluigi Pellegrino


Senza il Porcellum, il caimano non avrebbe il pantano dove minacciare il suo ultimo disperato colpo di coda. 
L’estorsione istituzionale di Berlusconi (salvacondotto personale o niente governo) una quintessenza della concussione, già sin troppo tollerata, sarebbe un’arma del tutto spuntata. Un’arma inefficace se non ci fosse la legge porcata da lui del resto a suo tempo voluta e approvata. 

Con un qualsiasi decente sistema di voto, il Paese avrebbe poco da temere dalla restituzione della parola ai cittadini, e già solo per questo il Cavaliere e la sua corte avrebbero altrettanto poco da minacciare.
Invece tornando al voto con il Porcellum non solo tutto il peggio è possibile ma bene che vada il caos è garantito e il risultato incostituzionale pure. Per non dire che tra gli obbrobri di quella legge c’è anche che un condannato, interdetto dai pubblici uffici e da ogni incarico di governo, parlamentare decaduto e incandidabile, possa ugualmente figurare al centro della scheda nel ruolo a quel punto sovversivo di capo e padrone della sua squadriglia.
Berlusconi tutto questo lo sa e quindi brandeggia la sua ultima disperata minaccia di provocare immediate elezioni ancora deturpate dal Porcellum se Pd e capo dello Stato non gli abbuonano sentenze e reati.
Da qui due immediate e stringenti conclusioni. La prima è quanto miopi siano state le titubanze e le ipocrisie con cui anche il governo e i democratici hanno fatto melina sulla riforma elettorale che pure avevano promesso come primo improcrastinabile impegno. Lo hanno fatto nella malcelata paura, quasi il terrore, che cambiare il sistema di voto avrebbe accelerato la fine di esecutivo e legislatura che evidentemente si volevano tenere in piedi a prescindere dalla loro utilità per il Paese, secondo l’immarcescibile comandamento del “tirare a campare che è sempre meglio che tirare le cuoia”. E così fingendo confronti e approfondimenti si rinviava tutto nel tempo, giungendo persino ad inserire in un disegno di legge costituzionale la blindatura del Porcellum sino alle calende greche di riforme che non hanno le condizioni minime per essere varate. Questo giornale aveva più volte evidenziato quanto la scelta di rinvio fosse sleale nei confronti del Paese ed ingiusta sul versante istituzionale. 
Le direttive europee ammoniscono come il tempo migliore per approvare nuove regole elettorali sia l’immediato inizio della legislatura, perché più avanti si va, più il merito della riforma viene inquinato dalle necessità di posizionamento delle forze politiche in vista del ritorno alle urne.
E comunque la presenza di una praticabile legge elettorale costituisce ogni giorno il polmone essenziale per l’agibilità democratica di una repubblica costituzionale.
Oggi quelle ipocrisie che imploravamo di abbandonare, si ritorcono contro chi l’ha praticate perché è proprio il Porcellum l’ultima arma disperata che consente a Berlusconi il suo estremo ricatto contro governo e Paese, per le incognite che aprirebbe un ritorno alle urne inquinato dalla legge porcata. E così la nemesi si con l’esecutivo e le larghe intese che speravano di blindarsi dietro alla sopravvivenza del Porcellum e invece rischiano di finirne fagocitati. Come apprendisti stregoni di una scellerata politica del rinvio.
Allora, ed è qui la seconda conclusione, oggi sono proprio Pd e governo che devono rompere gli indugi e varare una legge di urgenza di riforma elettorale. Adottando nel merito una soluzione che nessuno può contestare: primo turno di collegio come vogliono Pd e cittadini, ma ballottaggio nazionale di coalizione come preferisce il centrodestra. Con un quota proporzionale per le piccole formazioni e il diritto di tribuna. Si garantirebbe così in un colpo solo governabilità, rappresentanza e restituzione della scelta ai cittadini. Chi potrebbe credibilmente protestare?
I democratici quando su questo tema (rigettando la mozione Giacchetti) hanno affermato un sorprendente principio di “solidarietà” con il Pdl, hanno rischiato di cambiare natura alla cosiddette larghe intese: da convergenza su un esecutivo di necessità, a un patto di complicità tra i gruppi dirigenti che è quanto di più paludoso e nefasto per il Paese. Complicità che non a caso oggi Berlusconi richiama nel pretendere i voti per un eversivo salvacondotto.
Si spezzi quindi il circuito vizioso non solo votando la decadenza come impone la legge e la Costituzione, ma anche paralizzando il ricatto ritorsivo del Cavaliere, proponendo subito la riforma elettorale con procedura di urgenza e sulla sua approvazione se del caso mettendo anche la fiducia. A quel punto sì il re sarà nudo e chiare le responsabilità di ciascuno; Cinquestelle compresi.
La Repubblica 07.09.13