Dal buco dell'era Storace al crac Vaticano. Drammi e disastri della sanità romana di MARIA NOVELLA DE LUCA



Dal buco dell'era Storace al crac Vaticano.Drammi e disastri della sanità romanadi MARIA NOVELLA DE LUCA


Dieci miliardi di debiti pregressi e 1 miliardo  e 140 milioni di deficit oggi. Per far fronte, adesso, bisogna chiudere quattro ospedali, tagliare duemila letti e mille e cinquecento posti di lavoro. Pagano i cittadini e il personale. Il simbolo sono i grappoli di lenzuola bianche che da mesi coprono per protesta i tetti e le facciate dei più grandi ospedali romani. Umberto I, San Filippo Neri, Forlanini, Gemelli, Spallanzani... Migliaia di lenzuola diventate drappi neri di smog e di pioggia, bandiere luttuose di un crac annunciato che sta travolgendo tutta la Sanità del Lazio, 10 miliardi di debiti alle spalle e un miliardo e 140 milioni di euro di deficit oggi, una voragine che sta divorando reparti di eccellenza e posti di lavoro, ma che affonda le sue radici in una lunga storia di inefficienze e ruberie. I numeri sono quelli di una dismissione, quasi un addio alle armi: duemila letti da tagliare, quattro ospedali da chiudere, almeno 1500 licenziamenti annunciati, medici e tecnici che fanno lo sciopero della fame, e per la prima volta è anche la potente e ricca Sanità del Vaticano a piegarsi in due, i grandi nosocomi cattolici cresciuti e prosperati con i rimborsi della regione Lazio. Cadono simboli e stemmi di congregazioni religiose: dal Gemelli al Fatebenefratelli travolti dai tagli del piano “lacrime e sangue” del commissario alla Sanità Enrico Bondi, all’Idi, il più importante ospedale dermatologico d’Italia, messo in ginocchio da un buco finanziario di 800milioni di euro. L’intero vertice laico e religioso dell’Idi è sotto inchiesta e i dipendenti senza stipendio da più di quattro mesi. Soltanto due sere fa, infreddoliti e affamati, sono scesi dal tetto che i 6 tecnici che facevano lo sciopero della fame. "Piccoli, grandi eroi", li hanno chiamati i loro compagni di lavoro.


Gli ospedali romani sono a terra, i laboratori vuoti, i pazienti abbandonati sulle barelle perché i reparti scoppiano: ma forse la Capitale, dicono i sindacati, altro non è che quel “laboratorio dello smantellamento della sanità pubblica”, minacciato, seppure velatamente, dal presidente del Consiglio Monti, paradigma dunque di ciò che potrebbe accadere altrove, in altre regioni. Ma da dove nasce lo sfascio della Sanità romana? E chi sono i responsabili? E quanto la tragedia di oggi è da imputare alla spending review che deve portare il numero di posti letto a 3 per mille abitanti, e quanto invece a precedenti (spericolate) amministrazioni regionali? 


Storia di un crac. "E’ il 2006 quando il buco nella Sanità del Lazio lasciato dalla giunta Storace viene per la prima volta alla luce in tutta la sua enormità: 10 miliardi di euro, una cifra spaventosa", racconta Marcello Degni, economista, docente di Contabilità Pubblica alla Sapienza di Roma. Quarantanove ospedali pubblici venduti e poi riaffittati a caro prezzo dalla Regione, la malefatte di lady Asl, fatture gonfiate, appalti, tangenti. Un fiume di denaro che scompare senza traccia. Un debito tossico che eredita in pieno Piero Marrazzo, succeduto alla Regione alla fine del 2005, che chiede l’intervento dell’allora ministro per l’Economia Tommaso Padoa Schioppa. 


"Venne deciso un piano di rientro, almeno parziale, attraverso un prestito dello Stato di cinque miliardi di euro, da restituire in 30 anni attraverso rate di 300 milioni ogni dodici mesi. Ed è da qui, per impedire la formazione di nuovo debito che iniziano i tagli alla Sanità del Lazio". Dal 2006 al 2012 scompaiono anche attraverso la chiusura di molti piccoli ospedali, circa 4mila posti letto.


La Sanità laziale subisce un tracollo: al Pronto Soccorso del San Camillo, tra i più affollati della Capitale, i malati vengono visitati per terra, come negli ospedali di guerra. La fotografia, scattata a febbraio del 2012, fa il giro del mondo: è l’Italia? Sì, è l’Italia, anzi Roma, anni luce lontana dall’Europa. Ma non basta: il disavanzo della spese sanitarie della Regione Lazio resta alto, altissimo. Un miliardo e 140 milioni nel 2011. E i tagli spesso avvengono senza criterio, come denuncia Ignazio Marino, presidente della Commissione d’Inchiesta sulla Sanità del Senato. Che definisce il Lazio un esempio di “sperpero nazionale”.


Quell’esercito di primari. Sì, perché non si può mettere in ginocchio una città, chiudendo poli d’eccellenza facendo così pagare ai cittadini il prezzo di colpe altrui... Oltre alla “finanza facile” dell’era Storace, che cosa è successo infatti negli ultimi 15 anni nella città eterna, all’ombra anche e a volte con la “partecipazione” del Vaticano? Spiega Ignazio Marino: "La soluzione non possono essere tagli selvaggi che ricadono sulla pelle dei cittadini, dopo che per decenni in questa regione si sono moltiplicate cattedre, posti, reparti. Nel Lazio ci sono 1600 Unità Operative, a capo di ognuna della quali c’è un primario. Quante di queste sono davvero necessarie?". E quante create per offrire un posto di prestigio a qualcuno? Come non ricordare, allora, soltanto uno degli scandali più recenti, cioè quella Unità Operativa Complessa di “Tecnologie cellularimolecolari applicati alle malattie cardiovascolari” creata ad hoc al policlinico Umberto I di Roma per Giacomo Frati, figlio del rettore della Sapienza Luigi Frati? 

Ma i casi citati da Ignazio Marino sono molti di più. Le 35 strutture di emodinamica (reparti ad alta specializzazione cardiologica) di cui però soltanto 6 lavorano giorno e notte, come se, ironizza Marino, "l’infarto arrivasse soltanto nelle ore d’ufficio". E poi i 5 centri per il trapianto di fegato, costi altissimi e 98 interventi nel 2011, contro i ben 137 effettuati a Torino dove di centro trapianti ce n’è uno solo. "Il risanamento passa attraverso gli accorpamenti e una gestione più equa delle risorse. Ci sono spese gonfiate e reparti depressi: penso al pronto soccorso pediatrico del policlinico Umberto I, visita 27 mila bambini l’anno e l’80% del personale è precario. Una follia".


Lo scandalo dell’Idi. E’ forse la prima volta nella storia italiana, e soprattutto in quella capitolina, che le casse degli ospedali vaticani sono vuote. Il crac ha travolto anche loro. Lenzuola appese ai balconi del policlinico Agostino Gemelli, polo d’eccellenza della sanità vaticana, dove è sempre pronto un reparto per accogliere il Papa. L’università cattolica subirà un taglio retroattivo di 29 milioni di euro per il 2012, mentre attende ancora 800 milioni di rimborsi. E altri ospedali religiosi, come il Fatebenefratelli, hanno già iniziato a non erogare più prestazioni in convenzione.

Ma è lo scandalo dell’Idi a turbare (forse) i sonni delle gerarchie ecclesiastiche. Chi ha rubato infatti i soldi dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata, all’avanguardia per le malattie della pelle e nella cura del melanoma? Una storia torbida, che ha fatto parlare di un caso “San Raffaele” della Capitale, ha portato sotto inchiesta tutti i vertici dell’istituto di proprietà dei padri Concezionisti per un buco nella casse dell’ospedale di 800 milioni di euro. E in particolare frate Franco Decaminada, da anni a capo dell’Idi, accusato di appropriazione indebita, e autore, sembra, di opache speculazioni finanziarie che hanno messo in ginocchio l’istituto, attraverso l’acquisto di immobili, e addirittura di investimenti in Congo. "Fatturavamo 70mila euro al giorno - racconta desolata Stefania Zaia, tecnico di laboratorio - oggi siamo senza stipendi da quattro mesi".


Emergenza Italia. Se il Lazio è il paradigma negativo di quello che può succedere in una regione amministrata male, nel resto d’Italia la situazione è quasi altrettanto grave. Dai migliaia di esuberi in Lombardia al taglio dei interventi non urgenti in Toscana, dai debiti della Campania alla minaccia di chiusura dell’ ospedale Valdese in Piemonte, la sanità pubblica italiana sembra destinata ad una progressiva e amara dismissione.

GENEALOGIA DI GIORGIO NAPOLITANO DI SAVOIA

GENEALOGIA DI GIORGIO NAPOLITANO DI SAVOIA

Cardinale Scola: la chiesa cattolica mette a rischio la libertà dei cittadini italiani


Stilinga risponde al cardinale Scola asserendo che la chiesa cattolica ha messo e tuttora mette a rischio la libertà dei cittadini italiani.


Lo Stato laico è idoneo a costruire un ambito favorevole a tutti i cittadini e nessuna religione lo può o lo deve limitare in alcun senso.

Inoltre, ogni cittadino ha diritto a decidere se o meno aderire a qualsivoglia religione che lo interessi e lo aiuti a livello spirituale.

La chiesa cattolica ed il suo stato extra territoriale in seno alla città di Roma, devono rassegnarsi al declino economico e spirituale in cui si trovano.

Nonostante ripetutamente, la chiesa cattolica abbia messo le mani sullo Stato Italiano, i cittadini italiani sono forti e ben temprati contro tali assalti e sanno che il potere di cui la chiesa cattolica gode in casa loro va ben oltre la tollerabilità sopportabile, ed il pensiero di questi cittadini va anche verso i recenti scandali non solo economici e quindi del tutto secolari, ma anche pedofili in cui proprio la  chiesa è coinvolta.
E' vero cardinale Scola che la visione del mondo è profondamente mutata nei secoli e pare che l'unica istituzione religiosa che non ha capito dove la società stava andando sia proprio la chiesa cattolica, che infatti ormai è distaccata dalla realtà dei cittadini italiani, ottusa e persa nei sui dogmi e nei suoi secolarissimi privilegi.

Quindi cardinale Scola, Stilinga le suggerisce di evitare di esternare attacchi aggressivi verso lo Stato Italiano e le suggerisce anche di farsene una santa ragione.

Siamo tanti noi cittadini italiani e siamo pronti a difenderci, credo che questo lo sappia.
 

Agnese Borsellino:"Il mio sdegno per Mancino"

Agnese Borsellino parla del marito

Perché Monti vuol far morire la sanità pubblica di Ivan Cavicchi

Perché Monti vuol far morire la sanità pubblica
 di Ivan Cavicchi* da il Fatto quotidiano

 Le maldestre dichiarazioni del presidente Monti sulla sanità ci dicono che il governo sta lavorando a un cambio di sistema.

Con l’inganno dell’assistenza integrativa, potrebbero arrivarci addosso mutue e fondi assicurativi a sostituire, non a integrare, lo Stato in parti rilevanti della tutela pubblica. 

E siccome sono cose costose, che “l’anatra zoppa” si arrangi e addio all’universalismo e alla solidarietà.

Sono convinto che un’operazione del genere è più ideologica che dettata dai problemi oggettivi della sanità, per cui c’è da chiedersi che diritto abbia un governo tecnico di mettere in croce milioni di persone con un anacronistico neoliberismo. 

La situazione oggi per i cittadini è molto più pesante di quando, 50 anni fa, avevamo il sistema mutualistico: 9 milioni di persone sono fuori dall’area del diritto, 2 milioni e mezzo di nuclei familiari abbandonano le cure perché non hanno i soldi per pagarsele e solo 8 regioni riescono a fatica a garantire le cure dovute per legge.

La spesa che il cittadino sborsa per avere ciò di cui avrebbe gratuitamente diritto è altissima: siamo a 2 punti di pil. Ma questo è ancora niente.

Con la spending review, i tagli lineari e la legge di Stabilità (sono le regioni a dirlo), la situazione diventerà una “tragedia greca”. Il doppio senso non è casuale. Non mi stupisce quindi che si voglia mettere mano a un cambio di sistema con l’intenzione di frammentare e delimitare il più possibile il bacino del dissenso sociale.

Credo che la spending review sia stata sottovalutata per le sue dirompenti implicazioni non tecniche, ma politiche. È stata vista dalla maggior parte dei commentatori, regioni in testa, come una prova di rigore esagerato. MA IN REALTÀ crea di fatto le condizioni per una devastante privatizzazione del sistema.

 I tagli non sono solo esagerati, ma pensati per ridefinire di fatto i confini del servizio pubblico e per definanziare il sistema. I tagli lineari stanno al definanziamento come le mutue stanno alla privatizzazione. Quindi perché meravigliarsi se oggi Monti ci viene a parlare di mutue e di assicurazioni private? Sappiamo che sulle mutue sta lavorando il ministro Balduzzi (area Pd), a conferma del fatto che la “sinistra”, pur con qualche incertezza, ci sta pensando da tempo.
Del resto, chi non sa come andare avanti ritiene saggio tornare in dietro. È inutile dire quali enormi interessi si celino dietro la ricostruzione delle mutue. Fu Rosy Bindi, oggi presidente del Pd e nel ‘99 ministro della Salute, a sdoganare con la sua riforma le mutue integrative (dopo che le mutue erano state proibite dalla riforma del 1978).

 OGGI il governo Monti ci pone di fronte a una premessa fallace e a una falsa alternativa: siccome abbiamo problemi di bilancio, o aumentiamo le tasse o diminuiamo i servizi cioè cambiamo il sistema.

Tocca al riformismo vero, al pensiero forte rispondere: mi riferisco a quel riformismo che non alberga, purtroppo, né negli assessorati né nei ministeri, ma nel mondo della sanità e dei servizi, nelle esperienze dei cittadini organizzati, nei progetti e nelle strategie di medici e infermieri, nella cocciutaggine di chi in questi anni ha cercato le strade per conciliare i diritti con i limiti economici.

 Occorre una “riforma pubblica” che organizzi questo immenso patrimonio. Al ricatto “più tasse o meno servizi” dobbiamo rispondere con il cambiamento intelligente che alleggerisca il sistema, che lo ripensi profondamente, che lo moralizzi dalle tante forme di corruzione e di speculazione, che riduca il numero delle malattie e dei malati, insomma che lo faccia costare strutturalmente di meno e funzionare meglio.

Far morire la sanità pubblica è un crimine contro gli italiani, perché non conviene a nessuno, neanche ai più ricchi.

Niente ci obbliga a farlo: tutti, ma proprio tutti i problemi oggettivi della sanità sono risolvibili.

 Si tratta solo di svecchiare, rinnovare, reinventare, riformare… ri - formare… e ancora riformare. *Docente all'Università Tor Vergata di Roma, esperto di politiche sanitarie

Mario Monti ne spara una al giorno

Dopo 12 mesi di governo Monti, il signor Mario si rivela per quello che è: imbecille.

E su tutta la linea. Ne avesse azzeccata una a livello politico.
Ne avesse azzeccata mezza a livello sociale.
Ne avesse azzeccata un terzo a livello umano.

Già, è proprio l'umanità di cui codesto sobrio bocconiano (ormai essere bocconiani equivale ad un insulto) difetta.

La sua arroganza e protervia lo caratterizza. La sua personalià è imbevuta di superfluo e dannoso narcisismo. La sua incapacità sociale è pari solo alla voglia di ricorrere sempre e comunque a Napolitano, come alle gonne della mamma (ammesso che le donne ancora ne indossino di gonne).

Non riesce il Mario a confrontarsi pari a pari con i suoi simili, non riesce a capire la realtà, non riesce a vedere oltre il suo naso.

Il Mario è messo così male che ormai se volesse partecipare alle prossime elezioni politiche associandosi a qualche nefasta e fessa lista di centro, avrebbe sicuramente solo un voto: il suo. Manco la moglie lo voterebbe.

E siccome il Mario sa che il suo tempo è scaduto (peggio di un latticino andato a male) allora ogni giorno ha deciso di ammorbare i poveri italiani con sconcezze intellettuali di ogni genere: dalla scuola alla sanità.

Inoltre, il Mario dovrebbe capire che gli ordini del Bilderberg club sono indigeribili e dovrebbe annussare l'aria di fine del capitalismo turbo liberale. Ma nulla, è imbecille il Mario!

Passerà alla storia come colui a cui gli italiani hanno dovuto pagare la pigione (IMU) nonostante avessero comprato casa e avessero acceso i mutui, e passerà alla storia come colui che figlio del Vaticano, manco per nulla fa pagare alla madre Chiesa (stato straniero in suolo italiano) il giusto e il dovuto.
Ma che bella reputazione signor Mario!

Il welfare ferito al cuore di Chiara Saraceno


IL WELFARE FERITO AL CUORE di Chiara Saraceno.

NON si sentiva proprio il bisogno di questa ultima esternazione di Monti che adombra la possibilità che il sistema sanitario nazionale possa venir smantellato, o ridotto, a favore di un allargamento dello spazio per le assicurazioni private. 
Maliziosamente, qualcuno potrebbe pensare che, dopo aver colpito la sanità (come la scuola) in modo indiscriminato e a colpi d’accetta, rendendone sempre più difficile il funzionamento, ritenga che essa sia ormai così squalificata agli occhi dei cittadini da potersi permettere di prevederne la messa in liquidazione. 
Che la sanità italiana sia in affanno è sotto gli occhi di tutti, ma le cause di questo affanno sono molto meno chiare e univoche di quanto vogliano far credere le parole di Monti. E tra queste cause c’è anche il modo un po’ sconsiderato con cui si sta procedendo a contenerne i costi. 
Che siano state parole da tecnico così super partes e così preso dalla propria tecnicità da non curarsi dell’effetto delle proprie parole, o da politico che sta mettendo a punto la propria prossima agenda, le parole di Monti sembrano voler forzare ulteriormente il senso di allarme sociale in un momento in cui le tensioni sono già forti. 
Rivelano anche una singolare cecità, o insensibilità, rispetto alla situazione economica delle famiglie italiane. 
Queste per una buona parte non possono certamente permettersi la spesa aggiuntiva di una assicurazione sanitaria. Lo ha certificato oggi, quasi nelle stesse ore dell’esternazione di Monti, la Banca d’Italia, segnalando come il reddito disponibile delle famiglie sia diminuito di nuovo, per la quinta volta. 
Minacciare di togliere la sanità pubblica in questi frangenti significa colpire proprio chi sta già facendo fatica a tirare avanti. 
Chi può permetterselo ha già una assicurazione, anche se per le cose importanti usa il servizio pubblico, perché più affidabile e di migliore qualità media. L’istituzione del servizio sanitario nazionale nel 1977 è stata una importante conquista di civiltà nel nostro Paese. Come ha fatto la scuola pubblica per l’istruzione, ha garantito a tutti coloro che vivono in questo paese il diritto alle cure quando ammalati. Venivamo da un sistema mutualistico che non solo offriva prestazioni differenziate a seconda della mutua di appartenenza, ma non copriva neppure tutti i cittadini. Se il nostro sistema di welfare, così inadeguato già prima della crisi, non si esaurisce nelle pensioni, è perché c’è anche una sanità pubblica di tipo universalistico.
 Nonostante i periodici episodi di malasanità ed anche di corruzione, è un sistema che ha fatto bene il proprio dovere, come riconosciuto anche dall’organizzazione mondiale della salute che anni fa aveva collocato il sistema sanitario italiano tra i primi al mondo per efficienza ed efficacia. 
Non è perfetto, come testimoniano gli episodi, appunto, di malasanità e corruzione, le disuguaglianze territoriali nei livelli di prestazione, gli scarti spesso intollerabili tra qualità dell’intervento medico e qualità del contesto ambientale. È stato il primo settore in cui si sono verificate con mano tutte le potenzialità, ma anche i rischi e gli effetti perversi, della regionalizzazione. Ci sono certamente molte cose da riformare, per aumentare l’efficienza, eliminare gli sprechi, impedire che la sanità diventi l’ambito dell’arricchimento privato ai danni del pubblico.
 C’è un enorme spazio di efficienza da recuperare ed anche di rigidità inutili e dannose da rompere.
 Il settore della non autosufficienza è un caso esemplare, ove sanità e assistenza non si parlano e piuttosto scaricano l’una sull’altra le responsabilità, per contenere i costi.
 Con il risultato che sono le famiglie a dover compensare le inefficienze quando non le totali mancanze. Nelle proposte di riforma della sanità che circolano ci sono cose interessanti anche dal punto di vista del contenimento dei costi. 
Varrebbe la pena di discuterne in modo più allargato. Si può anche discutere che cosa (non chi) può rimanere nella sanità pubblica e che cosa no. Ma se intanto si procede per tagli lineari senza criterio e con un’opera di sistematica delegittimazione, analogamente a quanto si è fatto e si fa per la scuola, poi restano solo le macerie, su cui fioriscono i rancori e si allargano le disuguaglianze.
Da La Repubblica del 28/11/2012.

IL BLUFF SULL’IMU ALLA CHIESA (Gianluigi Pellegrino).

MENTRE Mario Monti ribadisce la religione del rigore, il suo esecutivo cerca di confezionare un regalo miliardario per gli enti ecclesiastici.
  Un buco finanziario, ma soprattutto una voragine di ingiustizia e disuguaglianza. 
E il rischio di una figuraccia in Europa.
E prima ancora in Italia visto che gli atti dicono l’esatto opposto del comunicato di Palazzo Chigi.
Ma andiamo con ordine.
Era stato il governo Berlusconi a scatenare la reazione della Commissione Europea, concependo una circolare del gennaio 2009. In questa si determinavano mille escamotage per garantire le gerarchie ecclesiastiche che poco o nulla sarebbe stato pagato. Arrivò Monti e solenne fu l’impegno: niente sconti, né privilegi.
E così per evitare la sanzione europea il Parlamento approvò una disciplina chiara quanto banale. 
La Chiesa avrebbe pagato per tutti gli immobili in cui svolge attività commerciale, come definita nel nostro ordinamento in conformità alle direttive europee. 
Ma il diavolo è nei dettagli.
Il governo si riserva di emettere un regolamento, apparentemente relativo alla disciplina di ipotesi marginali e residuali. E però con questa scusa ritorna sulla decisione del Parlamento per introdurre criteri grazie ai quali l’esenzione Imu per la Chiesa anche dove svolge attività commerciali diventerebbe amplissima: un rosario di eccezioni idonee quasi ad azzerare quello che il Parlamento aveva dovuto approvare per evitare la sanzione europea.
Fortunatamente i primi di ottobre il Consiglio di Stato investito dall’obbligatoria richiesta di parere ha bocciato in tronco il colpo di mano governativo, ammonendo l’esecutivo sulla procedura di infrazione europea e sui limiti delle delega che aveva ricevuto.

Per tutta risposta l’esecutivo anziché fare ammenda dello scivolone, si costruisce una legge ad hoc con un codicillo inserito nel Decreto Legge sugli enti locali. E torna a confezionare un regolamento che se venisse definitivamente approvato consentirebbe alla Chiesa rilevantissime esenzioni per la gran parte della sua attività commerciale: alberghi, sanità e scuole.

Il tentativo è sempre il medesimo di Tremonti; introdurre criteri di definizione dell’attività non commerciale diversi e ben più ampi di quelli dettati dall’ordinamento comunitario e nazionale; per farli valere soltanto per la Chiesa e per gli altri enti non profit, che invece ai fini della tassa immobiliare quando svolgono attività commerciale devono essere ovviamente trattati come chiunque altro; in difetto si avrebbe un clamoroso aiuto di stato a danno delle pubbliche casse e della corretta concorrenza.

Basti pensare che per le attività sanitarie il regolamento predisposto dall’attuale Governo proprio con le stesse parole utilizzate nella circolare Tremonti afferma che l’esenzione scatterebbe per il solo fatto della presenza di un accreditatamento con il servizio sanitario; il che però è semplicemente un modo per essere pagati dal pubblico anziché dal privato e certo non esclude ma anzi conferma la natura commerciale dell’attività. O ancora per le scuole si prevede l’esenzione se solo i costi di gestione non risultino “interamente” coperti dalle rette. Basta quindi che non lo siano per lo 0,1 per cento per far passare in cavalleria l’intera imposta; anche qui con sostanziale ripetizione di quel che aveva scritto Berlusconi.

Misure e balletti che la commissione europea ha già contestato come abusivo aiuto di stato in danno di conti pubblici, aziende e cittadini e che ora invece proprio il governo del rigore vuole riproporre in spregio agli impegni solenni di Monti e alla stessa legge approvata dal Parlamento.

Per fortuna la questione è di nuovo tornata in Consiglio di Stato che almeno su questi aspetti eclatanti non potrà non rilevare il contrasto con principi elementari che lo stesso atto del governo declama nelle sue premesse, salvo tradirli nello specifico dei criteri relativi ai campi principali dove si gioca la partita Chiesa-Imu (sanità, scuole, attività ricettiva).

I giudici pur nei limiti della loro funzione che in questo caso è solo consultiva non potranno che evidenziare la necessità che quei criteri per essere ammissibili dovranno necessariamente essere ricondotti ai parametri comunitari di definizione dell’attività commerciale da chiunque effettuata.

Solo attività veramente gratuita può essere esclusa. Altrimenti la sanzione europea sarebbe alle porte e sicuramente spietata come la relativa figuraccia internazionale e l’inaccettabile ingiustizia verso il resto del Paese, cittadini cattolici compresi.

Per non dire che le Camere con un rigurgito di dignità (ma c’è poco da sperarci) dovrebbero negare la conversione in legge di quel colpo di mano con cui il governo con un codicillo al Decreto Legge sugli enti locali si è arrogato il potere di rimettere in discussione ciò che era stato finalmente deciso.

Nel comunicato di ieri di Palazzo Chigi c’è insomma, spiace dirlo, tanto bluff nel metodo e nel merito. 

Nel metodo perché è stato proprio un blitz quello con cui l’esecutivo si è auto ampliato la delega per poter rimettere in discussione ciò che il Parlamento aveva finalmente deciso.

Nel merito perché basta leggere lo schema di regolamento che l’esecutivo ha confezionato per verificare che nei tre settori fondamentali la volontà del governo è proprio quella di ampliare a dismisura l’ambito di esenzione Imu in favore della Chiesa. 
Il documento è lì, basta leggerlo.
É un fatto e contro i fatti è inutile polemizzare. 

 Da La Repubblica del 13/11/2012

La strada da seguire per creare più lavoro di Luciano Gallino


LA STRADA DA SEGUIRE PER CREARE PIÙ LAVORO (Luciano Gallino).

MENTRE le cifre della disoccupazione sono sempre più drammatiche, il governo non pare avere alcuna idea per creare d’urgenza un congruo numero di posti di lavoro. I rimedi proposti alla spicciolata, dalla riduzione del cuneo fiscale alle facilitazioni per creare nuove imprese, dagli sgravi di imposta per chi assume giovani alla semplificazione delle procedure per l’avvio di cantieri e grandi opere, non sfiorano nemmeno il problema. Per di più il governo sembra sottovalutare la gravità della situazione.
 La disoccupazione di massa rappresenta tutt’insieme un’enorme perdita economica, uno scandalo intollerabile dal punto di vista umano, e un minaccioso rischio politico. 
Sotto il profilo economico, quasi tre milioni di disoccupati comportano una riduzione del Pil potenziale dell’ordine di 70-80 miliardi l’anno.
 Anche se ricevono un modesto reddito dal sussidio di disoccupazione o dai piani di mobilità, i disoccupati sono lavoratori costretti loro malgrado alla passività. Non producono ricchezza sia perché non lavorano, sia perché i mezzi di produzione, cioè gli impianti e le macchine che potrebbero usare, giacciono inutilizzati. 
Un’altra perdita economica deriva dal fatto che lunghi periodi di disoccupazione comportano che le capacità professionali si logorano e sono difficili da recuperare.
 Dal punto di vista umano la disoccupazione di massa, insieme con la povertà che diffonde, è uno scandalo perché i loro effetti, come ha scritto Amartya Sen, scardinano e sovvertono la vita personale e sociale.
 Elementi fondamentali di questa, dall’indipendenza personale alla possibilità di accedere per sé e i figli a una vita migliore, dalla realizzazione di sé alla sicurezza socio-economica della famiglia, sono strettamente legati alla disponibilità di un lavoro stabile, dignitosamente retribuito. 
Quando esso viene a mancare, anche tali elementi crollano, e la persona, la famiglia, la comunità sono ferite nel profondo delle loro strutture portanti. 
Quanto al rischio politico, qualcuno dovrebbe ricordarsi che uno dei fattori alla base dell’ascesa del fascismo e ancor più del nazismo è stata la disoccupazione di massa. 
E la capacità di ridurla mostrata da tali regimi dopo la crisi del ’29 è una delle ragioni del sostegno popolare di cui hanno goduto fino alla guerra che li ha abbattuti.
 Di certo oggi né l’uno né l’altro dei due regimi avrebbero la stessa faccia. Ma i sintomi di autoritarismo che affiorano in Europa, e i movimenti di estrema destra dagli alti tassi elettorali in almeno dieci Paesi, non sono da sottovalutare. 
Sperando che qualche movimento non cominci a promettere “ridurrò la disoccupazione a zero”. La promessa che fece e poi mantenne Hitler, fra il 1933 e il ’38.
 Poiché le austere ricette dei tecnici finora hanno aggravato il tasso di disoccupazione anziché ridurlo, sarebbe ora di pensare a qualcosa di più efficace, e magari sperimentarlo
Ho fatto riferimento altre volte all’idea che sia lo Stato a creare direttamente occupazione, in merito alla quale esistono solidi studi. Tempo fa si chiamavano schemi per un “datore di lavoro di ultima istanza”, ma oggi si preferisce chiamarli schemi di “garanzia di un posto di lavoro” (job guarantee, JG); il che non significa affatto una garanzia per quel posto di lavoro, ma per un posto di lavoro dignitoso e ragionevolmente retribuito. Coloro che elaborano simili schemi sono economisti e giuristi americani, australiani, canadesi, argentini, indiani; i quali, diversamente dai nostri governanti di oggi e di ieri, sembrano tutti aver meditato sull’articolo 4 della nostra Costituzione, quello per cui “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro”: non del lavoro, si noti, di cui tratta invece l’articolo 35. Il primo mai attuato, il secondo in via di estinzione nella legislazione e nelle relazioni industriali. Uno schema di JG prevede che in via di principio esso sia accessibile a chiunque, essendo disoccupato, vuole lavorare ed è in grado di farlo. 
Di fatto sarebbe inevitabile, visti i numeri in gioco, dare la preferenza a qualche strato di persone in peggiori condizioni di altre, quali, per dire, i disoccupati di lunga durata. 
L’attuazione di uno schema di JG richiede un’agenzia centrale che stabilisce le regole di assunzione e i livelli di retribuzione, e gran numero di imprese (o centri di servizio o cooperative) a livello locale che assumono, al caso addestrano e impiegano direttamente i lavoratori, oppure li assegnano a imprese locali in progetti di immediata e rilevante utilità collettiva. 
Dando la preferenza a settori ad alta intensità di lavoro e bassa intensità di capitale, dai beni culturali ai servizi alla persona, dal recupero di edifici e centri storici alla ristrutturazione di scuole e ospedali.
 I centri locali trattano con le imprese le condizioni a cui esse possono impiegare i lavoratori del programma, dalla partecipazione ai costi del lavoro fino all’eventuale passaggio del dipendente dal pubblico al privato. 
Trovare le risorse per finanziare simili schemi è una questione complicata, nondimeno vari studi attestano che non è impossibile risolverla. Prima però di trattare tale tema c’è una premessa inderogabile: deve manifestarsi la volontà politica di affrontare con nuovi mezzi la catastrofe disoccupazione. Chiedere a un governo neoliberale di esprimere una simile volontà è forse troppo, ma le crisi sono sia uno stimolo, sia una buona giustificazione per cambiare idee e politiche. 
C’è una novità a livello europeo che dovrebbe indurre a discutere di simili schemi, e magari a sperimentarne qualcuno in singole regioni. Ai primi di settembre 2012 si è svolta a Bruxelles una conferenza internazionale sulle politiche del lavoro, organizzata dalla Commissione europea. Una sessione era dedicata a “La garanzia di un posto di lavoro – Concetto e realizzazione”. Hanno perfino invitato a parlare uno degli studiosi più noti e polemici in tema di JG, l’australiano Bill Mitchell. Posto che nei programmi di JG rivivono le teorie di Keynes in tema di politiche dell’occupazione, nonché la memoria del successo che gli interventi statali ebbero durante il New Deal rooseveltiano, aprire alla discussione di tali programmi uno dei templi della teologia neo-liberale, qual è la Commissione europea, è un segno che qualcosa sta cominciando a cambia-re sul fronte ideologico delle politiche del lavoro. 
Il documento base della sessione in parola formula varie domande: “Quali sono i maggiori ostacoli in Europa alla realizzazione di schemi di garanzia d’un posto di lavoro… volti ad affrontare la crisi della disoccupazione? Possono tali ostacoli venire superati? In quali aree potrebbero o dovrebbero essere sviluppati degli impieghi pubblici per disoccupati? Quanto tempo ci vorrebbe prima che a un disoccupato sia dato un lavoro nel settore pubblico?”. Sono domande a cui anche il nostro governo dovrebbe cercare di dare risposta, meglio se non soltanto in forma cartacea. Dopotutto, ce lo chiede l’Europa.
Da La Repubblica del 03/11/2012.
E Stilinga chiede a Mario Monti e al suo Governo:" Che c***o state facendo? e che c***o aspettate a rilanciare l'occupazione italiana?"

Se Monti dicesse: “Trovate quei soldi, cazzo” - Antonio Padellaro - Il Fatto Quotidiano

Se Monti dicesse: “Trovate quei soldi, cazzo” - Antonio Padellaro - Il Fatto Quotidiano




Gentile professor Monti, penso che a questa lettera non risponderà mai o forse neppure la leggerà. Non certo per mancanza di garbo. Lei è persona assai cortese e da quando gli italiani la frequentano non le hanno mai sentito pronunciare una parola men che levigata, anzi vien da pensare che la sera, prima del sonno del giusto, lei rifaccia la piega a sostantivi e avverbi con il ferro da stiro e una spruzzatina di amido. Siete tutti forbiti e irreprensibili, voi tecnici di governo.
Sere fa la tv mostrava una giornalista di “Servizio Pubblico” nel vano inseguimento di un ministro, credo fosse Profumo, per chiedergli qualcosa a proposito dei sacrifici richiesti sempre agli stessi mentre in troppi se la spassano. Domande che forse Sua Eccellenza neppure poteva percepire, immerso come sembrava in una felice condizione spirituale, del resto consona al suo cognome. E quel sorriso stampato che portava in processione, con al seguito trafelate salmerie di segretari e addetti, era già una risposta: io sono io e voi non siete niente.
Ho preferito, presidente Monti, evitare la celebre espressione del marchese Onofrio del Grillo a lei certamente nota, per uniformarmi allo stile della casa, anche se, le confesso, mi sento ribollire il sangue come, credo, tanti miei concittadini. Infatti, se sopravvive, come dicono, una certa fiduciaverso la sua persona (e a ciò concorre il ricordo ancora vivido del suo predecessore), la crescente iniquità delle misure adottate dal suo governo è ogni giorno di più intollerabile.
 C’è un limite tuttavia che non dovrebbe mai essere superato ed è il rispetto per la sofferenza degli altri, quando questa sofferenza è oltre ogni limite. Negare trecento milioni ai malati di Sla e alle loro infelici famiglie è un atto scellerato. 
Trecento milioni sono una goccia nel mare della finanza pubblica, un piccolo osso da sottrarre alle fauci della casta, la metà del tesoretto che a Montecitorio non sanno come sperperare.
E non veniteci a parlare di risorse da reperire a saldi invariati o di compatibilità di bilancio, perché di fronte alla tragedia di quelle persone è più onesto mostrare la faccia di un governo “maledetto” (lo ha detto lei) piuttosto che rifugiarsi in vomitevoli scuse. 
Se mi leggesse, gentile professore, le chiederei: è troppo sperare di vivere in un paese civile dove un premier possa sobriamente chiedere al signor ministro dell’Economia: “Trovate subito quei soldi, cazzo!”?
Il Fatto Quotidiano, 4 Novembre 2012
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Nicole Minetti sfila per Parah!


Stilinga è costernata: Nicole Minetti ha sfilato per il marchio Parah. Senza parole!
Che qualche barlume di buon senso scenda su questo stivale!

Sembra che la scia delle feste dei rampolli del PDL laziale sia risalita verso le sfilate milanesi, prego dare un'occhiata:

http://d.repubblica.it/rubriche/people-gossip/2012/09/23/foto/milano_moda_il_giorno_della_minetti-1273267/1/?ref=HRESS-1

Personalmente, Stilinga non comprerà mai un costume Parah!

L'economia cinese rallenta, finalmente!!!

 La Cina Rallenta e l’Europa si Blocca

Il rallentamento dell’economia cinese crea problemi maggiori di quelli creati dalla Grecia, soprattutto alla Germania le cui esportazioni sono fortemente dipendenti dall’andamento dell’economia orientale


20/09/2012 di Angelo Marelli da

http://www.professionefinanza.com/scheda.php?id=6824#.UFtAQKPYwX4.email


I MERCATI FINANZIARI e gli investitori continuano a monitorare lo sviluppo della crisi Europea e soprattutto l’evolversi della situazione economica dei paesi cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) che rimangono al centro dell’attenzione e dei timori degli investitori.


LA LINEA DI AUSTERITY che continua a mantenere la Germania è in netto disaccordo con quello di cui necessiterebbero questi Paesi. Ora però neppure la Merkel dorme sonni tranquilli, soprattutto a seguito del pronunciato rallentamento economico del Celeste Impero ovvero la Cina che mette in crisi il terzo più grande paese esportatore al mondo, la Germania appunto.

LA FORTE DIMINUZIONE nella domanda dei macchinari, auto e altre componentistiche specializzate di alta qualità, vanto dell’industria tedesca, potrebbe mettere seriamente in difficoltà la locomotiva tedesca.

ANGELA MERKEL ha un piano ben preciso per tentare di ottenere la vittoria al prossimo turno elettorale, cioè quello di mirare a far crescere l’economia tedesca, piuttosto che puntare su un piano politico. La crescita del Paese è in calo e secondo stime Ocse potrebbe addirittura attraversare una lieve fase di recessione.

CON IL RALLENTAMENTO in corso e la crisi, che continuano a ridurre la domanda di beni e servizi dai vicini europei, è dunque fondamentale che la Cina continui ad acquistare, e sopperisca a questa minore domanda, a rischio di causare un brutto colpo per il sistema produttivo teutonico, attualmente in moto all’84% della capacità.

INTANTO NELL’EUROZONA la situazione spagnola continua a tenere i mercati con il fiato sospeso. Infatti ora Madrid dovrà decidere se richiedere il salvataggio e far scattare l'intervento della Bce con gli acquisti di debito spagnolo, solo dopo aver analizzato tutti i dettagli del piano di aiuti. Lo ha detto la vicepremier e portavoce del governo Rajoy, Soraya Saenz de Santamaria durante il question time in Parlamento, secondo quanto riferisce Bloomberg facendo riferimento al nodo delle condizioni imposte dall'Europa a Madrid per accedere al programma Bce.

E INFINE SECONDO il portavoce ha riferito che non ci sono "differenze" tra il punto di vista del presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker e il commissario Ue agli affari economici Olli Rehn sul tipo di condizionalità da imporre alla Spagna qualora richiedesse l'attivazione dello scudo anti-spread

La scorta della Fornero entra con la pistola al GP di Monza


Da http://www.repubblica.it/politica/2012/09/14/news/fornero_gp-42510251/


"Fateci entrare in pista, siamo con la Fornero"
e al Gp di Monza spunta anche una pistola

Lite tra la scorta e gli addetti alla sicurezza. Protesta ufficiale di Ecclestone. Il direttore del circuito: è stato umiliante. E adesso si pensa allo stop per i politici. Il ministro: "Sempre comportati in modo ineccepibile" di MARCO MENSURATI


ROMA - Il punto di non ritorno è una pistola che spunta dalla fondina della guardia del corpo del ministro Elsa Fornero per intimorire l'addetto alla sicurezza dell'autodromo di Monza e permettere al codazzo al seguito dei politici di accedere alla griglia di partenza. "Quando ieri dall'Inghilterra mi hanno chiamato gli uomini di Bernie Ecclestone per lamentarsi dell'accaduto, ho provato un senso profondo di umiliazione", si sfoga il direttore del circuito, Enrico Ferrari. 

Che poi annuncia: "Non possiamo andare avanti così, ogni anno è sempre peggio. Ma la pistola è troppo. Per il futuro saremo costretti ad adottare il numero chiuso per i politici in griglia".

L'ultima vergogna del made in Italy va in scena domenica scorsa, pochi minuti prima dell'inizio del Gp. Quando gli ospiti della Fia (Federazione internazionale dell'automobilismo) si intruppano verso la griglia di partenza per la passeggiata di rito tra macchine pronte a scattare, meccanici intenti agli ultimi ritocchi, ragazze ombrello, fotografi e giornalisti di settore. Un momento topico, per il circus: molto glamour, sì, ma anche molta adrenalina e soprattutto nervi tesi. Per questo tutto deve funzionare alla perfezione, in quegli istanti. Per questo i pass per entrare sono pochissimi. Per dire: il governatore del Texas (il terzo uomo più potente d'America) non ha potuto portare con sé i due addetti alla sua sicurezza (si erano messi d'accordo il giorno prima con la security della pista per seguire a distanza 
il loro uomo). 

Lo stesso avrebbe dovuto accadere per gli accompagnatori (un gruppone che i testimoni quantificano in dieci-quindici persone) del ministro Elsa Fornero e del sottosegretario Staffan De Mistura. E invece no. 

Invece le cose sono andate molto diversamente. Stando a quanto contestato al direttore del circuito, due signori (descritti come addetti alla sicurezza) hanno provato a forzare il blocco con parole pesanti e spintoni. E di fronte alla gentile ma ferma opposizione degli uomini di Ecclestone, hanno mostrato la pistola, ottenendo così, immediatamente il via libera, del quale ha approfittato, lesto, l'intero gruppone. "Né la Fornero né De Mistura si sarebbero accorti di nulla - raccontano i testimoni alla scena - perché erano già avanti". 

"È stata la cosa più imbarazzante della mia vita" racconta un addetto del circuito trovando perfetta sintonia con le parole d'ira pronunciate ieri da Enrico Ferrari. "Ogni anno è sempre peggio. Nel 2010 sono stato minacciato io stesso, per un motivo identico. Sono scene da paese incivile. La Formula 1 fa il giro del mondo, e queste cose capitano solo in Italia".

La responsabilità di quanto accaduto, spiega Ferrari, è del circuito. "Perché il contratto è con noi. Ma io che ci posso fare se sono le forze dell'ordine le prime a non seguire le regole? Mi sono stufato di sentire le lamentele degli organizzatori e della Federazione". Successe lo stesso l'anno scorso, racconta Ferrari. "Identico. E ci fu pure un fuori programma. Per un "capriccetto" stavamo per fare una figura incredibile con il mondo intero. Il governo aveva incaricato il ministro Crimi di premiare il primo arrivato con la targa del "150° della Repubblica". Quando il ministro Romani ha saputo che avrebbe dovuto consegnare il secondo premio e non il primo, si è rifiutato di andare sul podio. E per poco non saltava la premiazione". 

Il fenomeno da debellare resta comunque quello dei "vip abusivi" in griglia: "Non ne posso più di tutta questa arroganza. Dal prossimo gran premio chiederò di limitare il numero di pass. È l'unica possibilità per evitarci questa umiliazione annuale". Dall'Inghilterra non infieriscono: "Sono episodi spiacevoli. Non vogliamo commentare pubblicamente", dicono gli uomini di Ecclestone con quella britannica eleganza che in certi casi suona come un insulto. 

Da parte sua, il ministro Fornero difende gli uomini della sua scorta, che a sui giudizio si sono sempre comportati in sua presenza in modo "ineccepibile". "Avevo accettato con piacere l'invito dell'Automobile Club d'Italia ad assistere al Gran Premio di Formula 1 nell'autodromo di Monza, per partecipare a una manifestazione che rappresenta un punto di eccellenza del nostro Paese. Le poche ore trascorse in un clima di entusiasmo alimentato dalla passione delle migliaia di tifosi presenti rischiano di essere rovinate da un episodio spiacevole. Un episodio riguardo al quale non posso far altro che esprimere il mio profondo rammarico, sebbene non sia stata né testimone né parte, come correttamente evidenziato dal cronista" dice il ministro in un comunicato. "Posso solo dire - aggiunge - che i militari che si occupano della sicurezza del Ministro del Lavoro non hanno mai tenuto, in mia presenza, comportamenti meno che ineccepibili e per parte mia ho sempre chiesto loro la massima correttezza e discrezione".
(14 settembre 2012)

Sacconi alla Fornero: fai qualcosa per i maestri di sci?



Non ci si crede! Sacconi si fa raccomandare in quanto il ddl Fornero forse colpisce la sua categoria di istruttore di sci!
Ed il resto dei comuni mortali che non ha occasione di incontrare la debilitata signora Fornero che poverina ha fatto poche vacanze??
Come dobbiamo fare noi italiani che non vogliamo subire il DDL Fornero? forse si deve divenire maestri di sci? e poi che gentaglia si aggira nella politica italiana? tutte personcine reclutate sui campi innevati?

Signora Fornero e signor Sacconi ma andate a vaff... in Cina! magari se vi esportiamo come ministri forse riuscite pure a farvi eleggere dai cinesi! altro giro altro parlamento! Insomma sparite dalla nostra vista!

Fuga dalla gestione separata

Fuga dalla gestione separata


Partecipa al primo seminario Acta per sapere
come uscire dalla gestione più onerosa di tutte.

A Milano il 2 ottobre o in streaming sul tuo pc: iscriviti subito.
Il 2 ottobre dalle ore 14 alle ore 18 a Milano in Via Santa Marta 18 ci sarà il primo seminario Acta “Fuga dalla gestione separata”.
Tutti noi vorremmo scappare dalla gestione pensionistica più iniqua della storia italiana.
Per alcune tipologie professionali è impossibile, in altre è possibile e può essere opportuno.
Nel seminario dapprima sarà spiegata la modalità di calcolo dei contributi e saranno fornite informazioni sui più recenti cambiamenti e prospettive relativamente alla gestione separata (aliquote, totalizzazione).
Il cuore del seminario sarà l’analisi delle opzioni alternative, con riferimento a Gestione Commercianti, Gestione Artigiana e Diritto d’autore, con alcuni cenni alla costituzione di una società.
Per ogni opzione saranno spiegate le condizioni professionali che le rendono coerenti/compatibili e saranno confrontati costi e benefici, rischi e vantaggi.
Docenti del seminario i commercialisti Alberto Acciaro Giuseppe Bonavia.
Il seminario è aperto a tutti: il contributo richiesto a copertura delle spese è di 30 euro per i soci e di 60 euro per i non soci. Se si volesse seguire il seminario via streaming il contributo è di 20 euro per i soci e 40 per i non soci.
Il versamento va fatto entro il 24 settembre 2012 per la partecipazione personale al seminario (sono disponibili 20 posti), entro il 30 settembre per la partecipazione via streaming.
Per iscriversi inviate una mail a amministrazione@actainrete.it, riceverete una mail di risposta che vi confermerà l’iscrizione e fornirà dettagli per il pagamento.
Se ci sarà richiesta adeguata, il seminario sarà replicato a Roma, Bologna e Venezia, oltre che a Milano

La previdenza è troppo onerosa per i senza albo

La previdenza è troppo onerosa per i senza Albo


“Ogni anno paghiamo quasi due miliardi di euro di contributi previdenziali all’Inps, molto di più di altri nostri colleghi professionisti. Il carico contributivo dei professionisti che non sono iscritti ad un Albo costituisce un tratto distintivo particolarmente oneroso che rischia di mettere fuori mercato moltissimi consulenti in un periodo caratterizzato da una gravissima crisi economica”.
La denuncia è dell’Ancot, associazione nazionale dei consulenti tributari, presieduta da Arvedo Marinelli. Sono tantissimi i professionisti italiani che non hanno un albo di riferimento e quindi devono ottemperare al pagamento dei contributi previdenziali alla Gestione Separata Inps. L’Ancot ha preso in esame i dati diffusi Coordinamento Generale Statistico Attuariale dell’Inps, relativo ai versamenti effettuati nel corso del 2010.
Dall’analisi emerge che in Italia sono 263.572 professionisti che versano i propri contributi alla Gestione Separata dell’Inps per un ammontare pari a 1.188.825.249. Stilando una graduatoria sulla base dei versamenti effettuati nelle diverse regioni emerge che al primo posto si colloca la Lombardia con 360.609.741 mentre la Campania arriva a 34.109.306.“In una fase caratterizzata da una gravissima crisi economica – dice il presidente nazionale dell’Ancot Arvedo Marinelli – appare sempre più difficile per tanti professionisti operare dovendo sostenere oneri contributivi così elevati”.
Proprio per analizzare l’attuale situazione dei professionisti che non hanno una propria cassa di riferimento il 19 Ottobre l’Ancot organizza una tavola rotonda dal titolo: “La Previdenza dei lavoratori autonomi nella Gestione Separata dell’Inps”.
I lavori saranno aperti dall’intervento del sindaco di Roma Gianni Alemanno e seguiranno le relazioni di Giuliano Cazzola (Pdl) – vice presidente della XI Commissione lavoro Camera; Tiziano Treu (Pd) – Vice Presidente XI Commissione lavoro Senato, giuslavorista ed ex Ministro del lavoro; Amedeo Ciccanti (parlamentare Udc): Francesca Perugini funzionaria Inps; Michele De Lucia, tesoriere dei Radicali Italiani e la vice presidente del Senato Emma Bonino. “In quella sede – conclude il presidente Ancot Arvedo Marinelli – saranno affrontati i problemi di fondo della nostra previdenza dei lavoratori autonomi dopo le recenti modifiche legislative che hanno introdotto nuove opportunità quali la totalizzazione, ma che hanno appesantito ulteriormente le aliquote contributive dal 27 per cento al 33 per cento.

Al Governo chiederemo una previdenza maggiormente equa perché è del tutto inaccettabile una situazione che vede professionisti che pagano il 33 per cento all’Inps, mentre altri versano alle loro Casse di Previdenza circa un 12 -15 per cento”.

I versamenti regionali
Lombardia 360.609.741
Lazio 142.750.353
Emilia Romagna 125.437.998
Veneto 109.557.385
Piemonte 93.384.295
Toscana 83.134.812
Liguria 37.795.670
Campania 34.109.306
Puglia 28.797.106
Friuli Venezia Giulia 28.487.784
Marche 27.324.528
Trentino Alto Adige 25.650.855
Sicilia 24.090.362
Sardegna 17.546.183
Umbria 16.426.670
Abruzzo 14.784.828
Calabria 7.023.407
Basilicata 4.661.390
Valle d’Aosta 4.520.373
Molise 2.732.205.
in Italia sono 263.572 i professionisti che versano contributi alla Gestione Separata dell’Inps

Monti: “Il governo ha aggravato la crisi per favorire una crescita duratura” - Il Fatto Quotidiano

Monti: “Il governo ha aggravato la crisi per favorire una crescita duratura” - Il Fatto Quotidiano

Un estratto del discorso del signor Monti all'inaugurazione della fiera tessile Milano Unica ha dell'incredibile e dell'increscioso per non dire scandaloso ed osceno:
(...) Monti ha detto che “casta siamo tutti noi cittadini italiani che ci siamo abituati a dare prevalenza al ‘particulare’ sul generale e poi ci lamentiamo se il generale funziona male”.

E Stilinga pensa che dire che la casta siamo tutti noi cittadini significa non aver capito nulla dell'Italia a livello storico, politico ed economico. 

La casta è lei Signor Monti e non generalizzi per sentirsi meno colpevole di far parte di una vera aristocrazia lontanissima dal popolo e dalla realtà che si vive oggi, come ieri, in Italia se non si è figli di..., sorelle di..., cugini di..., fratelli di..., amanti di...

Le dico che siamo stufi di un tecnico/teorico inconcludente come lei e siamo pure infastiditi al massimo dal suo governo!

Lei non è stato eletto, ma è stato calato dall'alto. 

Lei prima di questo incarico non viveva davvero in Italia e tanto meno pare che abbia mai girato in lungo e largo per il Paese se non per divertimento.

Ieri Signor Monti ha dichiarato di aver aggravato le condizioni economiche dello stivale, ma dica anche, e lo faccia chiaramente (e non chiedendo idee per aumentare la produttività ai sindacati con cui neanche voleva dialogare fino a ieri), dica che NON HA IDEA DI COME SI FA A CREARE RICCHEZZA!

Ormai è palese che non ha idea di come fare un piano industriale minimo e che non sa o forse non vuole, risolvere i veri problemi che affliggono i milioni di italiani che non fanno parte della casta: disoccupazione a tutte le età, costo della vita sempre più caro,  mancanze di prospettive per il presente e per il futuro.

Stilinga ha il fondato sospetto che lei sia stato mandato dall'alto e forse anche dalle sfere vaticane per massacrare quanto resta del povero Stato italiano dopo 150 anni, compiendo il disegno eversivo cattolico di ritorno al Papa Re.

Signor Monti se si sente un po' italiano ce lo dimostri!