Berlusconi:"Perchè dovremmo pagare uno scienziato quando facciamo le migliori scarpe al mondo?"

Da Il Fatto Quotidiano:

"La domanda completa, che sembra sia stata posta dal nostro presidente del Consiglio, è piuttosto una domanda retorica oltre che spaventosamente primitiva: perché dovremmo pagare uno scienziato quando facciamo le migliori scarpe del mondo? Per quanto questa domanda suoni insensata ed invero piuttosto gretta, pare che ci si debba fare i conti oggi in Italia in quanto sembra essere un pensiero comune di tanti. Infatti, è indubbio che vi sia un problema culturale in Italia, che porta a vedere la ricerca come un lusso inutile ed è proprio da questa sciagurata domanda che bisogna partire per un rinnovamento del sistema dell’università e della ricerca.
Per rispondere, potrei citare Feynman (uno dei più grandi fisici del 900) quando dice che “Tra molto tempo – per esempio tra diecimila anni – non c’è dubbio che la scoperta delle equazioni di Maxwell [ndr, che descrivono le onde elettromagnetiche] sarà giudicato l’evento più significativo del XIX secolo. La guerra civile americana apparirà insignificante e provinciale se paragonata a questo importante evento scientifico avvenuto nel medesimo decennio (Lectures on Physics, vol. II) ” .
Ma non c’è solo un motivo culturale, quello che bisogna ricordare è che la ricerca, quella fondamentale, ha anche un’importanza economica e sociale. Per rispondere a questa domanda vorrei dunque riportare alcuni brani di un articolo di Sheldon Glashow, Premio Nobel per la fisica 1979, presentato a Parigi alcuni anni fa (ringrazio il Prof. Guido Martinelli per avermelo dato, è tanto efficace quanto introvabile):
“Molti politici, ma anche molti rappresentanti dell’industria e del mondo accademico, sono convinti che la società dovrebbe investire esclusivamente in ricerche che abbiano buone probabilità di generare benefici diretti e specifici, nella forma di creazione di ricchezza e di miglioramenti della qualità della vita. In particolare essi ritengono che le ricerche nella Fisica delle Alte Energie e dell’Astrofisica siano lussi inutili e dispendiosi, che queste discipline consumino risorse piuttosto che promuovere crescita economica e benessere per l’uomo. Per esempio, fatemi citare una recente lettera all’Economist: ‘I fisici che lavorano nella ricerca fondamentale si sentirebbero vessati se dovessero indicare qualcosa d’utile che possa derivare dalle loro elaborazioni teoriche … E’ molto più importante incoraggiare i nostri ‘migliori cervelli’ a risolvere problemi reali e lasciare la teologia ai professionisti della religione’. Io credo invece che queste persone si sbaglino completamente, e che la politica che essi invocano è molto poco saggia e controproducente.
Se Faraday, Roentgen e Hertz si fossero concentrati sui ‘problemi reali’ dei loro tempi, non avremmo mai sviluppato i motori elettrici, i raggi X e la radio. E’ vero che i fisici che lavorano nella ricerca fondamentale si occupano di fenomeni ‘esotici’ che non sono in se stessi particolarmente utili. E’ anche vero che questo tipo di ricerca è costoso. Ciò nonostante, io sostengo che il loro lavoro continua ad avere un enorme impatto sulla nostra vita. In verità, la ricerca delle conoscenze fondamentali, guidata dalla curiosità umana, è altrettanto importante che la ricerca di soluzioni a specifici problemi pratici. Dieci esempi dovrebbero essere sufficienti per provare questo punto.”
In breve i dieci esempi sono: il world-wide-web sviluppato all’interno delle ricerche della fisica delle alte energie, i computer, la crittografia moderna (alla base delle transizioni finanziarie a distanza), i sistemi di posizionamento globale GPS, la terapia con i fasci di particelle (per curare ad esempio il tumore al seno, l’AIDS, ecc.), il medical imaging (risonanza magnetica nucleare, tomografia ad emissione di positroni, ecc.) la superconduttività (generazione, trasporto ed immagazzinamento di energia elettrica), i radioisotopi (di nuovo applicazioni nel campo della fisica medica, ma anche in archeologia, geologia, ecc.), le sorgenti di luce di sincrotrone (scienza dei materiali, scienze della terra, ecc.), le sorgenti di neutroni (scienze di base ed ingegneria).
Il Prof. Glashow conclude dunque che“Ho descritto come le discipline scientifiche fondamentali ed apparentemente inutili abbiano contribuito enormemente alla crescita economica ed al benessere dell’uomo. Molto tempo fa ci si mise in guardia che la pressione per ottenere risultati immediati avrebbe distrutto la ricerca pura, a meno di perseguire delle politiche consapevoli per evitare che questo accada. Questo avvertimento è ancora più pertinente al giorno d’oggi. Tuttavia il perseguimento della fisica delle particelle e dell’astrofisica non è motivato dalla loro potenziale importanza economica, non importa quanto grande questa possa essere. Noi studiamo queste discipline perché crediamo che sia nostro dovere capire quanto meglio possibile il mondo in cui siamo nati. La Scienza fornisce la possibilità di comprendere razionalmente il nostro ruolo nell’Universo e può rimpiazzare le superstizioni che tanti distruzioni hanno prodotto nel passato. In conclusione, dovremmo notare che il grande successo dello spirito di iniziativa degli scienziati di tutto il mondo dovrebbe servire da modello per una più ampia collaborazione internazionale. Speriamo che la scienza e gli scienziati ci conducano verso un secolo più giusto e meno violento di quello che lo ha preceduto. ”
A margine di queste considerazioni il Prof. Glashow mette in risalto altri due punti importanti:
“Ma ci sono molte altre ragioni per le quali i governi dovrebbero continuare a finanziare ricerche apparentemente inutili e non indirizzate a scopi pratici:
Qui adatto una considerazione di Sir Chris Llewellyn-Smith, ex-direttore del CERN . Se la ricerca guidata dalla curiosità scientifica è economicamente importante, perché dovrebbe essere finanziata da fondi pubblici piuttosto che privati? La ragione è che ci sono delle scienze che portano benefici di carattere generale, piuttosto che vantaggi specifici a prodotti individuali. L’eventuale ritorno economico di queste ricerche non può essere ascritto ad una singola impresa o imprenditore. Questa è la ragione per la quale la ricerca pura è finanziata dai governi senza tener conto dell’immediato interesse commerciale dei risultati. Il finanziamento governativo della ricerca di base, non indirizzata a finalità immediate, deve continuare se si vogliono ottenere ulteriori progressi.
I fisici delle particelle e coloro che si occupano di cosmologia spendono molti anni sviluppando competenze tecniche o metodi per risolvere problemi che possono (e spesso sono) reindirizzati verso scopi più pratici. Molte delle industrie della Silicon Valley e dell’area di Boston sono state create da fisici, informatici e ingegneri degli acceleratori di particelle che devono le loro capacità all’esperienza conseguita nei laboratori di fisica delle alte energie.”
Che poi la discussione in Italia, sia ridotta al livello di confrontare la scienza con la fabbricazione di scarpe dà un’idea dell’imbarbarimento di chi dovrebbe, in un modo o nell’altro, guidare il paese."

 http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/20/perche-dovremmo-pagare-uno-scienziato/72702/

ed ecco il commento di Stilinga alla domanda retorica del Premier Berlusconi:

"Caro Berlusconi,

in Italia FACEVAMO le più belle scarpe, siamo stati superati, ormai da un bel pezzo, strano, non se n’è accorto? anche da chi non le sapeva fare (Asia e Sud America) che però con grossi investimenti economici e di ricerca, hanno acquistato, e purtroppo tocca dirlo, dall’Italia, i macchinari tecnologicamente più avanzati e ora le scarpe più belle le fanno loro! Anche perchè assieme a questi macchinari, le aziende italiane hanno esportato fior di tecnici calzaturieri e ora gli addetti ai lavori nostrani non riescono a distinguere un paio di scarpe cinesi, brasiliane, etc. da quelle italiane!


E la ricerca nel nostro martoriato Paese serve e pure moltissimo, altrimenti quei distretti calzaturieri italiani che si sono svuotati e languono ma ancora provano a resistere nonostante tutto, come, Presidente Berlusconi, pensa che possano innovare? Non solo non capisce nulla di economia, ma non è immerso nella realtà!


Si svegli!"


Per approfondire sulla vendita di macchinari calzaturieri all'estero, da trendcalzaturiero:

"Più 65% l’export italiano di macchine utensili per calzaturifici


Vento di poppa per l’export nazionale di macchine utensili per la fabbricazione di calzature. Nel primo semestre 2010 il fatturato oltre confine ha fatto segnare una crescita del 65%, spingendosi a quota 41 milioni e mezzo di euro. Quasi quadruplicato il giro d’affari in India, che resta il primo sbocco commerciale, con crescita a tre cifre anche in Turchia e ottimi sviluppi in Tunisia e Romania.



Aumenti si segnalano inoltre in Spagna, Brasile e Messico, mentre è apparsa decisamente più modesta la performance sul mercato cinese dove il fatturato è cresciuto di soli 2 punti percentuali.

Export italiano di macchine e apprecchi per la fabbricazione di calzature


(euro - dati riferiti al I semestre)



                                 2009                                 2010                                                    Var. %

Mondo                  25.052.931                        41.477.954                                            65,6%

Ue-27                  8.375.906                           9.817.656                                             17,2%

Extra Ue             16.677.025                         31.660.298                                            89,8%

India                   2.522.190                            9.573.017                                            279,6%

Turchia               511.025                               2.270.159                                              344,2%

Tunisia                 1.561.450                          2.248.010                                                44,0%

Romania              1.381.520                           2.012.598                                               45,7%

Spagna                752.285                             1.940.990                                              158,0%

Brasile                1.008.734                          1.448.517                                                43,6%

Messico              362.478                            1.303.680                                               259,7%

Cina                 1.211.320                            1.237.727                                                2,2%

Albania           494.179                               1.127.375                                              128,1%

Francia           1.001.482                            1.087.286                                                 8,6%

Germania      1.380.013                             1.038.098                                              -24,8%

Venezuela      251.182                               983.230                                                 291,4%

Russia          606.758                                863.176                                                    42,3%

Hong Kong 1.691.302                              847.134                                                  -49,9%

Bangladesh 618.483                                828.882                                                    34,0%

Portogallo 1.236.966                              772.105                                                   -37,6%

Ceca, Repubblica 294.690                    650.558                                                    120,8%

Polonia    736.719                                  630.447                                                      -14,4%

Ucraina    94.047                                   588.314                                                      525,6%



Fonte: Elaborazioni Trend Calzaturiero su dati Istat


Per approfondire la crisi del settore calzaturiero, ecco un post interessante, da Trendcalzaturiero:

"Calzaturiero, freno tirato per produzione e fatturato nel 2009


Un calo della produzione, in termini fisici, valutato attorno al 16% rispetto al 2008. Associato a un ridimensionamento del fatturato, ai prezzi “ex fabrica”, del 15%, che incorpora un meno 11% sul mercato domestico e una flessione ancora più robusta, nell’ordine del 16,5%, oltre confine.

Sono le stime elaborate da Trend Calzaturiero sugli sviluppi congiunturali del 2009 riferiti al sistema calzaturiero italiano.
Un comparto tradizionalmente pro ciclico costituito in Italia da una solida realtà di matrice industriale e artigianale, che negli ultimi dodici mesi ha subito gli effetti del forte deterioramento del contesto macro di riferimento, manifestando comunque una migliore tenuta, in termini relativi, rispetto all’intero settore manifatturiero.
Le risultanze positive dei principali indicatori anticipatori emersi dalle indagini sul clima di fiducia non sembrano ancora concretizzarsi in una ripresa, se non graduale, dell’attività produttiva con il rischio di dilatare i tempi di recupero anche per il settore calzaturiero, in termini di potenziale riaggancio dei livelli pre crisi.
Le proiezioni per il 2010 - rileva Trend Calzaturiero - delineano il protrarsi della fragilità del quadro economico di riferimento, seppure in previsione di una ripresa dei livelli di produzione e soprattutto degli scambi internazionali. Sviluppi che, per il sistema calzaturiero, assumono una maggiore rilevanza, data la forte propensione all’export, avvalorando la tesi, più incoraggiante, di una migliore capacità di reazione alla crisi.
Le evidenze statistiche, ancora incomplete, portano a stimare in un meno 2,5% la flessione finale delle vendite retail dell’intero segmento dell’area pelle sul mercato domestico. Con una riduzione leggermente più accentuata in termini di volumi, a fronte di un aumento dei prezzi al consumo che nel caso delle calzature è quantificabile, nel 2009, nell’intorno dell’1%. Leggermente positiva anche la dinamica dei prezzi alla produzione industriale, con le previsioni di Trend Calzaturiero che attestano la crescita del 2009 in un frazionale più 0,7%. Sugli sviluppi dei consumi interni è prevedibile un proseguimento della stagnazione nel corso del 2010, considerando una probabile accentuazione dei risvolti negativi della crisi sul versante occupazionale.

Quanto all’export, in valore le vendite all’estero dovrebbero sperimentare un meno 16% abbondante, incorporando in aggiunta a un calo fisico delle spedizioni, una flessione dei prezzi oltre confine misurata attorno all’1%. Sul fronte delle importazioni è atteso un meno 1,5% in valore, con i prezzi delle scarpe importate, in prevalenza di marca cinese e vietnamita, rincarati mediamente del 12%, anche per effetto dei dazi antidumping, prorogati nella Ue per altri 15 mesi. In forte deterioramento i conti con l’estero del settore con il saldo, strutturalmente in attivo, che ha accumulato in tre trimestri una riduzione del 30%.

Nel 2009 le imprese del segmento pelli e calzature hanno aumentato di oltre tre volte il ricorso alla cassa integrazione guadagni, in termini di ore autorizzate dall’Inps. Più marcato in fenomeno nelle regioni del Sud, dove gli esiti congiunturali - conclude la nota - mostrano nella dimensione statistica degli sviluppi occupazionali elementi di maggiore criticità rispetto al resto d’Italia."

Ormai le ricerche di prodotto si fanno on line

E' da diverso tempo che Stilinga ha smesso di comprare riviste di moda, per alcunni motivi in fin dei conti, davvero molto semplici:

ancora nel suo studio, il pavimento è occupato da 2 o 3 colonne di riviste da selezionare, i ritagli delle riviste selezionate occupano almeno mezza libreria, spendere anche pochi euro per mammut di 500 pagine da dover poi per forza selezionare e soprattutto 500 pagine di pubblicità pura e cruda, pare piuttosto superfluo, oltre che impegnativo e soprattutto, e questo è il motivo principale, Stilinga da un bel pezzo le ricerche prodotto e marketing, le fa on line.

Non solo si occupa di tutto ciò con grande leggiadria ed efficacia, ma anche riesce ad avere delle dritte pazzesche in termini di idee nuove, per esempio nel mondo della calzatura se si volesse volare non alto ma altissimo, Stilinga consiglia caldamente il seguente sito omonimo di cotanta stilista:      
 http://www.anastasiaradevich.com/

mentre se si volesse approfondire il fetish, tradotto sulle scarpe che risulta molto più ardito di tanti altri casi, Stilinga direbbe:
 http://kobilevidesign.blogspot.com/
insomma si fanno delle scoperte davvero interessanti e soprattutto non si devono sfogliare a mano e poi smazzettare riviste che occupano spazio e pesano un bel po'!

La fine del Made in Italy 2

Il mercante nigeriano e le mie stoffe senza valore

di Edoardo Nesi


da la Repubblica — 08 ottobre 2010



Pochi mesi prima che vendessi l' azienda della mia famiglia, un pomeriggio si presentò in portineria il primo stocchista nigeriano della nostra storia. Gigantesco ed elegantissimo in una di quelle loro lunghe vesti colorate, sorrise e chiese in un perfetto italiano di vedere lo stock. Carmine, il nostro magazziniere letterario, gli mostrò subito il pianale delle pezze di Serengeti.
Quando il nigeriano disse che era molto interessato a comprarle tutte, Carmine venne di corsa a chiamarmi in sala campionario. Il Serengeti era un articolo finissimo di cotone per camiceria, che avevamo iniziato a produrre qualche anno prima per riempire i terrificanti, improvvisi vuoti di produzione lasciati in tessitura dal nostro tradizionale cardato di lana. Riuscimmo a venderlo a un grande stilista italiano, che ci dette dei suoi disegni esclusivi da riprodurre in fantasie elegantissime da realizzare in sfumature cipriate di azzurrie grigi che tingemmo in piccoli crogiuoli alchemici con un lavoro certosino.

Fu un bel momento quando vidi le camicie fatte col Serengeti in vendita a 400 dollari nelle vetrine della boutique di Madison Avenue di questo grande stilista, anche se dovetti impedirmi di ricordare che il tessuto glielo vendevamo a 14.000 lire al metro,e per fare una camicia ci vuole, suppergiù, un metro di tessuto.

Purtroppo, per accidenti vari, ogni anno qualche pezza di Serengeti ci rimaneva in magazzino e diventava assolutamente invendibile: il grande stilista non le voleva più perché ogni anno doveva cambiare disegno, gli altri clienti non le volevano perché era riconoscibile il disegno del grande stilista, e gli stocchisti italiani non si avvicinavano nemmeno alle pezze di cotone. Quando entrai in sala campionario e strinsi la mano al nigeriano, capii subito che era davvero interessato.

Gli raccontai che col Serengeti venivano cucite le camicie di uno degli stilisti più noti al mondo, e gli dissi anche il nome. Vantai la finezza del filato, la delicatezza dei colori, la rifinizione morbida eppure lucente, la ricchezza della mano del Serengeti. Poi, in un soffio, dal chimerico prezzo di listino di 14.000 lire calai a 3.000. Il nigeriano alzò lo sguardo dal tessuto e disse subito che per lui era troppo, però continuava a sembrarmi davvero interessato. Non è una sensazione facile da spiegare, ma dopo aver passato anni a fare trattative ogni giorno, te ne accorgi se uno vuole fare affari o solo farti perdere tempo. Gli chiesi quanto poteva pagare. Il nigeriano rispose 500 lire, il che era davvero pochissimo, nulla. Carmine sbuffò, irritato. Poi il nigeriano precisò. Naturalmente, 500 lire al chilo.

Poiché il Serengeti pesava poco più di 100 grammi al metro, il nigeriano mi stava offrendo circa 50 lire al metro. Rimasi in silenzio, pensando al Made in Italy, mentre lui mi spiegava che aveva fermo al porto di La Spezia un container da 40 piedi già quasi completamente riempito di pezze di lana che doveva partire il giorno dopo per Lagos, e lo spedizioniere gli aveva detto che il viaggio era molto lungo e durante la navigazione c' era il rischio che le pezze di lana si muovessero dentro al container, e che il tessuto si potesse rovinare.

Lo sguardo di Carmine si fece vitreo, aveva capito prima di me. Il nigeriano aggiunse che non aveva mai sentito nominare questo signor stilista di cui gli avevo parlato. Mai, nemmeno una volta. Disse che le mie pezze di cotone avevano un diametro minore delle pezze di lana che aveva già comprato, e lui voleva comprarle perché sarebbero state perfette per fare da zeppa tra le pezze di lana, che così non si sarebbero mosse dentro il container durante il viaggio verso Lagos. Le voleva in tutti i modi, le mie pezze di Serengeti. Mi avrebbe offerto anche 550 lire al chilo, se gliele vendevo tutte. Anche 600.

L' autore ha recentemente pubblicato "Storia della mia gente", un viaggio nella crisi dell' industria tessile toscana - EDOARDO NESI



Fine del Made in Italy e deindustrializzazione in Italia

Stilinga è stata molto colpita dal seguente articolo che fotografa la situazione di deindustrializzazione dell'Italia e la fine del Made in Italy:

Chi ha fermato l' Italia dei telai
Maurizio Crosetti


da la Repubblica — 08 ottobre 2010


Tutto questo ferro immobile, morto. Quintali, tonnellate di cadaveri arrugginiti. Tutto questo ferro inutile, da glorioso che era: il ferro dei filatoi migliori al mondo, il meraviglioso fuso dell' alta moda italiana, il ciclopico ago con il quale i più grandi stilisti tessevano bellezza, reddito, eleganza, sogni.

Ma Biella s' è ferita, come la Bella Addormentata. E nessun principe passa più di qui, sulla statale che da Cossato punta verso "la città della lana". Solo gli autocarri sfiorano i capannoni deserti, le fabbriche sprangate.

Scatole vuote, telai da buttare. Fino a qualche anno fa, li compravano i turchi e i cinesi, ma adesso sono più ricchi di noi e vogliono l' ultimo grido tecnologico: il filatoio usato possiamo pure tenercelo. Dunque, non resta che rottamare. Non resta che svendere un tanto al chilo (quindici centesimi, una miseria) l' antica ricchezza. «Conviene di più spaccare il vecchio filatoio, l' ho fatto anch' io».

Il signor Vincenzo Monteleone è un giovanotto di ottantacinque anni. La sua azienda, la "Monteleone Group" di Valle Mosso, revisiona, smonta e rivende macchinari tessili. Ma qualche volta li rottama, sempre più spesso. «C' è chi non vuole cederli alla concorrenza, per non rinforzarla. Bisogna accettarlo: il tessile italiano scomparirà. Io l' ho capito in trattoria, dove non trovo più una sola tovaglia di cotone, ormai è tutta carta, il "tessuto non tessuto". Ci salva un po' la qualità, con gli abiti, ma sempre meno».

Alle aziende in crisi (nel Biellese, nel 2009 ne sono scomparse 142) non resta che prendere a martellate le macchine inservibili, e metterle sulla bilancia del ferrovecchio. «Si ricavano 150 euroa tonnellata, una scemenza, ma almeno ci si libera dall' ingombro. Le nostre macchine sono del tutto superate, neanche nel terzo mondo le vogliono più. Quando si rottama un telaio, bisogna stare attenti alle parti in rame e ottone, che possono valere mille euro a tonnellata, e poi si dà tutto al raccoglitore di rottami».

Il signor Vincenzo non la fa tanto romantica, gliel' ha insegnato la vita. «Un giorno i tedeschi vennero a prendermi a scuola e mi deportarono in Polonia, poi sono tornato ma non mi faccia ricordare». Dentro quel ferro morto ci sono le storie delle persone, generazioni di fatiche e sacrifici. C' è l' eco di un rumore lontano, il baccano che fa il lavoro quando si muove e mantiene famiglie, e strizza sudore dai panni. Poi cala questo silenzio di morte. «Chi prova a smontare un vecchio filatoio per rimontarlo altrove, spesso non si paga neanche le spese».

Giancarlo Lorenzi, sindacalista, segretario della Femca Cisl, ormai racconta vicende che sembrano fatte solo di epiloghi. «Dieci anni di crisi durissima, migliaia di posti di lavoro perduti, altri per fortuna mantenuti o spostati, e almeno tremila persone a spasso. In Cina non comprano più il nostro usato, neanche danno più lavoro ai nostri tecnici, gente con una manualità e un' esperienza spaventose. Una sapienza delle mani che andrà perduta ed è un' altra tragedia, come sempre quando finisce un mestiere. La possibile salvezza, per le piccole aziende, è mettersi insieme, però spesso le famiglie degli imprenditori non vogliono, saltano fuori vecchie rivalità e un assurdo orgoglio, preferiscono affondare una dopo l' altra».

Tra le province italiane a più alto reddito, la discreta e periferica Biella è anche in testa alle classifiche dei suicidi. Quando la luce del lavoro si spegne di colpo, c' è chi affonda in quel buio. Ottomila posti perduti in sei anni sono una ferita enorme, intanto la gente invecchia, in fabbrica non va più nessuno e molti vengono cacciati. Eppure, l' alta moda continua a filare, e sfilare. Una pubblicità informa che Loro Piana di Borgosesia, la Ferrari dei vestiti, ora tesse anche il fiore di loto. «Bisogna inventare, farsi venire le idee», racconta Luciano Donatelli, presidente dell' Unione Industrale biellese. «Ma per salvare il nostro tessile, servono almeno 250 milioni di euro». Lui, con la sua azienda si è messo a produrre tessuti per l' industria navale, interni di barche e indumenti. Oppure Piergiacomo Beretta, imprenditore di Crevacuore: per non annegare ha fatto arrampicare sui vetri la sua Yanga, micro azienda con nove dipendenti; ha iniziato a creare bende mediche sempre più sofisticate, fino a ideare il tessuto che la Nasa ha scelto per le tute degli astronauti: «Prima - racconta - eravamo in tre al mondo a fare bende tubolari, poi sono arrivati i cinesi. Sono i nostri nemici? Lo è anche il governo: senza balzelli e burocrazia, non dovremmo temere la concorrenza». E c' è chi, come Gianfranco De Martini, presidente della Camera di Commercio, ha fatto fortuna con il tessuto dei pennarelli, rivoluzionando i macchinari e facendo una spietata concorrenza ai giapponesi: «Ma pensare di smontare e rivendere un nostro vecchio telaio chissà dove, a volte, è come pretendere di far vivere una tigre al Polo Nord». Forse Biella ha ancora stoffa. Diversificare, innovare. Parole magiche, ma come ci si arriva? «Qui non sarà mai più come prima», risponde Paolo Zegna, altro grande nome del settore. «Biella non potrà essere solo comparto tessile, bisogna puntare sul turismo». Compreso quello commerciale, verso gli outlet dove comprare giacche e maglioni di qualità, senza svenarsi. Ne sorgono già molti, dentro una campagna piatta come la linea del mancato sviluppo. Ed è il paesaggio che racconta la storia di un declino.I capannoni abbandonati della Val Sessera, da Valle Mosso verso Trivero e Borgosesia. Qui la terra s' increspa nelle antiche colline, dove un' acqua particolarmente dolce permetteva di lavare i velli delle pecore usando poco detersivo, e spingeva le macchine ora rottamate con la sua forza trasparente. «Anche a me è successo di vendere qualche macchinario un tanto al chilo».

Rodolfo Botto, titolare della "Giuseppe Botto & figli" di Valle Mosso, racconta che un mondo cambia e il resto procede per trascinamento. «Si vive di corsa e ci si veste di corsa, indossando capi che non si stropicciano in viaggio, si lavano al volo e magari non si stirano. Così i telai devono essere flessibili per produrre tessuti diversi, mentre una volta contavano solo la quantità e la velocità. La tecnologia invecchia in fretta, come tutto, e tutto dura un attimo». I suoi tessuti oggi si chiamano "liquid wool", oppure "ice cold",o anche "multicontrol weather", le parole cambiano prima e insieme alla cose. Per andare dove? Forse per arrivare qui, sulla strada da Quaregna a Biella. Il triste itinerario parte dall' ipermercato Esselunga, costruito sulle macerie dell' ex Filatura Safil, chiusa nel 2003.

In due chilometri di rettilineo si incontrano le cancellate mangiate dalla ruggine, le serrande mezze spaccate e sempre abbassate, le catene e i portoni mortalmente chiusi di quelle che furono le aziende Smeraldo (l' addio nel 2003, 90 dipendenti), Bocchietto (2002, 100 dipendenti), Fratelli Suppa (2006, 50 dipendenti), Tintoria Leone (2009, 60 dipendenti in piccola parte trasferiti a Sandigliano), Botto Luigi (2005, 150 dipendenti), Eurofili (2006, 110 dipendenti). Ogni nome una lapide, ogni storia un verso di questa Spoon River sulla via delle lane perdute. Eppure, non tutto è cimitero. Anche se assomiglia a una tomba il muro perimetrale della ex Fraver di Quaregna (2005, 207 dipendenti), la fabbrica che abbraccia il paese e in parte lo ingloba, dentro c' è persino la scuola elementare Avogadro e lì accanto un minuscolo parco giochi, senza l' ombra di un bambino. Ma sul portone, un foglio di carta spiega dove spedire le domande di lavoro e i curricula per la nuova Manuex Srl. Cioè l' azienda che lavorerà per l' Ikea e che apriranno proprio qui dentro, nei capannoni vuoti, con duecento operai, e altre 600 persone dell' indotto potranno salire su quello che è il primo carro a ripartire dopo il terribile decennio dei mestieri perduti. La Manuex produrrà cerniere, viti, bulloni, e cinque milioni di cassetti: da riempire, finalmente. Tra meno di un anno si comincia. Non tutti i pezzi delle storie si rottamano.

MAURIZIO CROSETTI